Il primo documento di consensus tra 19 società scientifiche risale a novembre 2023. A riprova di quanto l’applicazione sia nuova, sebbene della teoria si parli da anni. Si tratta della telemedicina per patologie cardiovascolari: cinque mesi fa l’Istituto Superiore di Sanità ha infatti messo nero su bianco alcune indicazioni per eseguire prestazioni in Telecardiologia.
Il testo, che sarà aggiornato ogni due anni, approfondisce aspetti come il telemonitoraggio e il telecontrollo in cardiologia, oltre a percorsi di teleriabilitazione, fornendo indicazioni sulla gestione da remoto di pazienti cronici con scompenso cardiaco, aritmie, fibrillazione atriale, cardiopatia ischemica cronica, adulti con patologie cardiache congenite e sulla prevenzione di patologie cardiovascolari.
Monitoraggio e diagnosi precoce
Secondo i dati della World Heart Federation, le morti per malattie cardiovascolari (CVD) sono aumentate del 60% negli ultimi 30 anni. Nel 1990 si sono registrati a livello globale 12,1 milioni di decessi per questa causa, mentre nel 2021 le morti sono state 20,5 milioni. Da anni in Europa le malattie cardiovascolari sono la prima causa di morte, sebbene secondo gli esperti siano prevenibili nell’80% dei casi con un corretto stile di vita.
Una diagnosi precoce, unita alla corretta gestione delle CVD, può fare la differenza sulla qualità di vita del paziente e sull’impatto economico dei trattamenti. «La forza della telemedicina è la sorveglianza e la detection precoce dell’anomalia», conferma Emilio Vanoli, professore associato di Cardiologia all’Università di Pavia.
Uno dei maggiori benefit dei dispositivi sul mercato è che il medico vede ciò che succede in tempo reale
«Uno dei maggiori benefit dei dispositivi sul mercato è che il medico vede ciò che succede in tempo reale – prosegue l’esperto -. Questo significa che se il sintomo si verifica pochi minuti dopo aver indossato il device, il paziente se ne può liberare senza attendere le 24 o 48 ore standard per il monitoraggio. Per contro, se ci sono problemi di trasmissione dati, lo si può comunicare subito senza dover aspettare l’analisi degli stessi. Infine, nel momento in cui il paziente restituisce il dispositivo, ottiene il suo referto, senza che debba affrontare un secondo viaggio».
Tutti vantaggi che permettono al paziente di risparmiare tempo e energie ed al clinico di avere dati a disposizione in tempo reale.
I device
I dispositivi indossabili possono essere utilizzati per verificare un’ipotesi diagnostica, oppure per trovare un problema prima che si manifesti. È il caso per esempio della fibrillazione atriale subclinica (SAF), una patologia asintomatica. Un recente studio ha valutato la prevalenza della SAF in un contesto ambulatoriale grazie a un dispositivo indossato per una media di 13 giorni. Il device ha rilevato episodi di SAF nel 16,8% dei pazienti monitorati, persone del mondo reale a rischio di fibrillazione atriale, ma senza precedenti.
La composizione dei kit varia in base alla patologia, ma tutti hanno in comune una parte indossabile e una App per il paziente. Grazie a un collegamento 4G i dati sono trasmessi in tempo reale a una piattaforma cui il medico ha accesso. «Laddove la copertura non sia sufficiente, si possono installare ripetitori ad hoc: si tratta di un investimento di poche centinaia di euro che può fare la differenza nelle poche realtà non ancora raggiunte da questa tecnologia», riflette il cardiologo.
E poi c’è la conferma delle ipotesi diagnostiche: «Qualche tempo fa un mio paziente lamentò delle palpitazioni dopo i pasti – racconta Vanoli -: ipotizzai una fibrillazione atriale per innesco vagale da distensione dello stomaco, un quadro preoccupante ma non pericoloso. Una volta indossato il dispositivo, però, mi sono reso conto che si trattava di tachicardia ventricolare, un quadro molto più complesso». In una manciata di giorni il paziente fu ricoverato in ospedale, sottoposto ad ablazione e dimesso. Lo specialista ha continuato a seguirlo a distanza: «Con il telemonitoraggio e qualche indicazione telefonica non ci sono state recidive e dunque non è stata necessaria la riospedalizzazione».
In questo caso il dispositivo è servito anche per controllare l’instabilità cardiologica del paziente nel periodo di cicatrizzazione del tessuto miocardico e per prevenire peggioramenti della condizione clinica del paziente.
Le mancate riospedalizzazioni
Mediamente il 30-35% dei pazienti dimessi dopo uno scompenso cardiaco acuto rientra in ospedale entro 60 giorni.
L’elevato tasso di ospedalizzazione dei pazienti affetti da scompenso contribuisce in modo sostanziale ai costi sanitari. Nei Paesi occidentali i costi per la gestione della patologia sono in media il 2% della spesa sanitaria nazionale totale, con l’assistenza ospedaliera a farla da padrone (incide per circa il 61%).
La sorveglianza domiciliare del paziente fragile con soluzioni di telemedicina può consentire di ridurre i tempi di trasferimento e le ospedalizzazioni
«Purtroppo in Italia c’è una scarsa percezione dell’utilità della Telemedicina, nonostante sia uno degli elementi portanti del PNRR – osserva Vanoli – La sorveglianza domiciliare del paziente fragile consente di ridurre i tempi di trasferimento e le ospedalizzazioni, ma nel nostro Paese il medico non si ritiene più responsabile del paziente quando questi esce dall’ospedale o dall’ambulatorio. Occorrerebbe invece intendere la telemedicina non solo come l’erogazione di prestazioni senza far muovere il paziente, ma anche come monitoraggio».
L’altro aspetto che frena la piena diffusione della telemedicina è la mancanza di rimborsi: «Ad oggi i dispositivi sono a carico del paziente e il monitoraggio e il medico viene pagato solo quando effettua una visita a distanza e non quando si occupa del controllo a distanza».