Pronto Soccorso al collasso: tra carenze di personale e accessi crescenti, la Medicina d’Emergenza Urgenza chiede una svolta

«Abbiamo una ricchezza enorme da cui ripartire, il valore di tanti professionisti giovani e meno giovani. Insieme possiamo fare qualcosa per il nostro SSN» dichiara Fabio De Iaco, Presidente SIMEU

Si è chiusa con un bilancio preoccupante l’ottava edizione dell’Accademia dei Direttori SIMEU, delineando un quadro critico per la Medicina d’Emergenza Urgenza in Italia. I dati emersi durante l’evento hanno messo in luce i principali ostacoli che affliggono il settore: carenza di personale, accessi inappropriati e un aumento dei casi di boarding (pazienti bloccati in Pronto Soccorso in attesa di ricovero).

Nonostante gli sforzi organizzativi, il Servizio Sanitario Nazionale sembra in grande difficoltà nell’assicurare risposte adeguate alle crescenti esigenze della popolazione.

In occasione dell’evento, che ha raccolto Direttori di Struttura provenienti da tutta Italia, sono stati presentati i risultati di una rilevazione condotta dalla Società Scientifica nei giorni 3, 4 e 5 novembre 2024 con lo scopo di descrivere – attraverso dati concreti – la situazione attuale inquadrata nel generale contesto del Servizio Sanitario Nazionale. Gli 80 centri coinvolti nella rilevazione sono rappresentativi di un numero di accessi di Pronto Soccorso nell’intero 2023 pari a 3.957.321, ovvero il 22% degli accessi totali secondo i dati di confronto da AGENAS. E, secondo il rapporto SIMEU, la situazione è piuttosto critica.

Il primo dato che emerge è un ulteriore incremento degli accessi annui che, al 30 settembre 2024, registra un +2,2% rispetto al 2023, proiettando il valore annuo a circa 19 milioni di visite. Dal 2020 a oggi, l’incremento cumulativo è del 29%, segnale di una crescente necessità di accesso rapido alle strutture sanitarie pubbliche.

Carenza di personale e stress tra gli operatori sanitari

I principali problemi che affliggono i Pronto Soccorso sono legati soprattutto alla carenza di personale (29%), seguita dal boarding (26%), dagli accessi impropri (26%) e dalle aggressioni (19%).

La situazione è ulteriormente aggravata dallo stress lavoro-correlato, indicato come la principale causa di disaffezione dei medici verso il lavoro in Pronto Soccorso (29%), seguito da un’insufficiente valorizzazione economica (26%), qualità della vita (23%) e rischio medico-legale (22%).

 «Lo stress correlato a un’attività intensa è anche l’elemento più critico in assoluto che definisce la disaffezione dei medici al lavoro in Pronto Soccorso, prima ancora che la valorizzazione economica», afferma Antonio Voza, Segretario nazionale SIMEU.

Fabio De Iaco

Aggiunge Fabio De Iaco, Presidente SIMEU a TrendSanità: «Credo che ci sia una differenza profonda tra le generazioni: la mia generazione ha sempre vissuto una totale fusione tra vita professionale e identità personale, mentre oggi i giovani non sono più disposti a fare questo sacrificio. E penso che abbiano ragione. Per attirarli verso queste professioni, bisogna valorizzarle non solo economicamente, ma anche a livello sociale ed etico. Abbiamo perso questo patto sociale e, senza un riconoscimento economico adeguato, sarà difficile recuperarlo».

Boarding: un problema in crescita

Il fenomeno del boarding si conferma in crescita per il 54% delle strutture coinvolte. Solo nel 10% dei casi non costituisce un problema e nel 36% delle strutture è diminuito grazie a specifici provvedimenti organizzativi.

Andrea Fabbri, dell’Ufficio di Presidenza SIMEU, osserva: «È confortante che nel 36% dei centri si registri una diminuzione grazie a interventi organizzativi specifici, ma il problema resta rilevante nella maggior parte dei casi e chiede un maggior impegno per le strutture dell’Emergenza Urgenza».

Le richieste alla medicina del territorio

I Direttori dei Pronto Soccorso chiedono un maggior filtro da parte della Medicina Generale (28%), l’attivazione di ambulatori ad accesso diretto (25%), una presa in carico più rapida dei pazienti dimissibili (24%) e una diminuzione dei tempi d’attesa per gli esami diagnostici (23%).

De Iaco sottolinea che, nonostante le liste d’attesa siano un tema ricorrente, le vere priorità sono la gestione tempestiva e l’adeguamento degli organici

Emerge chiaramente come i Pronto Soccorso italiani stiano funzionando da tampone dell’intero sistema, reggendo il peso di condizioni di cronicità e socio-assistenzialità che non avrebbero alcun motivo di essere gestiti dalla Medicina d’Emergenza Urgenza se non per l’insufficienza delle strutture che dovrebbero prenderle in carico.

Nuovi modelli organizzativi e accessi impropri

«In altri Paesi, come quelli anglosassoni, nei Pronto Soccorso esistono stanze dedicate, ad esempio, per gli ubriachi o i senzatetto. In Italia, invece, gestiamo tutto insieme – racconta ai microfoni di TrendSanità De Iaco. Personalmente, ho sempre fatto in modo che nessuno fosse allontanato. Ricordo con grande dispiacere un episodio avvenuto molti anni fa al Pronto Soccorso di Ostia: un senzatetto fu allontanato e ritrovato morto assiderato davanti all’ospedale la mattina dopo. È chiaro che il Pronto Soccorso ha anche un ruolo sociale che non può essere ignorato.

Il modello organizzativo va profondamente rivisto, soprattutto per quanto riguarda la carenza di organico e di specialisti. Serve una migliore stratificazione delle competenze, valorizzare chi ha ruoli dirigenziali, anche per migliorare il supporto durante il lavoro.

Ad esempio, le semi-intensive nei PS sono una necessità nazionale e devono essere valorizzate, senza entrare in conflitto con le esigenze di altri specialisti, come gli internisti. Secondo me, dovremmo distinguere chiaramente tra le semi-intensive del Pronto Soccorso, che devono gestire pazienti esterni all’ospedale, e quelle delle altre specialità che si occupano dei casi già presenti, permettendo così anche un ricambio più rapido per le rianimazioni.

Il modello organizzativo, le competenze interne e il ruolo sociale vanno tutti rivisti e rafforzati, senza dimenticare la nostra funzione principale».

«La situazione degli accessi impropri è peggiorata negli ultimi vent’anni – aggiunge Daniela Pierluigi del direttivo SIMEU – con un aumento delle aggressioni dovuto all’esasperazione delle persone che, non trovando risposte a livello territoriale, si riversano nei Pronto Soccorso, disponibili 24 ore su 24. Noi cerchiamo di rispondere a tutti, ma la pressione e la mancanza di risorse ci rendono difficile mantenere sempre una comunicazione ottimale.

Anche la gestione degli anziani è problematica: molti sono portati in ospedale come pretesto per poi lasciarli lì, spesso a causa dell’impossibilità economica di mantenerli a casa o di pagare una badante. Il supporto dello Stato è insufficiente e questo si traduce in una pressione ulteriore sui PS e sull’intero sistema sanitario».

Ci sono alcuni progetti di supporto, come il programma “Meglio a casa” in Liguria, che offre una badante gratuita per un mese, ma sono risorse limitate e non accessibili a tutti e progetti non estesi sull’intero territorio nazionale.

La carenza di RSA (Residenze Sanitarie Assistenziali) poi rallenta il deflusso dei pazienti dai reparti, causando situazioni di boarding nei Pronto Soccorso, che risultano sovraccaricati e incapaci di liberare posti letto per nuovi pazienti in attesa».

Progetto “Aver Cura”: la voce dei cittadini

Durante i lavori sono stati presentati i risultati del progetto “Aver Cura”, che per la prima volta ha coinvolto attivamente cittadini, pazienti e parenti nella valutazione del servizio di emergenza. Dalle risposte emerge una profonda mancanza di educazione sanitaria: il 41% dei pazienti non comprende il significato del triage, il 72% si è recato in PS almeno 3 volte in un anno e il 49% ha atteso più di otto ore prima di essere ricoverato.

Daniela Pierluigi

Daniela Pierluigi, che ha diretto il progetto, afferma: «Un paziente dovrebbe essere ricoverato in reparto entro 8 ore dal suo ingresso in PS. Quasi la metà dichiara di aver atteso oltre. Si è molto dibattuto sul significato di “appropriatezza” degli accessi, ma il fatto reale è che maggiori presenze richiedono maggiori sforzi di assistenza e i grandi numeri rallentano la struttura organizzativa, aggravandola».

Il dato positivo è che, più il rischio clinico è grave, più i pazienti percepiscono di aver ricevuto cure adeguate e comunicazioni chiare. Una percezione che invece scende tra i codici bianchi, il 21% dei quali dichiara di aver ricevuto informazioni insufficienti.

«I pazienti con codici rossi e arancioni – conferma a TrendSanità Daniela Pierluigi – ricevono la nostra massima attenzione e raramente si lamentano. Al contrario, le lamentele arrivano principalmente dai pazienti con codici bianchi e verdi, che spesso desiderano semplicemente una prestazione veloce a volte anche con una certa impazienza. Ricordo il caso di una giovane che mi voleva denunciare perché, a suo dire, stava perdendo l’ora di palestra».

Medici sotto assedio: aggressioni e frustrazione

I dati relativi al rapporto tra cittadini e operatori sono allarmanti: il 76% dei sanitari (in maggioranza infermieri) ha subito aggressioni verbali e il 64% fisiche.

Nonostante il 96% degli operatori sanitari sia a conoscenza del Decreto Legge 113, che sancisce la pena alle aggressioni subite in PS, solo il 36% ha denunciato le aggressioni alla Direzione sanitaria o alle forze dell’ordine

«I numeri rilevati restituiscono un quadro che conferma la percezione che viviamo quotidianamente nei PS – conclude Pierluigi. Sappiamo bene che si prova spavento quando si ha la sensazione di non essere o non poter essere curati, ma i medici e gli infermieri della medicina di emergenza urgenza sono troppo spesso considerati come coloro che creano impedimenti al fluire di quelle che sono le sentite esigenze dei singoli pazienti».

«Noi ci siamo già espressi chiaramente contro la militarizzazione dei Pronto Soccorso aggiunge De Iaco a TrendSanità. In alcuni casi, addirittura, si è parlato di esercito. Non è ciò che voglio vedere in un PS. Le aggressioni sono una realtà quotidiana e un problema serio, ma non il principale. È un problema che, per quanto odioso, noi operatori abbiamo imparato a gestire, sebbene sia in crescita e diventi sempre più difficile da affrontare. Come mostrano i dati presentati, i direttori dei Pronto Soccorso mettono le aggressioni all’ultimo posto rispetto ad altre urgenze».

La speranza è appesa a un filo

Conclude De Iaco: «Quando mi chiedono se ce la faremo a salvare il SSN, rispondo che dobbiamo farcela, perché la prospettiva è davvero cupa. Ma non vedo, al momento, la volontà politica di intraprendere una riforma profonda. Continuano a essere proposti solo interventi d’urgenza che rappresentano soluzioni temporanee. È necessario coinvolgere sia i professionisti, sia i cittadini per ripensare il futuro del Servizio Sanitario Nazionale».

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Ivana Barberini
Giornalista specializzata in ambito medico-sanitario, alimentazione e salute