La ricerca sanitaria è un elemento centrale per un servizio sanitario nazionale efficace. In che cosa consista e quali siano gli attori coinvolti in Italia non è tuttavia sempre così semplice da comprendere. Per questo, abbiamo cercato di fare il punto della situazione sulla ricerca sanitaria e sul ruolo degli IRCCS, a breve oggetto di riforma, con Giovanni Apolone, Direttore Scientifico dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano.
Ricerca sanitaria e PNRS
“La ricerca sanitaria, intesa come parte integrante tra le attività del Servizio Sanitario Nazionale e normata dal d.lgs.502/92, è elemento fondamentale per garantire ai cittadini una sanità efficiente e rispondente ai reali bisogni di assistenza e cura del Paese. Per ‘ricerca sanitaria’ si deve intendere un ampio spettro di attività che includono sia la ricerca che persegue lo scopo di far avanzare in modo significativo le nostre conoscenze su aspetti importanti delle diverse condizioni patologiche e/o di promuovere lo sviluppo di opzioni (di diagnosi, trattamento, ecc.) innovative (theory enhancing), sia quella invece più orientata a fornire, se possibile, soluzioni a problemi specifici e concreti, a produrre informazioni utili a indirizzare positivamente le scelte dei diversi decisori (change promoting).”
Così si apre il documento relativo al Programma Nazionale della Ricerca Sanitaria (PNRS) per il triennio 2020-2022. Il programma, elaborato anche sulla base delle linee guida generali del Programma Nazionale della Ricerca, ha la funzione di “individuare le linee di indirizzo utili al potenziamento del sistema di ricerca, finalizzato al miglioramento della salute della popolazione, attraverso strategie di cura nonché di gestione ed organizzazione dei servizi sanitari e delle pratiche cliniche, alla luce, anche, dell’emergenza Covid-19”. Diversi sono infatti i punti di incontro tra il PNRS e il PNRR. All’interno della missione numero 6 del PNRR infatti, si fa esplicito riferimento al rafforzamento della ricerca sanitaria e biomedica come strumento per potenziare il Sistema Sanitario Nazionale, fortemente provato dalla pandemia.
Obiettivo della ricerca sanitaria è produrre evidenze che aiutino a prendere decisioni non solo in merito al singolo paziente, ma per la popolazione in generale
“Il termine ricerca sanitaria identifica una tipologia di ricerca scientifica che dovrebbe produrre evidenze velocemente trasferibili dal setting di ricerca alla popolazione”, spiega Giovanni Apolone, Direttore Scientifico dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano. “Si contrappone, ma in realtà è complementare, a quella che potremmo definire come ricerca in medicina, in cui le evidenze, ottenute sempre tramite lo studio e l’applicazione del metodo scientifico, vengono utilizzate dal medico per prendere decisioni in merito al prossimo paziente che andrà a visitare. Obiettivo della ricerca sanitaria è in maniera più ampia invece, quello di produrre evidenze che aiutino a prendere decisioni non solo in merito al singolo paziente, ma per la popolazione in generale. La ricerca sanitaria si può quindi intendere come una ricerca al servizio del sistema sanitario nazionale o regionale”.
Entrando nel dettaglio: ricerca sanitaria e IRCCS
Uno dei principali attori della ricerca sanitaria in Italia sono gli IRCCS, gli Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico, luoghi in cui coesistono assistenza al paziente e ricerca scientifica. Ad oggi se ne contano 52 (22 pubblici e 30 privati), e diversi sono gli istituti in lista per diventarlo.
Essenzialmente sono ospedali che svolgono anche ricerca, sia preclinica che clinica, allo scopo di utilizzare velocemente le conoscenze ottenute sul paziente oppure nei contesti in cui si operano scelte di politica sanitaria. Lo fanno attraverso una ricerca di base biologica e traslazionale, ma anche sanitaria, con una particolare attenzione ai temi rilevanti per il servizio sanitario nazionale e regionale, attraverso la creazione di team multidisciplinari, per accelerare i processi e quindi i risultati.
Un modo per arrivare a produrre evidenze di rilevanza sanitaria è creare trasversalmente team che lavorino insieme anche a livello molto precoce
“Se noi non creiamo percorsi virtuosi e team multidisciplinari, non possiamo garantire che il passaggio dagli studi in laboratorio al paziente sia veloce”, specifica Apolone. “Un modo per poter arrivare a produrre evidenze di rilevanza sanitaria è di creare trasversalmente team che lavorino insieme anche a livello molto precoce, per garantire che vengano rispettati tutti gli step che possano portare velocemente al risultato. Per fare ricerca sanitaria è necessaria, dunque, questo tipo di struttura, e se l’istituto non la possiede, per storia o dimensione, bisogna creare aggregazioni”.
Il Ministero negli ultimi anni ha per questo creato le cosiddette “reti di patologia”, unendo istituti che trattano la stessa area terapeutica per creare collaborazioni in un clima omogeneo e complementare. Sono il primo passo per poi arrivare ad aggregare anche istituti tra una rete e l’altra, per ampliare ancora di più le conoscenze e le collaborazioni trasversali.
La situazione attuale
“Negli ultimi anni il numero degli IRCCS ha subito un incremento esplosivo”, sottolinea Giovanni Apolone “a prova del fatto che avere ospedali sul territorio nazionale che fanno ricerca con questi obiettivi è un sistema ancora valido. Purtroppo, ad oggi, non è tuttavia più sostenibile perché, a fronte dell’incremento degli IRCCS, non c’è stato un contestuale incremento dei fondi a loro dedicati”.
Ma facciamo un passo indietro. I fondi di cui dispongono gli IRCCS sono di diverso tipo: ci sono i finanziamenti ministeriali, sia su base nazionale che regionale e grant su base competitiva ottenuti per progetti elaborati dai ricercatori che operano nei singoli istituti.
Negli ultimi anni il numero degli IRCCS ha subito un incremento esplosivo ma non c’è stato un contestuale incremento dei fondi a loro dedicati
“Il Ministero mette a disposizione con strumenti diversi circa 250-300 milioni di euro all’anno che non vengono però dati agli IRCCS dividendo il totale per il numero degli istituti, ma vengono affidati tramite criteri diversi”, spiega Apolone. “Viene ad esempio fatta, annualmente, una valutazione della percentuale con cui ogni istituto partecipa al totale della produzione degli IRCCS italiani e, sulla base di questo contributo, viene affidata una percentuale del budget. La valutazione è fatta tramite una serie di indicatori che ogni anno ogni istituto presenta al Ministero. Vengono poi messi a disposizione dal Ministero fondi su base competitiva per singoli progetti, valutati da commissioni internazionali, proposti dai ricercatori o team dei diversi centri. C’è poi un terzo strumento di finanziamento: quando un ricercatore o un team ottiene un grant per un progetto a livello europeo, per una parte questo può essere co-finanziato dallo Stato”.
Questo sistema può risultare però problematico se si tiene conto che gli IRCCS sono numerosi, eterogenei per storia, riconoscimento, grandezza, volumi di ricerca e che non sono distribuiti in maniera uniforme sul territorio nazionale. Basti pensare che il 50% degli istituti italiani sono distribuiti solamente in due regioni: Lombardia e Lazio.
Affrontiamo il problema del numero: ci sono criteri molto specifici perché un istituto ottenga la qualifica di IRCCS ma non esistono criteri per escluderlo e ciò è alla base del grande incremento che hanno subito negli anni. Per questo, ad oggi, il contributo del Ministero non sempre riesce a coprire per intero i costi di struttura e attività che un istituto che fa ricerca deve sostenere.
“Per riportare un esempio: il mio istituto riceve dallo Stato fondi che coprono circa il 15-20% del nostro budget di ricerca. Per noi che siamo un grande istituto se vengono a mancare questi fondi è un problema relativo, ma per altri istituti più piccoli o con un riconoscimento meno ricco rispetto, ad esempio, all’oncologia, il finanziamento del Ministero rappresenta la quasi totalità del budget a disposizione”, spiega Giovanni Apolone.
La riforma degli IRCCS
È proprio alla luce di queste criticità che si è resa necessaria la riforma degli IRCCS, di cui recentemente si sta discutendo. Di che cosa si tratta? All’inizio di febbraio è stato approvato dal Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro Speranza, il disegno di legge delega che impegna il Governo ad adottare entro quest’anno un decreto legislativo di riordino degli IRCCS, come tra l’altro previsto dalla Missione 6 del PNRR.
Sul tavolo ci sono la revisione dei criteri e dei tempi per la qualifica di IRCCS, la valorizzazione delle reti di IRCCS, la creazione di partnership e l’attenzione al territorio
Il fine, si legge nella bozza, è “promuovere in via prioritaria l’eccellenza della ricerca preclinica, clinica, traslazionale, clinico organizzativa nonché l’innovazione e il trasferimento tecnologico, da integrare con i compiti di cura e assistenza, nell’ambito di aree tematiche internazionalmente riconosciute”. Si mira anche a riorganizzare, ed eventualmente ridurre il numero di istituti, una delle criticità attualmente più evidenti, introducendo “criteri e soglie di valutazione elevati e quindi dei meccanismi di valutazione maggiormente oggettiva ed orientati all’eccellenza, ispirati a principi di massima trasparenza e che lascino meno spazio alla discrezionalità nell’acquisizione della qualifica di IRCCS e nel suo mantenimento”. Non solo dunque criteri di ammissione ma anche di revoca del riconoscimento di IRCCS. Ad oggi infatti non esiste una procedura di esclusione per il non mantenimento dei criteri di inclusione e la revisione mira a introdurla.
Ricapitolando, sul tavolo ci sono la revisione dei criteri e dei tempi per l’ottenimento della qualifica di IRCCS (la valutazione dell’idoneità degli istituti verrebbe fatta ogni quattro anni e non due come ora), la valorizzazione delle reti di IRCCS e la creazione di partnership con altri enti e imprese. Infine attenzione al territorio: sarà infatti considerata ai fini del riconoscimento della qualifica di IRCCS anche la localizzazione e il bacino minimo di riferimento per ciascuna area tematica, al fine di rendere la valutazione maggiormente oggettiva e più coerente con le necessità dei diversi territori.