La perdita della vista legata allo stress, ossia quella che gli esperti chiamano cecità funzionale, ultimamente colpisce sempre più bambini e adolescenti. Il dato, emerso da una analisi dell’Ospedale San Giuseppe di Milano, mostra come l’aumento di questa patologia psicosomatica sia legato alla perdita di benessere psicologico e a un peggioramento dello stato di salute psicologica degli adolescenti post pandemia.
Che la pandemia abbia avuto un forte impatto sulle patologie legate alla salute mentale è stato ormai accertato dall’Organizzazione mondiale della Sanità
Che la pandemia abbia avuto un forte impatto sulle patologie legate alla salute mentale è stato ormai accertato e reso noto dall’Organizzazione mondiale della Sanità, in un documento uscito nel marzo 2022, a pochi mesi dalla fine ufficiale dell’emergenza, decretata nel maggio dell’anno scorso. Anche i dati pubblicati su JamaPediatrics, frutto di una metanalisi condotta su studi che hanno coinvolto oltre 80 mila giovani, e presentati nello stesso anno al convegno annuale della Società Italiana di NeuroPsicoFarmacologia hanno mostrato come un adolescente su quattro soffra di sintomi clinici di depressione, mentre uno su cinque riferisca disturbi d’ansia.
In qualità di patologia che ha origini esclusivamente psicosomatiche, la cecità funzionale, caratterizzata dall’assenza di alterazioni organiche rilevate dall’esame oculistico, esemplifica bene questa tendenza. I casi sono infatti aumentati in seguito ai vari periodi di lockdown scaturiti dalla fase più letale della diffusione della Covid19.
A portare attenzione sulla notizia è stato il San Giuseppe di Milano. Il nosocomio milanese ha diffuso in anteprima di dati di uno studio di prossima pubblicazione, evidenziando come i giovani pazienti con “perdita visiva funzionale” siano più che raddoppiati nel post pandemia.
La cecità funzionale, che ha origini esclusivamente psicosomatiche, esemplifica bene questa tendenza
Il dato è in linea con quanto già chiarito dall’OMS, secondo cui nelle persone che convivono con disturbi mentali, la gravità della malattia e la mortalità sono aumentate al diminuire dell’età e in maniera direttamente proporzionale alla gravità del disturbo. La popolazione più giovane sembra quindi essere la più colpita.
I numeri
L’osservazione clinica ha preso in esame e messo a confronto i pazienti transitati dagli ambulatori di oftalmologia dell’Ospedale San Giuseppe in un periodo antecedente la pandemia da Covid (da gennaio a giugno 2019) con quelli seguiti in un intervallo di tempo di analoga durata ma nel post pandemia (da gennaio a giugno 2023).
L’analisi dell’Ospedale San Giuseppe di Milano ha evidenziato un raddoppio dell’incidenza di cecità funzionale nel post-pandemia
Su un totale di circa 3.600 soggetti visitati in entrambi i periodi, i casi di perdita visiva funzionale sono stati 144 nel pre-pandemia contro i 326 del post, con un raddoppio dell’incidenza, che è passata dal 4 al 9%. Al di là del dato numerico, è rilevante anche che sia nel primo che nel secondo periodo, oltre l’80% delle diagnosi riguardasse pazienti minorenni.
“Se escludiamo quei soggetti che fingono intenzionalmente il sintomo, come i bambini che, per emulare il fratello o il compagno di classe, vorrebbero mettere gli occhiali anche se non ne hanno bisogno e che il medico ‘smaschera’ facilmente, resta una fetta consistente di pazienti affetti da un disturbo di conversione”, ha spiegato Andrea Lembo, medico oftalmologo dell’Ospedale San Giuseppe e autore dell’analisi.
“Si tratta di una forma di somatizzazione in cui una forma di sofferenza psicologica di natura psicosomatica viene involontariamente proiettata dal soggetto in un sintomo fisico – ha proseguito l’oculista –, un po’ come quei bambini a cui viene il mal di pancia perché sono in ansia per la verifica a scuola. Nel nostro caso, il disagio si manifesta sotto forma di difficoltà visiva, ad esempio nel vedere la lavagna, appannamento, bruciore oculare, cefalea, riduzione del campo visivo e altri disturbi legati alla vista. Riteniamo che l’aumento di questi casi, riscontrato negli ultimi mesi, possa essere in qualche modo correlato alla pandemia da Covid per i profondi cambiamenti psicosociali che ha portato con sé”.
Diagnosi e gestione della patologia: fra rassicurazioni ed effetto placebo
La diagnosi di questa patologia richiede un’anamnesi accurata da parte dello specialista, che dev’essere attento nel cogliere l’eventuale incompatibilità tra i sintomi e la quotidianità riferiti dal paziente e deve cercare di arrivare alla diagnosi senza un numero eccessivo di esami strumentali, volti a escludere altre patologie.
Si tratta di una forma di sofferenza psicologica di natura psicosomatica che viene involontariamente proiettata dal soggetto in un sintomo fisico
“È chiaro che se il paziente riferisce di non vedere bene, ma il problema svanisce quando deve andare a giocare a tennis o a svolgere una qualsiasi altra attività che gradisce, siamo di fronte a qualcosa di diverso dalla cecità funzionale. Nel caso dei minori – ha evidenziato il dottor Lembo – il dialogo con il genitore è fondamentale, per arrivare alla diagnosi e risalire al problema che può essere alla base del disturbo di conversione. In molti ci hanno raccontato che il confinamento dovuto alla pandemia aveva influito sulla psicologia dei propri figli, limitando la loro capacità di interagire e socializzare con i coetanei”.
È poi fondamentale individuare la corretta risposta terapeutica da restituire ai pazienti, che deve basarsi soprattutto sulla loro rassicurazione.
“Rassicurare non significa sottovalutare o sminuire quello che ci riferiscono i nostri assistiti – precisa Lembo – ma aiutarli a individuare strategie efficaci per attenuare i sintomi che lamentano”.
Rassicurare non significa sottovalutare o sminuire i sintomi ma aiutare i pazienti a individuare strategie efficaci per attenuarli
I suggerimenti terapeutici possono anche essere molto semplici: come guardare 30 secondi fuori dalla finestra per non sovraccaricare l’accomodazione dell’occhio in un videoterminalista, o chiudere gli occhi 5 secondi per farli riposare e capire se le immagini della lavagna tornano nitide, in un bambino in età scolare.
“Si può arrivare anche a utilizzare con buoni risultati l’effetto placebo – ha spiegato il clinico -. Nei pazienti, soprattutto bambini, che continuavano a riferire un certo sintomo nonostante la nostra rassicurazione, prima di procedere con una risonanza magnetica abbiamo provato a dare degli occhiali con lenti neutre. In diversi casi ha funzionato, evidentemente perché il bambino si è sentito in qualche modo protetto. Ci sono anche i casi in cui abbiamo optato per ulteriori accertamenti, come di fronte a cefalee persistenti, per le quali un secondo parere in un ambulatorio di neurologia è senza dubbio una scelta appropriata”.
La patologia clinica, specchio della società
Pur trattandosi di una disciplina estremamente specialistica, la cecità funzionale secondo il professor Paolo Nucci, senior consultant della University Eye Clinic San Giuseppe e Professore Ordinario di Oftalmologia presso l’Università degli Studi di Milano, non può non riflettere i cambiamenti profondi della società.
“Oltre al dramma vissuto, la pandemia ha prodotto una serie di conseguenze dirette sulla psicologia di tutti noi – ha affermato il professore -. E questi strascichi emotivi stanno producendo effetti anche sulla percezione visiva. In più, già da tempo assistiamo all’affermarsi di modelli che, attraverso i social media, impongono messaggi di perfezione surreale in ogni ambito della vita. I giovani rischiano di sentirsi costretti a conformarsi alle aspettative sociali per essere accettati dagli altri, con inevitabili ripercussioni sulla loro salute mentale. Di fronte a questo scenario, possiamo ipotizzare che l’incidenza della cecità funzionale nei prossimi anni continuerà a crescere”.
Uno degli sviluppi futuri dello studio potrebbe essere un’estensione in regioni colpite in modo diverso dalla pandemia
Molti dei pazienti che afferiscono all’Ospedale San Giuseppe di Milano provengono dalla Lombardia, regione colpita per prima dall’ondata epidemica, dove i timori dovuti al dilagare dell’infezione e alle limitazioni imposte alla circolazione sono perdurati e hanno avuto modo di incidere più a lungo sulla popolazione. Uno dei possibili sviluppi futuri dello studio potrebbe, quindi, essere un’estensione dell’indagine ad altri centri oftalmologici, per valutare eventuali differenze nell’incidenza dei casi di perdita visiva funzionale in regioni colpite in modo diverso dalla pandemia.