Appello dei medici internisti di Fadoi e Simi: “SSN rischia di scomparire”

Rispetto a 10 anni fa il Servizio sanitario nazionale registra 30 mila unità di personale in meno. Nonostante gli investimenti adottati durante la pandemia il Ssn ha ancora un estremo bisogno di risorse e riforme per fermare il suo declino. Per questo occorre incrementare il Fondo sanitario, affrontare la carenza di personale e di posti letto, riformare la governance del Ssn dando maggiore centralità al Ministero della Salute, riorganizzare l’assistenza ospedaliera con l’aggiornamento del Dm 70, recuperare delle liste d’attesa e valorizzare la Medicina Interna. Sono queste alcune delle richieste che le due società scientifiche della medicina interna Fadoi e Simi lanciano ai partiti in vista delle elezioni del 25 settembre. Gli internisti ospedalieri sono circa 10 mila e sono presenti in tutti gli ospedali italiani. Parliamo di 1.478 strutture complesse di Medicina Interna tra pubblico e privato (di cui 360 reparti Covid), su un totale di 1004 ospedali.  Dal totale storico dei quasi 30 mila posti letto di medicina interna, gli internisti sono arrivati a gestire, a causa del Covid, oltre 40 mila posti letto. Solo nel 2020, primo anno di pandemia, sono stati curati ben oltre 218 mila pazienti Covid, pari a un quarto del totale dei ricoveri in medicina interna e al 70% di tutti i ricoveri per Covid. Questo grande afflusso di pazienti Covid ha però provocato un calo dei ricoveri totali nei reparti.

 

“In vista delle elezioni chiediamo ai partiti di affrontare seriamente il tema della sanità che a parte qualche slogan o proposta fumosa è fuori dai radar del dibattito come se l’emergenza Covid fosse un lontano ricordo, le liste d’attesa non fossero lunghissime, la carenza di personale non fosse una realtà e la necessità di riforme non fosse impellente. La pandemia ha messo a dura prova il nostro Servizio sanitario nazionale e nonostante gli interventi messi in campo la strada per mettere in sicurezza la sanità pubblica è ancora lunga e non ammette ritardi”, affermano il presidente della Federazione delle Associazioni dei Dirigenti Ospedalieri Internisti Fadoi, Dario Manfellotto e il presidente della Società Italiana Medicina Interna Simi, Giorgio Sesti. Per questo le due società scientifiche hanno stilato un elenco delle principali azioni da intraprendere:

 

Finanziamenti adeguati. Per il 2023 è previsto un aumento di 2 miliardi del fondo sanitario che dovrebbe arrivare a quota 126 miliardi. Tuttavia con l’impennata dell’inflazione e le spese straordinarie dovute alla pandemia queste risorse appaiono ancora insufficienti per consentire un rilancio del Ssn.

 

Carenza di personale. Rispetto a 10 anni fa come riporta il Ministero della Salute nel suo ultimo annuario statistico vi sono 30 mila unità di personale in meno. Nello specifico mancano all’appello circa 5 mila medici dipendenti del Ssn. Inoltre, se consideriamo quanto previsto dal PNRR, serviranno in futuro tra medici e infermieri circa 40 mila unità di nuovo personale. Serve subito un intervento che sblocchi il tetto di spesa perché la carenza di personale rappresenta la principale emergenza per la nostra sanità.

 

Riorganizzazione ospedali. All’ospedale servono delle linee d’indirizzo per renderli moderni per questo è indispensabile l’aggiornamento del Dm 70/2015 sugli standard ospedalieri. La pandemia ci ha insegnato che le nostre strutture, che sono molto vecchie o comunque datate nella maggior parte dei casi, devono essere a ‘fisarmonica’, duttili, ovvero in grado di mutare pelle nel giro servono delle regole chiare e stabilite a livello nazionale che leghino tutta la filiera del Servizio sanitario. Oggi i percorsi di cura sono frammentati e spesso si formano dei colli di bottiglia che intasano le strutture ospedaliere. Fa rumore e sembra eclatante l’affollamento dei reparti di Pronto Soccorso, ma quella è la punta dell’iceberg. È chiaro che il sistema si blocca se uno o più ingranaggi rallentano: se il territorio non fa filtro ai ricoveri, se i reparti non dimettono perché́ le strutture di riabilitazione e i reparti di post acuzie non ricevono i dimessi dall’Ospedale, se il domicilio non accoglie.

 

Continuità assistenziale. Questo è un argomento chiave, perché consente di inviare al giusto setting assistenziale i pazienti che meritano terapie croniche in lungodegenza e riabilitazione. Per mantenere i tempi di degenza media entro gli obiettivi raccomandati, è necessario chiarire in modo inequivocabile le modalità di passaggio ad altro setting.

 

Trasformare la Medicina Interna da disciplina a ‘bassa’ a ‘media’ intensità di cura. Durante la pandemia il 70% dei pazienti Covid è stato assistito nelle Unità Operative di Medicina interna, che durante le prime, terribili ondate, si sono trasformate in veri e propri reparti di sub-intensiva. I livelli assistenziali prestati oggi in ospedale nei reparti di medicina interna non sono neanche lontanamente paragonabili a quelli che venivano prestati più di 30 anni fa. Oggi l’assistenza prestata ha una intensità di cura notevolmente superiore con peso medio dei DRG superiore a 1.30 e in molti casi anche fino a 1.45-1.50.  Questo significa che i pazienti ricoverati in Medicina interna hanno sempre condizioni cliniche gravi e di difficile gestione, con esigenze assistenziali molto complesse, richiedono costante assistenza e competenze specifiche, con ampio utilizzo di tecnologie sofisticate, strumentazioni tecnico-diagnostiche e terapie integrate. Tutto ciò impegna notevolmente il personale sanitario. Purtroppo i reparti di Medicina Interna, che garantiscono una elevata intensità̀ di cura, vengono ancora definiti dal Ministero con il codice 26-Medicina generale, con una dotazione di personale e posti letto che è quella di un basso livello di cura. In tal senso, è fondamentale la ri-definizione del codice 26 Medicina Generale come Medicina Interna e la trasformazione della Medicina Interna da disciplina a ‘bassa’ a ‘media intensità di cura’, ridefinendo gli standard per il personale sanitario ancora vincolati dal vecchio DM 109/1988 Donat Cattin.

 

Recupero liste d’attesa. Nel corso del 2020 i reparti di Medicina Interna hanno perso circa 650 mila ricoveri di malati complessi. Un dato che abbiamo elaborato autonomamente e che Agenas ha poi confermato. Nel 2021 avevamo recuperato in parte, ma le successive ondate di Covid hanno di nuovo rallentato e ostacolato i ricoveri per i nostri malati, così come per tutte le altre patologie, mediche e chirurgiche. E anche per quanto riguarda il 2022 i numeri non sono incoraggianti a causa delle ondate Omicron, Quello delle liste di attesa è un problema strutturale, preesistente al Covid, che richiede interventi seri. Assumere personale anche degli ultimi anni di specializzazione, incentivare più̀ di quanto non avvenga oggi l’attività̀ extra- contrattuale per il recupero delle liste d’attesa e organizzare in modo più̀ efficiente l’assistenza territoriale.

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