L’emicrania in Italia costa circa 20 milioni di euro all’anno: il 10% riguarda i costi diretti, mentre il 90% è relativo a costi indiretti e sociali. È il dato emerso durante il convegno “Emicrania. Presa in carico del paziente in Regione Lazio: confronto multi-stakeholder e prospettive future” che si è tenuto all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma.
Il dato è in linea con quello diffuso da Cegas Bocconi in un report del 2018: il nostro Paese, con Francia, Germania e Spagna, presenta i costi maggiori per l’emicrania (che nell’Europa a 27 costa complessivamente 111 miliardi di euro).
La patologia affligge il 12% della popolazione italiana, soprattutto donne, con una prevalenza di tre volte maggiore rispetto agli uomini. Secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità, l’emicrania è la terza patologia più frequente (dopo la carie dentale e la cefalea tensiva) e la seconda più debilitante.
“L’emicrania viene spesso confusa con il mal di testa – afferma Nicoletta Orthmann, coordinatore medico-scientifico di Fondazione Onda, che da anni si occupa del dolore cronico nelle donne e che dal 2018 si interessa anche di emicrania – Tuttavia, si tratta di cose profondamente diverse: il mal di testa è un sintomo, è episodico e transitorio. L’emicrania è una vera e propria malattia neurologica caratterizzata da attacchi ricorrenti di cefalea da moderata a severa”. Gli attacchi, poi, non si limitano al dolore al capo: “Al tipico pulsare della testa si associa nausea, vomito, ipersensibilità alla luce, ai suoni, agli odori. Qualcosa di molto più complesso che non si esaurisce soltanto nell’attacco – ricorda l’esperta –: è un processo multifasico che interessa più giorni e che ha un impatto significativo sulla qualità della vita di chi ne è affetto”.
Una legge non ancora operativa
Nel 2020 l’Italia ha approvato una legge in cui riconosce la cefalea cronica come patologia sociale invalidante. Si tratta di un passo importante per la presa in carico delle persone che ne soffrono. Tuttavia, a due anni di distanza, la norma non è ancora operativa perché non sono stati emanati i decreti attuativi.
“In teoria avrebbero dovuto uscire entro 180 giorni dall’approvazione della legge – ricorda Orthmann – In realtà, un po’ a causa della pandemia, un po’ per il succedersi dei diversi Governi, la questione è passata in secondo piano”.
Per riaccendere i riflettori sul problema, a fine novembre Fondazione Onda ha convocato a un tavolo tecnico le istituzioni, la comunità scientifica e le associazioni dei pazienti. “L’intenzione era discutere le criticità e certificare delle proposte operative per fornire risposte che i pazienti aspettano da due anni”, rileva Orthmann. Presente all’incontro anche l’onorevole Arianna Lazzarini, promotrice della Legge 81/2020, che “ha manifestato l’intenzione di portare avanti un’interlocuzione con il Governo anche su questo tema”.
Nonostante la legge affondi le sue radici ormai tre legislature fa, al momento infatti non è ancora operativa: “A marzo sono state presentate due interrogazioni parlamentari, una presso la Commissione Igiene e Sanità del Senato a primo firmatario della Senatrice Paola Boldrini, l’altra dall’onorevole Fabiola Bologna presso la Commissione Affari Sociali e Sanità della Camera dei Deputati – ripercorre Orthmann – Entrambe chiedevano quali iniziative urgenti il Ministro della Salute intendesse adottare per dare attuazione alla legge. La risposta del Ministero, tuttavia, non ha consentito di ‘sbloccare’ la legge”.
Inappropriatezza
Al momento in Italia esistono Centri di terzo livello specializzati nel trattamento dell’emicrania. Non sempre, però, è agevole il percorso per arrivarci. “Purtroppo, a causa del gap informativo che esiste in questa patologia, spesso il paziente si gestisce in autonomia, curandosi con farmaci da banco – rileva Orthmann – Per contro, se si affida allo specialista sbagliato, è possibile che faccia una serie di esami e visite inappropriate. Sarebbe invece fondamentale riportare il problema al proprio medico di medicina generale, un interlocutore importante nel valutare la necessità di indirizzare il paziente a un centro specializzato”.
Le visite e gli esami inappropriati contribuiscono a far lievitare i costi economici della patologia, oltre che ad allungare le liste d’attesa. L’acquisto di farmaci da banco per l’automedicazione, invece, fa crescere la spesa out-of-pocket.
“Per quanto riguarda gli aspetti sociali, l’aspetto maggiormente evidenziato dai pazienti è che l’emicrania è una patologia invisibile: è una condizione che non dà segnali all’esterno – ricorda Orthmann – Questo aspetto contribuisce a peggiorare la qualità della vita di chi ne è affetto: oltre all’invadenza e all’imprevedibilità della malattia, si aggiunge anche lo stigma di chi circonda il paziente, che può non capire quanto sia invalidante questa condizione”.
Il dolore fa sì che le attività quotidiane ordinarie, anche le più semplici, diventino un peso insostenibile e l’incapacità di portare avanti i propri impegni familiari, domestici, lavorativi e ludici genera sensi di colpa, frustrazione, insoddisfazione e inadeguatezza che spesso sono acuiti dalla mancata comprensione di chi sta intorno. Queste dinamiche sono alla base dell’impoverimento delle relazioni affettive e sociali e spesso costituiscono un terreno fertile per l’insorgenza di disturbi psichici, prevalentemente ansiosi o depressivi.
“Vi sono poi le modificazioni sociali legate alla paura di un nuovo attacco: non solo le persone soffrono durante l’esplosione dell’emicrania, ma – paradossalmente – anche quando questa non c’è: il timore che possa arrivare fa sì che si cambino programmi, che si evitino occasioni sociali o che si viva in un costante senso di angoscia”.
7 anni per la diagnosi
Nel 2019 il Censis ha realizzato un’indagine sul vissuto delle persone che soffrono di emicrania, coinvolgendo 695 pazienti dai 18 ai 65 anni. L’80% del campione era costituito da donne: l’età media all’insorgenza dei primi sintomi per le donne è circa 21 anni, per gli uomini 26.
La patologia si manifesta prima dei 18 anni, per il 42% delle pazienti donne rispetto al 26% degli emicranici uomini. “Quando si pensa alle conseguenze dell’emicrania si fa riferimento all’ambito lavorativo, ma questo dato ci dice che questa patologia ha ripercussioni anche sullo studio e sulle scelte di vita”.
Quasi il 60% dei pazienti si rivolge al medico entro un anno dalla comparsa dei primi sintomi (il 56% delle donne contro il 73% degli uomini), ma il 21% aspetta più di cinque anni. Sono le femmine a tardare maggiormente: 23% contro 9% dei maschi.
Il tempo medio per arrivare a una diagnosi è di 7 anni: quasi 8 anni per le donne, 4 anni per gli uomini. Il 28% dei pazienti ha avuto la diagnosi entro un anno dai primi sintomi, il 30% ha atteso tra due e cinque anni, il 23% più di dieci anni.
La malattia appare più debilitante per le donne colpite, che definiscono “scadente” il proprio stato di salute nel 34% dei casi contro il 15% degli uomini. Il 36% delle donne soffre di emicrania cronica (contro il 30% degli uomini) e il 48% ha contemporaneamente altre patologie (contro il 34% degli uomini).
La durata media per singolo attacco, se non adeguatamente trattato, nel 46% dei casi è pari a 24-48 ore e nel 34% dura più di 48 ore. Sono le donne a lamentare gli attacchi più lunghi: il 39% soffre di attacchi che superano le 48 ore contro il 12% degli uomini.
L’aspetto più penalizzante è considerato il dolore (82% delle donne vs 72% degli uomini), seguito da stanchezza e mancanza di energie (rispettivamente per il 50% e il 44%).
Le donne lamentano maggiormente anche la riduzione delle attività sociali (43% vs 21%) e difficoltà sul lavoro (40% vs 27%), nello svolgimento dei propri compiti familiari e domestici (36% vs 18%), nella gestione dei figli (19% vs 8%).
Il 70% circa dichiara di non riuscire a fare nulla durante l’attacco e il 58% vive nell’angoscia dell’arrivo di una nuova crisi. Quasi la metà del campione soffre dello stigma sociale derivante all’essere affetto da emicrania. Circa il 90% ritiene che la patologia sia sottovalutata socialmente e il 66% è convinto dell’impossibilità di comprendere il livello di prostrazione provocato dalla patologia da parte di chi non ne soffre.
La perdita di produttività
Un libro bianco sull’emicrania promosso nel 2018 dall’Istituto superiore di sanità riporta un’analisi dettagliata dell’impatto economico per la patologia in Europa e Stati Uniti. La fetta maggiore delle risorse viene utilizzata per il genere femminile, che sono anche quelle che hanno evidenziato maggior tempo lavorativo perso. Se si considera invece la perdita di produttività in termini di giornate di lavoro perse, il genere più interessato è quello maschile.
Si stima che i costi sanitari diretti siano di 3.100 euro all’anno per gli uomini con emicrania cronica (in Europa) e di 5.400 euro per le donne.
In un anno in Europa si stimano perdite di produttività per paziente cronico pari a circa 12.500 per gli uomini e a circa 5.200 per le donne.
Un questionario somministrato a 607 pazienti italiani con età media 42 anni (70% donne) ha evidenziato come il 92% dei rispondenti avesse effettuato almeno una visita nei tre mesi precedenti la survey e il 25% degli esami nello steso periodo di tempo.
Solo il 2% ha perso l’intera giornata, mentre il 92% ha impiegato tra una e 4 ore (compreso lo spostamento) per effettuare la visita o l’esame.
Un decalogo
Fondazione Onda ha preparato un manifesto con dieci azioni necessarie per promuovere una maggior consapevolezza sull’emicrania, un tempestivo e facilitato accesso ai percorsi specialistici di diagnosi e cura e in particolare alle strategie terapeutiche più efficaci e innovative: una call to action per raccogliere un impegno concreto, collettivo e coordinato, per offrire una migliore qualità della vita a tutte le persone che soffrono di emicrania.
In sintesi per Fondazione Onda è necessario:
- proporre campagne di awareness per contribuire alla costruzione di una cultura sull’emicrania;
- garantire un accesso tempestivo ai percorsi diagnostico-terapeutici;
- potenziare i collegamenti tra i professionisti del territorio e del comparto ospedaliero;
- garantire interventi personalizzati secondo un approccio bio-psico-sociale;
- potenziare la formazione dei medici della medicina generale e specialistica;
- coinvolgere attentamente i pazienti e i familiari nel percorso di diagnosi e cura;
- promuovere l’innovazione terapeutica e facilitarne l’accesso;
- ridurre l’impatto economico;
- garantire l’attuazione della legge 81/2020;
- proporre un impegno collettivo multistakeholder per ridurre l’impatto esistenziale, relazionale, lavorativo e socioeconomico della patologia emicranica.
“Negli ultimi anni la sensibilità nei confronti dell’emicrania è crescita – conclude Orthmann – Tuttavia, è importante riuscire a mettere in pratica queste azioni, in modo da garantire l’accesso immediato alle cure a tutte le persone che ne hanno bisogno”.