Alzheimer, 1 italiano su 2 preoccupato di contrarlo in futuro. Solo 1 su 10 si dichiara molto informato sulla malattia

Durante la conferenza stampa organizzata mercoledì 18 settembre presso il Ministero della Salute per celebrare i primi dieci anni dell’attività di ricerca medico-scientifica di Airalzh Onlus (Associazione Italiana Ricerca Alzheimer) sono stati presentati interessanti risultati su come gli italiani si approcciano alla malattia di Alzheimer.

A giugno 2024 è stata condotta un’indagine sulla percezione della malattia di Alzheimer, sull’interesse a ricevere informazioni circa le possibilità di prevenzione e cura. Realizzata per conto di Airalzh Onlus, si è basata su un campione di 800 soggetti rappresentativo degli Italiani di età pari o superiore ai 40 anni ed è stata condotta da Walden Lab con il supporto operativo di Eumetra MR.

«La percezione della malattia di Alzheimer come patologia grave e potenzialmente rischiosa per ciascuno di noi è risultata ampiamente condivisa nella popolazione, anche se sono molto scarse le conoscenze, in particolare su prevenzione, diagnosi precoce e cura – afferma Paolo Anselmi, Founder & Managing Partner di Walden Lab -. Molto elevato è, però,l’interesse nel ricevere informazioni su questi aspetti spiegati con un linguaggio chiaro e mezzi in grado di raggiungere l’ampia platea della popolazione». 

Di seguito, in sintesi, i principali risultati emersi dall’indagine.

L’Alzheimer è considerata una malattia “molto grave” dal 68% degli Italiani, solo il cancro (83%) e la sclerosi multipla (71%) sono considerate più gravi.

Molto elevata (49%) è la preoccupazione che la malattia possa in futuro riguardarci personalmente o colpire una delle persone che ci sono care. E già oggi il 28% del campione dichiara che tra i familiari più stretti ci sono o ci sono state persone che hanno sofferto di Alzheimer. Una percentuale che raggiunge il 49% se si considerano anche gli amici e i conoscenti.

Nonostante l’elevata percezione di gravità e di rischio associata all’Alzheimer e una diretta esperienza della malattia che riguarda quasi la metà del campione, solo una ristretta minoranza (15%) si dichiara oggi “molto informata” su questa malattia. A cui si aggiunge un 43% che si dichiara “abbastanza informato”.

Richiesto di indicare il proprio livello di informazione sui diversi aspetti della malattia, la maggioranza si dichiara molto o abbastanza informata sui sintomi (64%), sul decorso (60%) e sull’esito della malattia (59%) mentre è solo una minoranza a dirsi informata sulle possibilità di cura (41%), di diagnosi precoce (39%) e di prevenzione (33%).

I sintomi maggiormente associati alla malattia sono la perdita di memoria (85%), la perdita della capacità di orientamento (69%) e la perdita di contatto con i propri cari (63%) e con il mondo esterno (58%).

Tra i fattori di rischio ve n’è uno che è percepito di gran lunga come dominante: la presenza di casi di Alzheimer in famiglia (75%) mentre meno considerati risultano la limitata attività intellettuale (38%) ed altri fattori “non specifici” quali la depressione (29%), la dieta poco sana (26%) e il fumo (22%). È, infatti, solo una minoranza (32%) a considerare uno stile di vita sano utile per la prevenzione dell’Alzheimer. Particolarmente poco considerata la buona qualità del sonno.

Guardando al futuro prevale un atteggiamento ottimistico: l’81% ritiene molto o abbastanza probabile che vengano trovate terapie efficaci per curare l’Alzheimer e un’analoga percentuale (83%) ritiene decisivo il ruolo della ricerca per l’individuazione di nuove cure e forme di prevenzione.

In linea con gli elementi evidenziati dall’indagine, si conferma l’interesse del campione a ricevere informazioni sulla malattia in grado di colmare le ampie lacune informative. In particolare, si vorrebbe saperne di più sulle modalità di prevenzione (61%), le possibilità di diagnosi precoce (60%) e le prospettive di cura (55%). Fondamentale risulta l’affidabilità della fonte informativa, con il campione che esprime chiaramente interesse nel ricevere informazioni da realtà specializzate nella ricerca su cura e prevenzione, preferibilmente inserite in strutturate partnership con i migliori centri di ricerca a livello mondiale.

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