Studenti universitari e suicidi in Italia: come arginare il fenomeno?

I suicidi degli studenti universitari in Italia sono spesso una ribellione alla cultura dell’eccellenza: i commenti di Antonietta Curci, Ordinario di Psicologia Generale presso l’Università di Bari e responsabile scientifica del Servizio di Counseling Psicologico dello stesso ateneo

Il tema dei suicidi degli studenti universitari in Italia non è esploso recentemente, essendo purtroppo da tempo un argomento spesso ripreso dai media, soprattutto nelle occasioni in cui tali episodi si verificano nelle Università o in concomitanza di momenti chiave della vita universitaria, come esami o discussioni di tesi.

La Ministra Bernini ha suggerito l’importanza del supporto psicologico agli studenti in ogni ateneo italiano, e vari sono i progetti diffusi nel territorio italiano.

Sull’argomento abbiamo intervistato la Professoressa Antonietta Curci, Ordinario di Psicologia Generale presso l’Università di Bari, nonché responsabile scientifica del Servizio di Counseling Psicologico dello stesso ateneo. Curci si occupa di queste tematiche da febbraio 2020, momento in cui è stata delegata dal Rettore dell’Università di Bari per i Servizi agli Studenti e al Diritto allo Studio, oltre ad essere Presidente del Servizio di Ateneo per il Benessere.

Da quanto tempo esiste il vostro centro di counseling?

Antonietta Curci

Il nostro servizio esiste da 25 anni e ha sempre operato per affrontare il malessere dello studente, soprattutto in una fase delicata com’è quella di passaggio dalle scuole superiori all’università. Tuttavia, negli ultimi anni il lavoro è aumentato notevolmente.

All’inizio era un servizio di dipartimento: c’erano alcuni psicologi clinici che collaboravano col centro, mettendo a disposizione la loro competenza per aiutare gli studenti che ne avevano bisogno, ed era limitato ad alcuni particolari dipartimenti e facoltà (più che altro umanistiche).

Col tempo la domanda è cresciuta, e il servizio è diventato di ateneo, strutturato non più con semplici collaboratori, ma con personale amministrativo e psicoterapeuti assunti a tempo indeterminato, che lavorano tutto il giorno per supportare gli studenti che ne hanno bisogno.

Come funziona?

Il counseling universitario è un intervento breve e non dura più di sei colloqui

Il counseling universitario è un intervento breve e non dura più di sei colloqui. Con lo studente richiedente teniamo cinque colloqui, più un follow up a distanza di un mese. Lo studente si prenota tramite sistema informatico e viene poi ricontattato dai nostri professionisti. Se il problema non dovesse essere superato, il ciclo di colloqui è ripetibile a distanza di un anno.

In genere in questi colloqui si affrontano problematiche correlate allo studio. Tuttavia, se uno studente ritiene di avere problematiche più importanti da affrontare con una psicoterapia più lunga, abbiamo una convenzione con l’Ordine degli Psicologi della Puglia per cui ragazzi e familiari si possono rivolgere ad uno dei professionisti in elenco: il primo colloquio è gratuito e, nei seguenti, vi è una scontistica non inferiore al 20% sulla parcella.

Quali sono le emergenze che vi trovate maggiormente ad affrontare?

La stragrande maggioranza di richieste di aiuto riguarda problemi d’ansia che, ovviamente, si può manifestare in modi diversi: c’è lo studente che, all’idea dell’esame, si terrorizza non rendendo al massimo delle proprie capacità, instaurando così un circolo vizioso di scarsa autostima; ancora, vi sono i ragazzi la cui ansia è paralizzante, per cui non sostengono esami, procrastinano e magari non hanno il coraggio di cambiare corso di studi se si rendono conto che quello scelto non fa al caso loro.

In molti di questi casi, a giocare un ruolo fondamentale è la famiglia

In molti di questi casi, a giocare un ruolo fondamentale è la famiglia: sono tanti i ragazzi che avvertono la pressione dei genitori che magari hanno scelto per loro, nonostante gli studenti possano avere tutt’altra aspirazione. Tuttavia, a 18-20 anni, è difficile opporsi alle aspettative familiari: in queste situazioni può accadere che uno studente resti inattivo a lungo e non sostenga esami, mentre magari i genitori sono convinti che stia avanzando nel corso degli studi. Si arriva così al fatidico momento di una presunta laurea con un libretto che invece è completamente bianco. Alcuni suicidi avvengono proprio in queste circostanze.

Oltre alla famiglia e all’ansia, quali sono secondo lei i fattori che contribuiscono ai suicidi degli studenti universitari in Italia? È importante anche la questione della pressione accademica?

Ad oggi, il problema del benessere psicologico non è più “accessorio” né trascurabile. Di sicuro la pandemia ha acuito e slatentizzato alcune difficoltà, così come possiamo dire che viviamo in un mondo dove la precarietà lavorativa, economica e dei rapporti affettivi è indiscutibile, senza contare la sensazione di insicurezza globale con una guerra in atto e una pandemia di cui ancora avvertiamo gli strascichi. Individuare un’unica causa di aumento di richieste di aiuto psicologico è difficile. Ovviamente questa sensazione di instabilità è avvertita di più dai giovani che sono le figure più fragili.

C’è una grossa pressione verso la performance

Occorre aggiungere che c’è una grossa pressione verso la performance, e questo è ciò che, in molte interviste, è emerso dai rappresentanti degli studenti: il merito, l’esigenza di essere bravi per forza, di dover portare a casa dei risultati ottimali, producono una forte pressione sui ragazzi. Per questo sono d’accordo quando gli studenti affermano che bisogna realizzare un cambiamento culturale: la bellezza degli esseri umani è che sono diversi tra loro. 30 e lode è un voto che corrisponde ad alcune cose, ma magari non ad altre altrettanto importanti.

Posso comprendere, però, che un docente non sempre possa avere le competenze psicologiche per approcciare lo studente più timido, fragile, introverso o problematico. Non mi sento neanche di puntare il dito contro i colleghi che, con una parola detta magari in modo infelice, possono scatenare tutta una serie di processi di diminuzione di autostima. Ma questo, a maggior ragione, dimostra che occorre un’educazione a queste tematiche.

Oltre alle richieste di aiuto che arrivano spontaneamente presso il vostro centro, come ovviare all’intercettazione del malessere in università così popolose?

I numeri delle richieste di aiuto, per quanto alti, sono sempre la punta dell’iceberg, poiché non corrispondono a tutti i ragazzi che hanno bisogno di aiuto, ma solo a quelli che hanno avuto la forza di chiederlo. Per questo motivo, il nostro servizio è strutturato in questo modo: oltre ad avere il personale amministrativo di supporto e gli psicoterapeuti assunti a tempo indeterminato, noi abbiamo anche diversi consulenti che interagiscono con gli studenti nei dipartimenti e nei loro posti di ritrovo, cercando di far emergere eventuali bisogni di supporto psicologico e sostenendo, quindi, i colloqui presso i vari plessi del nostro ateneo.

Crede che i finanziamenti pubblici che potrebbero essere dedicati alla prevenzione del malessere degli studenti universitari dovrebbero essere incrementati?

Mi auguro che, alla luce di tutto il parlare in merito a questi gravissimi episodi, vengano disposti fondi dedicati al benessere mentale degli studenti. Al momento, purtroppo, molto è lasciato alla buona volontà dei rettori. Presso la CRUI (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane) si è recentemente costituito un gruppo di lavoro counseling con tutti i delegati delle università italiane che si occupano di queste tematiche. Io vi partecipo in quanto delegata del rettore dell’Università di Bari.

A volte ci sono dei fondi, ma non sono costanti

A volte ci sono dei fondi, ma non sono costanti: nel 2021, per esempio, c’è stato il DM 752 che erogava una tantum dei finanziamenti agli atenei per politiche di inclusione e supporto al disagio psicologico post Covid. Questi fondi noi li abbiamo spesi contrattualizzando degli psicoterapeuti di supporto, aprendo lo sportello C.O.S.I.G. (Counseling sull’Orientamento Sessuale e l’Identità di Genere), allestendo delle resting room in cui gli studenti possono rilassarsi, se in preda a crisi di ansia o panico per una sorta di pronto soccorso psicologico.

Tuttavia, si tratta di interventi locali e non c’è una messa a sistema a livello nazionale. Inoltre, il counseling universitario, per sua natura, è un intervento breve, ma se lo studente ha bisogno di una presa in carico più duratura, spesso non può pagarsi una psicoterapia nemmeno con gli sconti che assicuriamo con le nostre convenzioni. Magari potrebbero essere ideali dei fondi che permettano allo studente di non dover ricorrere ad una psicoterapia a pagamento.

Quali sono i futuri progetti dell’Università di Bari in questo senso?

Attualmente stiamo lavorando su alcune fasce deboli della popolazione universitaria e stiamo cercando di ampliare il network di professionisti almeno a livello locale. Inoltre, l’Università di Bari sta riorganizzando tutti i servizi psicologici in un ufficio unico che si chiama “Servizio di Ateneo per il Benessere”: questo mette insieme il counseling universitario, gli interventi per le persone con disabilità e DSA e il welfare per i dipendenti. In questo modo, tutti coloro che operano con vari ruoli all’interno dell’istituzione universitaria possono star meglio, e l’istituzione stessa a sua volta può funzionare in modo più efficace. E tutto ciò si riversa inevitabilmente anche sulla società, perché dall’università escono i futuri professionisti che nella società opereranno.

Per maggiori informazioni sul progetto dell’università di Bari clicca qui

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Giorgia Martino
Giornalista, Social Media Manager e Web Content Editor