La salute cognitiva nell’invecchiamento, gli aspetti clinici, i fattori determinanti e il ruolo della genetica, l’importanza degli stili di vita. Sono questi alcuni dei temi al centro del volume, “Vecchiaia e salute cognitiva. Un impegno umano, clinico e sociale”, curato da Marco Trabucchi ed edito da Il Mulino, presentato ieri in un convegno svoltosi presso la Regione Lazio. L’evento, organizzato da Apertamente Srl in collaborazione con Fondazione Longevitas e con il contributo non condizionante di Biodemia, è stato l’occasione per riflettere sui temi della salute cognitiva delle persone e di quell’insieme complesso di fattori, soprattutto psico-sociali, che concorrono a determinarla.
Il declino cognitivo è una progressiva perdita dell’autonomia cerebrale, che va dalla perdita di memoria a una graduale riduzione delle altre funzioni, quali la capacità progettuale e di relazione con le persone, per arrivare poi fino alla demenza conclamata e grave e alla perdita di autonomia anche motoria, della capacità di auto conoscersi e di conoscere gli altri. Un fenomeno non facile da quantificare esattamente in termini numerici, ma di certo imponente: di demenza diagnosticata in Italia soffrono infatti tra 1 milione e 1,5 milioni di persone circa, ma molte sono le situazioni ancora non diagnosticate. A questi numeri, si aggiungono poi quelli delle persone con disturbo cognitivo lieve, ancora più difficili da quantificare, ma importanti da individuare perché è proprio verso queste persone che si dovrebbe maggiormente indirizzare l’attività di prevenzione. Secondo i dati di “Diagnosi e trattamento di demenza e Mild Cognitive Impairment” (Sistema nazionale per le linee guida – Istituto Superiore di Sanità, 2024) nel nostro paese sono circa due milioni le persone con demenza o con una forma di declino cognitivo (Mild Cognitive Impairment, MCI) e circa quattro milioni sono i loro familiari.
Il volume, che vede i contributi di specialisti di elevatissimo profilo professionale con specifiche competenze nel campo delle scienze del cervello, rappresenta una vera e propria guida per la gestione multimodale dell’invecchiamento in salute con particolare riguardo agli aspetti di declino cognitivo.
«L’invecchiamento della popolazione è un fenomeno che appare inarrestabile nel nostro paese – dichiara Marco Trabucchi, Past President AIP – Associazione Italiana Psicogeriatria – In questo scenario è fondamentale che l’impegno comune, sul piano clinico, sociale e culturale, sia in grado di governare il sistema in modo che questo fenomeno non pesi sul singolo, con un carico di sofferenza, sul nucleo familiare, e allo stesso tempo sulla collettività. La medicina è in questo momento al servizio di una grande idea, cioè quella di fare in modo che gli anziani vivano sempre meglio e che il fenomeno dell’invecchiamento non danneggi la comunità, ma la migliori. Rispetto al declino cognitivo, il rischio genetico può essere ampiamente controllato in molte persone (anche se non nella totalità dei casi) da una serie di atteggiamenti clinico-culturali. È la clinica che ha il compito di governare questi aspetti, che devono essere considerati aspetti propriamente clinici: oggi un medico che curi gli anziani, senza preoccuparsi delle sue relazioni e della sua attività fisica, è come se non si occupasse della sua dieta e del suo cuore».
Puntando l’attenzione sui fattori che possono rendere la vita dell’anziano meno sana rispetto alle funzioni cognitive e alla loro perdita, il libro illustra come prevenire in maniera realistica la comparsa del disturbo cognitivo. Fondamentale nella prevenzione è il contrasto, anzitutto, alle situazioni personali che possono indurre alla perdita di funzioni cognitive. La solitudine, di cui spesso sono vittime gli anziani, rappresenta un fattore di rischio importantissimo (per molti il principale), ma altrettanto determinanti appaiono aspetti dello stile di vita, come l’attività fisica, l’attitudine relazionale in genere, e l’alimentazione, che dovrebbe andare nella direzione di contrastare l’eccesso di peso e la disidratazione, riducendo il più possibile alcol e grassi, e allo stesso tempo la sarcopenia, cioè la riduzione del muscolo e della sua forza. Non meno importante però è anche la cura e prevenzione di tutte quelle malattie che possono contribuire a loro volta alla comparsa del declino cognitivo, che, sebbene avendo sempre una base di tipo genetico, è fortemente governata da fattori psico-sociali e, appunto, clinici, ovvero malattie come quelle cardiovascolari, il diabete, la bpco. A questi fattori si aggiungono poi altri determinanti sociali, come le condizioni socio-economiche (la povertà è un forte elemento strettamente interconnesso agli altri), e il contesto urbano.
«Quello del declino cognitivo, e dei fattori connessi, è un fenomeno che impatta gravemente sulla prospettiva, che dobbiamo promuovere, di un invecchiamento in salute – dichiara Eleonora Selvi, Presidente della Fondazione Longevitas – È un insieme complesso e carico di interazioni, che va governato in modo coordinato, con un approccio che veda l’accompagnamento alla vecchiaia delle persone come un insieme non segmentabile di aspetti clinici, sociali e culturali. Questo ci richiama a un’idea di salute e di invecchiamento che non ha a che fare solo con aspetti strettamente sanitari, ma con l’idea di una convergenza di diversi ambiti d’impegno, dove è un insieme di pratiche a promuovere una terza e quarta età in salute, dalla prevenzione, alla promozione dell’invecchiamento attivo, dell’attività fisica a ogni età, dei sani stili di vita, dell’alfabetizzazione sanitaria, del contrasto a tutti quei pregiudizi nei confronti degli anziani, noti come ‘ageismo’, che ne limitano il ruolo politico e sociale e il contributo alla comunità».