Non solo l’obiezione di coscienza, da parte del personale sanitario, ma anche l’obiezione di struttura non garantiscono il libero accesso all’IVG, ad oggi, in Italia. I dati prodotti dal Ministero sono obsoleti e fotografano una situazione diversa dall’attuale. Inoltre, gli stessi, risultano difficilmente utilizzabili perché in formato pdf e per nulla accurati. Ne abbiamo parlato con la professoressa Chiara Lalli e con la dottoressa Marina Toschi.
In Italia cosa stabilisce la Legge 194
L’obiettivo principale della Legge 194/78 è garantire la tutela sociale della maternità e la prevenzione dell’aborto attraverso la rete dei consultori familiari.
L’articolo 1 stabilisce che «lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio».
È prevista l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG), entro i primi 90 giorni di gestazione, per motivi di salute, economici, sociali o familiari, dopo aver esaminato le possibili soluzioni dei problemi presentati e dopo aver offerto aiuto alla rimozione delle cause che porterebbero all’interruzione della gravidanza.
Vengono stabilite due tecniche per effettuare l’IVG: quella farmacologica e quella chirurgica.
Il metodo farmacologico è una procedura medica che prevede la somministrazione di due diversi principi attivi a distanza di 48 ore l’uno dall’altro; il primo è il mifepristone, conosciuto come RU486, e il secondo è una prostaglandina. Nell’agosto del 2020 il Ministero della Salute ha aggiornato le Linee di indirizzo sull’IVG con metodo farmacologico stabilendo che tale procedura può essere effettuata esclusivamente presso strutture ambulatoriali pubbliche adeguatamente attrezzate e funzionalmente collegate all’ospedale e autorizzate dalla Regione, nonché in consultori oppure day hospital.
Il metodo chirurgico, in anestesia generale o locale, viene effettuato in strutture sanitarie pubbliche o private convenzionate e autorizzate dalla Regione.
La Legge 194, nell’articolo 9, si occupa in modo specifico dell’obiezione di coscienza da parte del personale sanitario, e stabilisce che non possa essere invocata quando il proprio intervento «è indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo» e anche che «l’obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza, e non dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento».
Legge 194 e aborto: i dati
Il 30 luglio 2021 è stata trasmessa al Parlamento la “Relazione del Ministro della Salute sulla attuazione della Legge contenente norme per la tutela sociale della maternità e per l’interruzione volontaria di gravidanza (Legge 194/78)”.
Tale relazione cercava di fotografare la situazione di più di 2 anni fa; quindi, i numeri potrebbero non corrispondere alla realtà odierna. In più tali dati non sono accurati nel dettaglio e poco utilizzabili in quanto in formato pdf e non corrispondenti completamente ai numeri dell’Istituto Nazionale di Statistica.
Secondo i dati della Relazione, l’Italia è tra i Paesi con i più bassi tassi di abortività al mondo: 5,4 interruzione ogni mille donne tra i 15 e i 49 anni.
In base a tale relazione il numero di IVG nel 2020 è stato di 66.413, con una riduzione del 9,3% rispetto al 2019. Questo dato è in continua diminuzione dal 1983, anno in cui si è osservato il più alto numero di IVG in Italia, 234.801 casi.
Si evidenziano forti differenze territoriali tra Regioni diverse; la Liguria, in rapporto alla popolazione, è la Regione in cui vengono effettuati più IVG (7,4 per mille), quasi il doppio rispetto alla Basilicata (3,8), Regione in cui se ne effettuano di meno.
Secondo i dati del Ministero della Salute, l’Italia è tra i Paesi con i più bassi tassi di abortività al mondo e in continua diminuzione dal 1983
Relativamente al tipo di procedura utilizzata si osserva che il 35% delle IVG totali è praticato con la metodica farmacologica. Anche su questo aspetto esistono forti differenze territoriali; sempre in Liguria c’è il dato più alto di IVG farmacologiche (circa il 60% del totale), mentre in Molise è del 2%.
Un confronto con altri Stati europei mostra che in diversi Paesi in cui si fa uso della RU486, tale procedura viene praticata nella maggior parte dei casi di IVG. Inghilterra e Galles hanno una percentuale dell’85% sul totale, Francia del 72%, valori più che doppi rispetto all’Italia.
Un altro indice analizzato nella relazione prende in considerazione la mobilità delle donne dalla Regione di residenza a quella in cui si effettua l’IVG. Il 30% delle donne residenti in Molise effettua l’IVG in strutture sanitarie al di fuori della propria Regione. Dalla Basilicata si spostano il 26% delle donne, dall’Umbria il 13%.
Tra le differenze regionali si evidenzia anche la percentuale di strutture sanitarie in cui è possibile effettuare IVG. Nel 2020 solo in Valle d’Aosta nel 100% delle strutture si può effettuare IVG. La media nazionale è del 63,8%, mentre il dato più basso è della Campania con il 27,9%.
In merito alle obiezioni di coscienza da parte di ginecologi, anestesisti e personale non medico, si osservano anche in questo ambito forti differenze territoriali.
In totale la percentuale di ginecologi obiettori nel 2020 è del 67%, anestesisti del 45% e personale non medico del 36%.
Ci sono aree come la Provincia di Bolzano o il Molise dove 5 ginecologi su 6 non sono disponibili ad intervenire per effettuare una IVG. Complessivamente, l’obiezione di coscienza è più diffusa nel Sud dell’Italia dove le percentuali di obiettori sono mediamente più alte rispetto al resto del Paese.
Il commento di Chiara Lalli
Relativamente ai dati, la professoressa Chiara Lalli, accademica, saggista, filosofa italiana, autrice insieme a Sonia Montegiove del libro “Mai dati – Dati aperti (sulla 194) – Perché sono nostri e perché ci servono per scegliere” pubblicato da Fandango nel 2022, commenta: “Ci sono volute centinaia di richieste di accesso civico generalizzato per avere i dati delle singole strutture. Dati che comunque non sono aggiornati ad oggi ma al più al 2021. Quindi solo parzialmente utili.
Sui dati aggregati e chiusi che il Ministero fornisce annualmente in formato pdf credo manchi la volontà di rendere facilmente accessibili le informazioni riguardo alla 194 (informazioni che dovrebbero essere aggiornate e dettagliate). Relativamente alle ASL, molte ci hanno mandato dati dettagliati. Alcune ce li hanno mandati aggregati e alcune ci hanno mandato il link alla relazione di attuazione. Ma di moltissime strutture abbiamo i dati che abbiamo richiesto”.
L’obiezione di coscienza è l’aspetto che più colpisce, soprattutto quando la percentuale è molto alta, ma non basta come criterio per sapere se la legge 194 è ben applicata oppure no
In merito all’IVG e obiezione di coscienza, la Professoressa Chiara Lalli spiega: “A volte è una questione logistica – magari sono in un reparto dove non c’è il punto IVG. Di per sé questo potrebbe non essere un impedimento – così come potrebbe non esserlo la presenza di obiettori. L’aspetto principale rimane la logistica. Cioè sarebbe possibile garantire il servizio di IVG se fosse organizzato bene. L’obiezione di coscienza è l’aspetto che più colpisce, soprattutto quando la percentuale è molto alta, ma non basta come criterio per sapere se la legge 194 è ben applicata oppure no. La legge prevede l’obiezione di coscienza (articolo 9 della legge 194). Quell’articolo dovrebbe essere applicato meglio perché “l’obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza, e non dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento”. Perché anestesisti e infermieri obiettano, per esempio? Non solo: senza dire in che modo, la legge dice che il servizio di IVG deve essere sempre garantito. Quindi? L’aborto è sempre stato un argomento moralmente controverso. In questi anni la parte conservatrice ha fatto meglio di quella liberale. Di aborto non si parla quasi mai se non in termini di dolore inconsolabile e di scelta drammatica e traumatica. Lo stigma e il senso di colpa vengono usati per rendere una scelta non davvero una scelta, ma una inevitabile ferita. Si dimentica spesso che l’alternativa all’aborto volontario è la gravidanza imposta. Che è una alternativa moralmente ripugnante e che sarebbe anche una alternativa molto difficile da garantire. Come facciamo? Controlliamo le donne fertili?
Il commento di Marina Toschi
La dottoressa Marina Toschi, Ginecologa e già Dirigente UOS Consultori Lago-ASL Umbria 1, è fondatrice dell’Associazione Ginecologi Territoriali (AGITe) e fa parte della Rete italiana contraccezione e aborto (Rica) Pro-choice.
Dottoressa secondo lei è garantita la Legge 194/78 in Italia?
Come molte delle prestazioni sanitarie, la situazione è a macchia di leopardo. Purtroppo, in questi anni, il nostro Servizio Sanitario Nazionale (SSN) è stato smantellato con le varie leggi di aziendalizzazione, con la scelta di privilegiare il privato. Per legge l’aborto è garantito gratuitamente e quindi fuori dal mercato privato. Questo in parte è la ragione delle difficoltà che si trova davanti una donna che cerca di abortire poiché non è mai un servizio a pagamento. I consultori che dovrebbero essere la prima tappa per chi chiede una IVG spesso non sono in grado di dare risposte in tempi rapidi. Non hanno una e-mail o un numero di telefono a cui scrivere o chiamare e le donne, specialmente le più giovani, sono invece abituate a comunicare per le vie brevi, per web ormai spedisce online le ricette anche con il medico di famiglia. I servizi pubblici non sono affatto attrezzati per questa modalità!
Non c’è alcun incentivo a occuparsi di IVG per i professionisti sanitari e l’obiezione di coscienza di struttura, pur vietata dalla legge, è molto diffusa
Inoltre, l’obiezione di coscienza non è ben regolamentata come avviene in altri Paesi. Non c’è alcun incentivo a occuparsi di IVG, c’è invece un disincentivo visto che è una prestazione medica, da cui con una lettera o più spesso con una comunicazione orale, il medico si può esonerare e semplificarsi la vita. Inoltre, i turni a cui è sottoposta una ginecologa/o all’interno di un ospedale sono spesso molto sovraccarichi di lavoro, vista anche la cronica carenza di personale attivo. La vera obiezione la compiono quindi i direttori sanitari e generali delle ASL/ASP/Ospedali che non hanno tra gli obiettivi di budget su cui sono remunerati nulla che riguardi la contraccezione e l’aborto. Se venisse loro decurtato lo stipendio della parte di incentivazione economica per non aver applicato la 194, credo che la situazione sarebbe diversa. Inventerebbero un sistema per far funzionare i servizi, incentiverebbero l’uso di aborto farmacologico, attiverebbero un outsourcing (servizi esternalizzati ad associazioni/cooperative).
Solo una percentuale minore degli aborti avviene con il metodo farmacologico, perché in Italia si predilige l’aborto chirurgico?
L’aborto farmacologico potrebbe essere fatto a casa dalla donna in telemedicina, questo aumenterebbe il loro potere di scelta mentre toglierebbe potere ai medici e alle istituzioni. Contraccezione ed aborto non vengono insegnati ai medici nelle Facoltà di Medicina, né alle ostetriche, né alle/agli infermieri/i. Se poi nella maggior parte delle cliniche/scuole di specialità, non si praticano aborti, né chirurgici, né farmacologici (vedi università cattoliche e 35% degli Ospedali), come si può imparare a svolgere il percorso della IVG dalla richiesta/colloquio con la donna, alla scelta tra IVG medica e chirurgica, alla attuazione del procedimento, se non lo si vede nemmeno durante i cinque anni di specialità in ostetricia e ginecologia?
Contraccezione e aborto non vengono insegnati ai medici nelle Facoltà di Medicina, né alle ostetriche, né agli infermieri
Le linee guida 2020 vanno verso la de-ospedalizzazione, ma a livello regionale la situazione è molto eterogenea, perché?
Le modifiche istituzionali del SSN, la sua regionalizzazione e aver trasformato le Unità Sanitarie Locali in aziende ha portato ad enormi differenze tra Regioni e Ospedali /ASL e a dover regolamentare tutto ogni volta in ogni Regione in base a chi governa in quel periodo. In Umbria, ad esempio, quando è andata alla presidenza regionale Donatella Tesei, ha dovuto dare seguito alla promessa elettorale che aveva sottoscritto con il Partito della Famiglia e ha reso obbligatoria la degenza di tre giorni in ospedale per assumere la RU e il Misoprostolo. Questo, per fortuna, ha generato una forte sollevazione di donne e uomini che hanno costretto il Ministro Speranza in agosto 2020 ad emanare le Linee di indirizzo che comunque non prevedono alcuna sanzione per le Regioni che non le applicano. Sempre l’Umbria le ha recepite solo per quello che riguarda l’allungamento del periodo in cui si può usare la RU fino a nove settimane di amenorrea ma non per il suo uso nei Consultori. Solo il Lazio, in alcune sedi, e ora l’Emilia-Romagna hanno organizzato davvero la somministrazione della IVG medica in Consultorio e la Toscana nei poliambulatori.
Se non vi è obbligo al rispetto delle leggi chi ha voglia di fare innovazione? Specie quella che costerebbe molto meno per lo Stato e avrebbe grandi vantaggi per semplificare la vita delle donne?
In molti Paesi europei l’IVG con RU486 viene prescritta dal medico di base. In Italia non è possibile, perché?
Il Medico di Medicina Generale (MMG) in Italia, in base alla 194/78, può fare certificazione/attestazione per chiedere IVG, anche per via telematica. La 194 però non permette l’esecuzione delle IVG fuori dalle strutture sanitarie; quindi, a domicilio non si può fare. Nel Lazio di fatto si permette, dopo il colloquio e somministrazione della RU in Consultorio, di assumere a domicilio la seconda pillola, quella di Misoprostolo, necessaria ad ottenere l’espulsione del materiale abortivo.”
Cosa ne pensa dell’obiezione di struttura?
Che è vietata per legge ma di fatto il 35% degli Ospedali la applica e nessuno si oppone. Come dicevo andrebbero sanzionati i Direttori Generali e le Amministrazioni che non garantiscono contraccezione e aborto gratuito come stabilisce la Legge 54/75 e la 194/78.
Crede che l’obiezione di coscienza sia frutto solo di un assetto valoriale della persona o potrebbe essere dovuto, in parte, al non riconoscimento della prestazione in termini economici?
Come in altri Paesi europei l’obiezione davvero dovuta a problemi di coscienza è una parte davvero ristretta, forse il 5-10% dei casi, come mostra il libro di Livia Turco a cura di Chiara Micali “Per non tornare al buio – Dialoghi sull’aborto”, pubblicato nel 2017. Infatti, penso che se ci fosse riconoscimento economico, di carriera, scientifico per queste persone, l’obiezione di coscienza si ridurrebbe a numeri minimi. Se poi si permettesse alle ostetriche di svolgere almeno le IVG mediche, come fanno in Svezia, Irlanda, Regno Unito, e anche chirurgiche, come in Francia, certamente il problema si ridurrebbe ancora di più.
Aver reso il SSN un Sistema Sanitario Regionale (SSR) ovvero un sistema con modifiche regionali che si applicano anche a protocolli medici studiati e validati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità è molto discutibile
Da quale Paese dovremmo imparare?
“Dall’Irlanda! In pochi anni dopo il referendum, la recentissima legge sulla IVG dà molto valore all’informazione, per cui le donne trovano un numero di telefono che risponde 12 ore al giorno su dove e come effettuare IVG medica. Questa linea telefonica statale è garantita in outsourcing da un’associazione femminile che da anni lavora sul tema IVG. La IVG medica viene garantita fino a dieci settimane dai medici di famiglia organizzati nell’associazione Doctors for Choice. Le donne trovano una linea telefonica di appoggio durante il percorso di IVG medica che funziona 24 ore al giorno, per qualunque quesito o problema medico si trovino ad affrontare e una chat di WhatsApp per le comunicazioni tra colleghi che sostiene i medici tra loro. Naturalmente l’ospedale garantisce sulle 24 ore in caso di problemi importanti, ma per fortuna questi sono davvero pochi.
Siamo un paese lento, con istituzioni che non si modificano facilmente. Aver reso il SSN un Sistema Sanitario Regionale (SSR) ovvero un sistema con modifiche regionali che si applicano anche a protocolli medici studiati e validati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità è molto discutibile. Ora ci sono Governatori Regionali che pontificano e decidono su come, dove e fino a quando si debba svolgere un processo medico come una IVG! Certo, dicono di farlo per proteggere le donne. Ma siamo sicure di volere questi protettori? A marzo 2022 sono stati portati a processo davanti ai TAR da varie associazioni femminili i governatori di Piemonte, Umbria e Marche per non aver applicato le Linee di indirizzo e la 194. Speriamo prima o poi di avere risposte, anche alla lettera che abbiamo preparato per il ministero e per il consiglio dei sanitari su come migliorare informazione e formazione e organizzazione nazionale e regionale”.