Mentre si pensa al limite per l’obbligo di pos, al ponte sullo Stretto e allo stralcio delle cartelle esattoriali, nel mondo reale c’è una mamma che è costretta a chiedere un prestito in banca per poter curare in un centro privato la figlia, affetta da una rara malattia neurologica, perché negli ospedali pubblici le liste d’attesa sono troppo lunghe. Nel 2021, secondo la Ragioneria dello Stato, gli italiani hanno speso di tasca propria (out of pocket) la cifra record di 37 miliardi per curarsi privatamente. Una cifra destinata a crescere per far fronte al costante peggioramento del Servizio sanitario nazionale, vittima di anni di tagli e razionalizzazioni bipartisan che hanno ridotto drasticamente l’offerta di salute. Le conseguenze del Covid, ora, rischiano di essere la spinta finale per far precipitare la sanità pubblica nel baratro.
In questo scenario, allora, il sindacato dei medici Federazione CIMO-FESMED (che riunisce le sigle ANPO-ASCOTI, CIMO, CIMOP e FESMED e che aderisce a CIDA) ritiene un errore non richiedere i 37 miliardi previsti dal Meccanismo Europeo di Stabilità (MES), l’ultimo appiglio a cui il Servizio sanitario nazionale può aggrapparsi prima di sprofondare.
Si tratta certamente di ulteriore debito, da contrarre, tra l’altro, in un momento di crisi bellica, energetica, climatica ed economica. Ma se il Governo crede nella sanità pubblica, intende investirvi e salvarla, segnando una vera discontinuità rispetto alle precedenti amministrazioni, dovrebbe mostrare coraggio e richiedere il MES. Dovrebbe quindi seguire l’esempio di quella mamma che ha chiesto un prestito in banca per curare la figlia e, similmente, indebitarsi per poter curare un Servizio sanitario nazionale gravemente malato. Altrimenti, saranno sempre di più i cittadini costretti a ricorrere alle banche per potersi curare o che, tristemente, rinunceranno alle cure.