In un contesto di risorse scarse, «per fare fronte a esigenze di contenimento della spesa pubblica dettate anche da vincoli euro unitari, devono essere prioritariamente ridotte le altre spese indistinte, rispetto a quella che si connota come funzionale a garantire il “fondamentale” diritto alla salute di cui all’art. 32 Cost., che chiama in causa imprescindibili esigenze di tutela anche delle fasce più deboli della popolazione, non in grado di accedere alla spesa sostenuta direttamente dal cittadino, cosiddetta out of pocket». È quanto si legge nella sentenza n. 195 del 2024, depositata il 6 dicembre, con cui la Corte costituzionale ha deciso il ricorso della Regione Campania avverso l’art. 1, commi 527 e 557, della legge 30 dicembre 2023, n. 213 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2024 e bilancio pluriennale per il triennio 2024-2026).
La Corte ha dichiarato non fondate diverse questioni, che riguardavano la legittimità della misura, le modalità e la durata del concorso delle regioni agli obiettivi di finanza pubblica, stabilite dalla legge di bilancio 2024 nelle more della nuova governance economica europea, che, peraltro, mostrano la volontà del legislatore statale di non far gravare il suddetto contributo sulle spese relative alla missione 12, Diritti sociali, politiche sociali e famiglia, e alla missione 13, Tutela della salute. La sentenza ha però sollecitato il legislatore, al fine di «scongiurare l’adozione di “tagli al buio”», ad «acquisire adeguati elementi istruttori sulla sostenibilità dell’importo del contributo da parte degli enti ai quali viene richiesto» e a non trascurare, per garantire maggiore effettività al principio di leale collaborazione, il coinvolgimento della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, di cui l’art. 5 della legge 5 maggio 2009, n. 42.
La sentenza ha poi dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 527, quinto periodo, della legge di bilancio per il 2024, ma solo nella parte in cui non esclude dalle risorse che è possibile ridurre, a seguito del mancato versamento del contributo dovuto da parte delle regioni, quelle spettanti per il finanziamento dei diritti sociali, delle politiche sociali e della famiglia e, in particolare, della tutela della salute. Ciò in quanto, «nemmeno nel caso in cui la regione non abbia versato la propria quota del contributo alla finanza pubblica, lo Stato può “rispondere” tagliando risorse destinate alla spesa costituzionalmente necessaria, tra cui quella sanitaria – già, peraltro, in grave sofferenza per l’effetto, come si è visto, delle precedenti stagioni di arditi tagli lineari – dovendo quindi agire su altri versanti che non rivestono il medesimo carattere»: il diritto alla salute, infatti, «coinvolgendo primarie esigenze della persona umana», non può essere sacrificato «fintanto che esistono risorse che il decisore politico ha la disponibilità di utilizzare per altri impieghi che non rivestono la medesima priorità».
Da ultimo, la sentenza ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 557 dell’art. 1 della legge n. 213 del 2023, nella parte in cui non prevede che il decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, diretto a individuare i criteri e le modalità di riparto, nonché il sistema di monitoraggio dell’impiego delle somme, del «Fondo per i test di Next-Generation Sequencing per la diagnosi delle malattie rare», sia adottato d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano.