Continua l’inverno demografico nel nostro Paese. Nel 2023, secondo gli ultimi dati ISTAT i nati residenti in Italia sono 379mila, con un tasso di natalità pari al 6,4 per mille (era 6,7 per mille nel 2022). La diminuzione delle nascite rispetto al 2022 è di 14mila unità (-3,6%). Dal 2008, ultimo anno in cui si è assistito in Italia a un aumento delle nascite, il calo è di 197mila unità (-34,2%). Numeri questi che pongono l’Italia di fronte a una sfida generazionale senza precedenti. Nell’ultimo report dell’ISTAT emerge che la diminuzione del numero dei nati residenti del 2023 è determinata sia da una importante contrazione della fecondità, sia dal calo della popolazione femminile nelle età convenzionalmente riproduttive (15- 49 anni), scesa a 11,5 milioni al 1° gennaio 2024, da 13,4 milioni che era nel 2014 e 13,8 milioni nel 2004.
«L’Italia è tra i paesi europei con il più basso indice di natalità e l’età media più alta per la prima gravidanza. È necessaria un’inversione di tendenza per riportare l’età del primo figlio ai numeri di qualche decennio fa, quando era di 28 anni. Noi ginecologi siamo in prima linea, poiché abbiamo l’opportunità di seguire le donne fin dall’adolescenza. Tuttavia, è fondamentale prestare attenzione anche al fattore maschile. Gli uomini, infatti, tendono a fare meno controlli per ragioni culturali e di tabù, evitando spesso di consultare specialisti come urologi e andrologi. Una maggiore consapevolezza e prevenzione potrebbero quindi aiutare a risolvere tempestivamente diversi problemi che compromettono la fertilità», ha ribadito Vittorio Unfer, ginecologo e docente di Ostetricia all’UniCamillus.
Un fenomeno multifattoriale
Il problema della denatalità andrebbe osservato come un fenomeno multifattoriale, per la cui risoluzione serve un’azione congiunta e sinergica di politiche economiche e sociali e della medicina, intesa non solo come cura, ma anche come prevenzione che si fa tramite la correttainformazione e incentivando l’accesso ai controlli.
Secondo gli esperti, è imperativo considerare lo stile di vita e l’alimentazione come elementi determinanti per la salute riproduttiva. La promozione di abitudini salutari e un’alimentazione bilanciata può contribuire significativamente al miglioramento della fertilità sia maschile che femminile. Fattori quali il consumo eccessivo di alcol, il fumo esposizione a sostanze tossiche devono essere attentamente valutati, in quanto hanno dimostrato di influenzare negativamente la capacità riproduttiva.
In base alle ricerche e al contatto costante con i pazienti, gli esperti intervenuti hanno concluso che l’Italia ha bisogno soprattutto di una corretta informazione che possa arrivare a tutte le fasce della popolazione, specie le meno abbienti che non possono permettersi specialisti, e ai più giovani che, vuoi per mancanza di possibilità economiche ma anche per un certo ‘tabù’ che circonda la materia, non affrontano il problema.
La demografia italiana
La popolazione ultrasessantacinquenne, che nel suo insieme a inizio 2024 conta 14 milioni 358mila individui, costituisce il 24,3% della popolazione totale, contro il 24% dell’anno precedente. Aumenta il numero dei grandi anziani ovvero di ultraottantenni che con 4 milioni 554mila individui, quasi 50mila in più rispetto a 12 mesi prima, supera il numero dei bambini sotto i 10 anni di età pari a 4 milioni 441mila individui.
La Liguria è la regione più anziana, con una quota di over sessantacinquenni pari al 29% e una di ultraottantenni del 10,3%.
Il numero stimato di ultracentenari raggiunge a inizio 2024 il suo più alto livello storico, superando le 22mila e 500 unità, oltre 2mila in più rispetto all’anno precedente.
Numeri allarmanti che fanno emergere ancor più il grave problema del calo delle nascite nel 2023 in Italia.
Questa dinamica di progressivo declino demografico pone un’ipoteca sul futuro del paese. Con una popolazione in invecchiamento con un balzo in avanti della durata di vita che si porta a 83,1 anni nel 2023.
Con il mancato ricambio generazionale, sono destinati a diventare insostenibili il sistema sociale, quello previdenziale e sanitario, con ripercussioni soprattutto sulla parte più debole della società.
Un calo preoccupante anche a livello territoriale, tra 2014 e 2021 (ultimo dato per cui sono disponibili stime a livello comunale), il tasso di natalità è diminuito in oltre 5.600 comuni, ovvero il 71,6% del totale.
In 6 comuni su 10 il tasso di natalità è inferiore rispetto alla media nazionale.
Nel 61,6% dei comuni, infatti, il tasso di natalità registrato nel 2021 è stato inferiore alla media nazionale dello stesso anno (6,8 nati ogni mille abitanti). Solo nel 36,6% dei casi questa cifra è stata superata.
In particolare, in provincia di Bolzano (dove quasi 9 comuni su 10 superano il tasso di natalità italiano), nell’area di Ragusa (83,3% dei comuni sopra la media) e nella città metropolitane di Catania (81%) e Napoli (70,7%).
Tra i capoluoghi è Catania il comune con il tasso di natalità più alto nel 2021: 8,6 nati ogni mille abitanti. Seguono, con almeno otto nati per mille residenti, le città di Andria, Barletta e Palermo. Mentre agli ultimi posti spiccano diverse città sarde e una delle Marche: Ascoli Piceno (4,9), Oristano (4,9), Cagliari (4,5), Nuoro (4) e Carbonia. Nel comune del Sud Sardegna il tasso di natalità si è attestato a 3,1 nati ogni mille abitanti nel 2021.
Si tratta di un fenomeno che ha innanzitutto radici strutturali. Legate al fatto che le persone in età fertile, con l’uscita della generazione del boom economico dall’età riproduttiva, sono sempre meno.
Negli ultimi anni sono aumentate in modo esponenziale i ricorsi alle tecniche in pazienti sotto i 37 anni, indice di una drastica riduzione della fecondità della donna. Questo si riflette in un aumento del ricorso alla donazione dei gameti, provenienti peraltro da altre nazioni, che comporta un cambiamento fenotipo importante nella nuova generazione.
Calo demografico che preoccupa anche a livello economico perché come analizzato da Bankitalia, secondo l’Istat, da qui al 2040 il numero di persone in età lavorativa diminuirà di 5,4 milioni di unità, malgrado un afflusso netto dall’estero di 170.000 persone all’anno.
Questa contrazione si tradurrebbe in un calo del Pil del 13%, del 9% in termini pro capite. Nonostante la crescita dell’ultimo decennio, la partecipazione al mercato del lavoro, pari al 66,7%, rimane di 8 punti percentuali inferiore alla media dell’area dell’euro.