Il Nobel per la Medicina a Svante Pääbo: è il padre della paleogenomica

Il Nobel per la Fisiologia e la Medicina 2022 è stato assegnato allo svedese Svante Pääbo, 67 anni, per le sue scoperte sul genoma degli ominidi.

 

L’Accademia dei Nobel del Karolinska Institute a Stoccolma gli ha attribuito il premio “per le sue scoperte riguardanti i genomi degli ominidi estinti e l’evoluzione umana”.

 

BREAKING NEWS:
The 2022 #NobelPrize in Physiology or Medicine has been awarded to Svante Pääbo “for his discoveries concerning the genomes of extinct hominins and human evolution.” pic.twitter.com/fGFYYnCO6J

— The Nobel Prize (@NobelPrize) October 3, 2022

 

Nato il 20 aprile 1955 a Stoccolma, Pääbo, che è figlio del biochimico e vincitore del Nobel Sune Bergström, può essere considerato una sorta di archeologo del Dna. Ha, infatti, aperto un nuovo campo di ricerca, la paleogenomica.

È stato infatti il primo a portare la genetica in un campo come la paleontologia, che fino ad allora si era basata sullo studio di fossili o antichissimi manufatti. Grazie alle nuove tecnologie genetiche, Pääbo è stato fra i pionieri dell’estrazione del Dna dai fossili e della sua analisi. Le ricerche che ha coordinato hanno gettato una nuova luce sull’evoluzione umana, fino a rivoluzionarne completamente lo studio.

A lui si deve per esempio l’analisi del Dna dei Neanderthal, che ha rivelato che l’Homo sapiens si è incrociato con i Neanderthal e che alcuni geni di quei cugini dell’uomo sono ancora presenti nel genoma di quasi tutte le popolazioni contemporanee.

Sempre a sue ricerche si deve la scoperta di un’antica popolazione umana, i Denisovani, anch’essi incrociati con l’Homo sapiens circa 70mila anni fa: il punto dipartenza per ricostruirne la storia è stato un frammento di un osso trovato in una grotta dei Monti Altai.

Le reazioni

“Un premio Nobel meritatissimo a un grande scienziato che abbiamo l’onore di avere come socio straniero dell’Accademia dei Lincei”, hanno commentato il presidente dell’Accademia, Roberto Antonelli, e il vicepresidente Giorgio Parisi. “La ricostruzione dei genomi antichi – aggiungono – è stata un’avventura affascinante, che ci ha permesso di ricostruire la storia dell’umanità e dei rapporti con in nostri fratelli estinti, i Neandertaliani e i Denisovani”.

È infatti il secondo anno consecutivo che il premio viene assegnato a un socio dell’Accademia, dopo quello allo stesso Parisi, che ha ricevuto l’anno scorso il Nobel per la Fisica.

Per il paleontologo Giorgio Manzi, dell’Università Sapienza di Roma e dell’Accademia dei Lincei, un Nobel a ricerche di biologia ed evoluzione umana costituiscono “un bel successo per una piccola comunità scientifica”.

“Siamo una specie curiosa e abbiamo sempre avuto un particolare interesse al problema delle nostre origini. Da dove veniamo e che rapporto abbiamo con le specie che ci hanno preceduto? Cosa rende noi, Homo sapiens, diversi o simili rispetto agli altri ominidi che ci hanno preceduto?  Grazie alle sue ricerche pionieristiche, Svante Pääbo ha dato una risposta basata sull’evidenza scientifica a queste domande. Quello per Svante Pääbo è quindi un Nobel atteso – dichiara Francesco Cucca, genetista associato all’Istituto di ricerca genetica e biomedica del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Irgb) e professore di genetica medica dell’Università di Sassari -. È stato l’antesignano della paleogenetica, cioè di quegli studi che utilizzano il DNA dei resti preistorici per creare un profilo genetico ad alta risoluzione e che hanno dato il via alla cosiddetta rivoluzione del DNA antico. Le ricerche di Pääbo hanno evidenziato tra le altre cose che il corredo genetico di specie di ominidi ancestrali, come ad esempio il Neanderthal e il Denisovan, ha contribuito in piccola ma significativa misura all’attuale corredo genetico della nostra specie. Pääbo ha anche scoperto che il trasferimento di geni da questi ominidi ormai estinti è avvenuto circa 70mila anni fa. Questo antico flusso di geni nel genoma della nostra specie ha una rilevanza medico-biologica attuale; ad esempio alcuni di questi geni influenzano il modo in cui il nostro sistema immunitario reagisce alle infezioni, come è stato possibile dimostrare anche nel corso della pandemia da COVID-19“.

Può interessarti