La via impraticabile della depenalizzazione e i limiti del vecchio modello delle linee guida
La proposta di sanzionare per “lite temeraria” chi intenta una causa pretestuosa contro medici e professionisti sanitari. Ma non solo. La definizione di parametri chiari che aiutino i giudici ad archiviare quel 95% di procedimenti giudiziari per “presunta” malasanità che oggi finiscono con un nulla di fatto.
Sono delicati e complessi gli aspetti discussi dalla Commissione sulla responsabilità professionale dei sanitari, presieduta dal magistrato Adelchi d’Ippolito. Voluta fortemente dal Ministro della Giustizia, Carlo Nordio, la Commissione istituita con decreto ministeriale il 28 marzo 2023, si è riunita a partire dal 13 aprile dello scorso anno, consegnando puntualmente, alla scadenza del mandato, che aveva un anno di durata, all’Ufficio legislativo del Ministero della Giustizia diverse e importanti proposte sui temi della responsabilità professionale dei sanitari, sia dal punto di vista civile che penale, e sia sulla colpa penale medica grave.
I lavori della Commissione sono tutt’ora nelle mani degli uffici di Nordio, in attesa di essere esaminati e diventare materia legislativa. Ma quali novità si affacciano all’orizzonte? Le proposte presentate da un confronto fra esperti in materia giuridica ed esperti sanitari sono riassumibili in tre macroaree. TrendSanità ne ha parlato con la responsabile della segreteria scientifica della commissione, Francesca Rocchi, ricercatrice in Diritto Penale all’Università degli Studi di Teramo.
La prima commissione con medici e giuristi
«L’unione della componente medica e giuridica che ha caratterizzato i lavori di questa commissione ha rappresentato un unicum nel panorama del processo legislativo italiano – esordisce Rocchi –. Possiamo senz’altro dire che è la prima volta che esponenti di alto profilo della medicina italiana si trovano a confrontarsi allo stesso tavolo con esperti giuristi su una materia così delicata». La Commissione ha incontrato, una per una, le principali società medico-scientifiche, l’Istituto Superiore di Sanità (ISS), così come la Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (FNOMCeO), che aveva proposto la reintroduzione del cosiddetto “scudo penale” istituito durante l’emergenza sanitaria da Covid19. Per la FNOMCeO la scarsità di personale e la pressione a cui sono sottoposti i professionisti sanitari (elementi che sembrano essere alla base del 90% delle cause mediche avviate contro gli ospedali) hanno gli stessi risvolti pratici dell’emergenza.
La via impraticabile della depenalizzazione
«Era sotto gli occhi di tutte le parti in causa la correlazione fra scarsità di personale e la maggior incidenza di errori in campo medico – commenta la ricercatrice –, eppure non si è potuta recepire quella richiesta. La nostra Costituzione non prevede la possibilità di depenalizzare la responsabilità professionale: un provvedimento dovuto ad uno stato di emergenza nazionale non può essere protratto ad libitum senza gravi motivi. La depenalizzazione non è quindi una via praticabile. È importante, però, dire che aspetti alla base del principio dello scudo penale sono stati presi in considerazione per capire meglio come perimetrare la responsabilità medica partendo dalla “Legge Gelli”, ovvero la 24/2017, Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie, che puntava a riformare la materia. Quello che preme ottenere è che la paura di ritorsioni legali non conduca i medici all’inappropriatezza prescrittiva né al timore di discostarsi eventualmente dalle linee guida, quando il caso lo richieda».
Colpa medica grave e responsabilità penale: il tema dei parametri
La Commissione ha proposto di introdurre una forma di imputazione per colpa medica grave, delineandola però secondo parametri molto più determinati e stringenti
Posto che per lo Stato italiano è indispensabile mantenere il concetto di responsabilità professionale (vigente anche per tutte le altre categorie), la Commissione ha proposto di introdurre una forma di imputazione per colpa medica grave, delineandola però secondo parametri molto più determinati e stringenti. I limiti del vecchio modello delle linee guida al quale attenersi per non incorrere in problemi giudiziari sono emersi chiaramente durante le audizioni. Per offrire ai professionisti maggiore libertà terapeutica, sempre a vantaggio della salute dei pazienti, occorre perciò esporli con più cautela al rischio di querele.
Maggiori sono le difficoltà implicate nell’esercizio della propria professione medica, minore dovrà essere il grado di responsabilità in capo al curante. Ad una maggior complessità della prestazione sanitaria, corrisponderà una maggior scusabilità dell’errore è il principio che sembra delinearsi.
«Anche al legislatore, inoltre, è chiaro che il circolo vizioso fra scarsità di risorse e aumenti di carico di lavoro del personale sanitario non faccia altro che far aumentare i rischi di malpractice e finisca per rendere la professione medica sempre meno desiderabile», chiarisce Rocchi. Con il sistema vigente, ad ogni denuncia o querela i pubblici ministeri hanno l’obbligo di aprire un fascicolo giudiziario al quale seguirà un contenzioso, dall’esito sempre incerto. Per questo è necessario che la colpa grave abbia parametri non troppo generici e invece molto specifici. La proposta prevede quindi la revisione dell’articolo 590 sexies del Codice penale e l’introduzione di un nuovo articolo 590 septies del Codice penale, nel quale si delineino meglio le condizioni dell’eventuale esonero da colpa grave del sanitario.
La “lite temeraria” e le sanzioni per chi lucra
«Nella proposta avanzata dalla Commissione, l’infondatezza della denuncia o querela, oltre a comportare l’archiviazione, potrebbe prevedere l’adozione di un nuovo provvedimento per quella che è stata definita “lite temeraria” – aggiunge la giurista –. Questo prevede che chi ha denunciato infondatamente potrebbe essere anche sanzionato civilmente».
Con l’aggiunta della “lite temeraria”, s’intente scoraggiare tutte quelle cause per malasanità che hanno alla base un evidente scopo di lucro e che poggiano su basi poco solide, ma che spesso vengono comunque intentare poiché non si ha nulla da perdere. Con costi notevoli, sia per la giustizia e il Servizio Sanitario Nazionale, che per il professionista sanitario, obbligato a difendersi per un tempo imprevedibile.
Stop a perizie di medici senza specializzazione specifica
Il terzo e ultimo ambito toccato dai lavori della Commissione d’Ippolito riguarda le perizie. Nella situazione odierna, vista la difficoltà a reperire medici disponibili per l’incarico di periti nelle controversie giudiziarie legate ai casi di malasanità, spesso il consulente è un medico che non ha una qualificazione adeguata alla specificità del caso sottoposto al suo parere. Nonostante sia richiesta, fra i criteri, la specializzazione nella materia sulla quale viene eseguita la perizia, nella prassi concreta, ciò è assai raro. Questo rende teoricamente possibile che l’operato di un cardiochirurgo venga preso in esame da un medico dello sport.
Tempi, limiti e rotazioni per le consulenze
La scelta dei consulenti avviene su base fiduciaria da parte dei pubblici ministeri, che spesso si creano una squadra fissa di consulenti trovati, faticosamente, fra quelli reperibili. «La proposta della Commissione è invece quella di introdurre sia la necessità di una rotazione – ha spiegato Rocchi –, sia quella di mettere come condizione sine qua non che il professionista sia uno specialista nel settore in cui viene richiesta la perizia. Anche i tempi delle consulenze, oggi molti lunghi, andrebbero ripensati. L’introduzione di tempistiche e limiti renderà i procedimenti più veloci e meno impattanti sul sistema».