Negli ospedali italiani mancano medici e infermieri e non solo a causa della pandemia. Se si guardano i numeri, si vede che in un decennio (tra il 2009 e il 2019) il personale sanitario (che comprende anche biologi, chimici, fisioterapisti…) è calato di oltre 45.000 unità.
“Per capire perché oggi ci troviamo in questa situazione, dobbiamo partire da lontano – conferma Carlo Palermo, segretario Anaao Assomed – Dalla spending review e dai mancati incrementi al Fondo sanitario nazionale che ci sono stati dopo la crisi finanziaria del 2008-09”.
Tra il 2010 e il 2019, la Ragioneria generale dello Stato ha registrato una diminuzione di personale medico di 5.006 unità (il 4,3%).
La legge 191/2009 ha imposto un tetto di spesa sul personale: per anni le aziende sanitarie non hanno potuto spendere più dell’ammontare destinato al personale nel 2004, diminuito dell’1,4%.
Dieci anni dopo, nel 2019, il Decreto Calabria ha previsto che la spesa per il personale sanitario non potesse superare quella effettuata nel 2018. Sia i valori stabiliti nel 2009, sia quelli del 2019 prevedono un aumento annuo, a livello regionale, pari al 5% dell’incremento del Fondo sanitario nazionale.
In un decennio, tra il 2009 e il 2019, il personale sanitario è calato di oltre 45.000 unità
La prima vera inversione di rotta è arrivata nella programmazione 2019-2021 grazie al Decreto fiscale: per questo triennio è infatti previsto un incremento annuo del 10%, più un ulteriore 5% da assegnare alle Regioni che dimostrino di avere carenza di personale.
La legge di bilancio 2022 ha infine previsto un incremento progressivo del Fondo sanitario nazionale di due miliardi all’anno per il prossimo triennio e ha permesso la stabilizzazione degli operatori sanitari precari entrati nel Ssn durante l’emergenza sanitaria. Infine, ha reso permanenti ogni anno 12.000 borse per la formazione specialistica dei medici.
“Adesso abbiamo una prospettiva di uscita dalla carenza che si concretizzerà però tra qualche anno – afferma Palermo – Dobbiamo affrontare un deserto di specialisti per i prossimi 3-4 anni e la vera domanda da porci è che cosa fare nel frattempo”.
Adesso abbiamo una prospettiva di uscita dalla carenza, che si concretizzerà però tra qualche anno. Come affrontare il deserto di specialisti per i prossimi 3-4 anni?
Per l’esperto andrebbe strutturata la direzione presa dalla legge di bilancio, cioè assumere gli specializzandi con un contratto di formazione lavoro a partire già dal terzo anno. “Abbiamo una platea di circa 15.000 colleghi che possono essere utilmente impiegati nel Ssn dove potranno completare sul campo la loro formazione”, spiega Palermo.
Inoltre, considerando anche il numero consistente di medici che escono dal Ssn per pensionamento, “si potrebbe chiedere su base volontaria di prolungare la loro permanenza in servizio, garantendo chiaramente dei vantaggi previdenziali”. Infine, si potrebbe allargare la partecipazione ai concorsi e agli avvisi pubblici anche a colleghi extra comunitari che sarebbero utili per completare le dotazioni organiche.
Mancano almeno 15.000 medici ospedalieri
Anaao Assomed ha stimato che manchino all’appello almeno 15.000 medici ospedalieri a causa delle errate politiche di programmazione della formazione post laurea nell’ultimo decennio. E anche se, per una volta, non siamo fanalino di coda a livello europeo, il presente e il futuro non sono rosei. Secondo quanto riporta il documento State of the Health in the Eu 2021 dedicato all’Italia e redatto dall’Ocse, con l’European Observatory on Health System and Policies, in collaborazione con la Commissione europea, il numero totale di medici nel nostro Paese è leggermente superiore alla media Ue (4,1 ogni 1.000 abitanti contro i 3,9). Tuttavia, è in calo chi esercita nelle strutture pubbliche o come medico di base.
“Va notato che siamo di poco sopra alla media – considera Palermo – e che, a causa dei carichi di lavoro e della retribuzione, che in Italia è di 40-50.000 euro all’anno inferiore a quella di altri Paesi, molti colleghi preferiscono il privato, la libera professione o ancora l’estero”.
Situazione confermata anche da Giovanni Leoni, vicepresidente Fnomceo (la Federazione nazionale degli Ordini dei medici e dei chirurghi e degli odontoiatri): “Siamo tra gli Stati europei che pagano peggio e siamo i principali fornitori di medici formati agli Usa”.
Per Federico Lavagno, coordinatore nazionale del Dipartimento Post Laurea della Sigm (Segretariato italiano giovani medici) e medico specializzando in Urologia a Città della Salute di Torino, “l’investimento che lo Stato fa per formare uno specializzando ammonta a circa 150.000 euro. Quando un professionista sceglie di andare altrove, abbiamo quindi una doppia perdita perché abbiamo pagato per formare qualcuno che andrà a generare ricchezza altrove”.
La proposta di Leoni è quella di tornare ad affiancare gli specializzandi: “Si potrebbero prevedere delle reti formative allargate che permettano a questi medici di uscire dalle università. Alcune attività di corsia, le sale operatorie miste con specializzando e strutturato, gli ambulatori con lo specialista e il giovane medico: sono tutte situazioni in cui si potrebbe mettere in atto un affiancamento progressivo”.
Una volta la vita di reparto era mista e includeva professionisti di generazioni e livelli di formazione differenti, ricorda Leoni. “Poi, per motivi economici, il ricambio è stato bloccato ed è diventato problematico anche solo sostituire le gravidanze del personale medico. Dobbiamo ricordarci che è in atto una progressiva femminizzazione della professione: sarà quindi sempre più frequente (e auspicabile) che un reparto si trovi a dover sostituire più di una persona per gravidanza. Anche per questo è necessario investire sul personale”.
L’aumento delle borse di specializzazione
Il significativo aumento di borse di studio di specializzazione introdotto nella Legge di Bilancio, così come il progressivo incremento registrato negli ultimi anni è sicuramente una buona notizia, poiché permette di equiparare il numero di laureati annuali in Medicina ai posti nelle scuole di specialità, superando l’imbuto formativo che ha caratterizzato il nostro Paese nell’ultimo decennio. Tuttavia, come nota Lavagno, “a un aumento quantitativo avrebbe dovuto accompagnarsene uno qualitativo, cosa che non è avvenuta. I numeri degli specializzandi sono cresciuti, ma le strutture e il corpo docenti non è stato adeguato di conseguenza. Il rischio, quindi, è di non fornire una preparazione all’altezza”.
I numeri degli specializzandi sono cresciuti, ma le strutture e il corpo docenti non sono stati adeguati di conseguenza. Con il rischio di non fornire una preparazione all’altezza
Lavagno sottolinea poi come manchino calcoli accurati sui fabbisogni reali di specialisti: “I posti sono stati aumentati in modo lineare in tutte le scuole di specialità, con un’attenzione particolare a quelle carenti per la pandemia (igiene e medicina preventiva, anestesia, medicina d’urgenza), ma una corretta programmazione non guarda ai bisogni di salute dell’oggi, ma alle prospettive future”.
Il giovane medico evidenzia poi come il quadro sia molto complesso: “Purtroppo non esiste un’azione che, da sola, sia risolutiva. Qualunque scelta si compia, questa cambia gli equilibri e necessita quindi di una serie di correttivi. Per esempio: aumentare i posti a Medicina significa far crescere il numero di aspiranti specializzandi e quindi sarebbe necessario aumentare (di nuovo) le borse di specializzazione. Ma a questo punto occorre valutare se il numero di medici specializzati potrà davvero essere assorbito dal Ssn nei prossimi anni. Se non si eseguono questi ragionamenti a catena, il rischio diventa quello di spostare il problema”.
Il passo avanti della Legge di Bilancio
Sono 48.000 i professionisti sanitari che saranno stabilizzati all’interno del Ssn in seguito all’accoglimento nella Legge di Bilancio della proposta di Fiaso. Secondo la Federazione, il provvedimento potrebbe riguardare 8.438 medici, 22.507 infermieri e 17.049 operatori sociosanitari e altro personale sanitario (tra cui tecnici di laboratorio, assistenti sanitari, biologi…).
“Finalmente si torna a investire nella sanità pubblica e soprattutto nelle risorse umane che rappresentano le basi non solo per gestire il presente con la quarta ondata pandemica in corso, ma anche e soprattutto su cui costruire il futuro del servizio sanitario nazionale e le gambe per poter correre con idee e progetti – dichiara Giovanni Migliore, presidente Fiaso – Siamo soddisfatti del recepimento del nostro emendamento da parte del Governo e dell’intero Parlamento che hanno dimostrato di avere a cuore il Servizio sanitario nazionale. Potremo valorizzare il patrimonio di esperienza accumulato in quasi due anni dai professionisti e colmare le carenze di organico dopo anni di restrizioni della spesa, programmare e investire in modo efficiente ed efficace le risorse assegnate alla formazione e sviluppare le progettualità del Pnrr. Non tutti gli operatori e non tutte le figure professionali impegnate nell’emergenza, però, rientrano nelle procedure di stabilizzazione: come aziende sanitarie e ospedaliere ci impegniamo a garantire, secondo il piano dei fabbisogni e dei tetti di spesa, percorsi di assunzione attraverso concorsi pubblici”.
Sono 48.000 i professionisti sanitari che saranno stabilizzati all’interno del Ssn in seguito all’accoglimento nella Legge di Bilancio della proposta di Fiaso
Dall’inizio dell’emergenza Covid sono infatti stati reclutati con modalità straordinarie 66.029 precari, utilizzati per rispondere alla crisi sanitaria in attività come l’assistenza ospedaliera, il contact tracing, l’incremento del numero di tamponi e la campagna di vaccinazione. Nello specifico, il personale reclutato è rappresentato da 20.064 medici e da 23.233 infermieri. Le restanti 22.732 unità sono costituite da operatori sociosanitari e altre professionalità (tecnici di radiologia, tecnici di laboratorio, assistenti sanitari, biologi…).
Dai 66.029 precari, vanno sottratti i medici abilitati non specializzati, gli specializzandi iscritti al quarto e quinto anno e il personale collocato in quiescenza ma reclutato con incarichi di lavoro autonomo. Il numero di precari interessati dalla procedura di stabilizzazione sarebbe dunque pari a 53.677.
Uno studio condotto da Fiaso con il supporto di Sda Bocconi ha poi calcolato che, fra il 2020 e il 2024, andranno in pensione 35.129 medici, 58.339 infermieri e altri 38.483 professionisti sanitari.
Analizzando i flussi in uscita dall’attività lavorativa del personale sanitario con quelli in entrata, rappresentati da coloro che hanno concluso il percorso di formazione e sono disponibili sul mercato del lavoro, rispetto al turnover del personale sanitario è possibile osservare che tra il 2020 e il 2024 ci saranno circa 8.299 medici e 10.054 infermieri in meno a disposizione del Ssn.
Secondo le elaborazioni di Fiaso, il numero dei precari si sovrappone in modo quasi coincidente con il fabbisogno medico, infermieristico e di altro personale rispettivamente nei prossimi uno, due o tre anni. Il numero dei precari medici e infermieri ricalca, inoltre, le differenze registrate dei flussi in entrata e in uscita dei professionisti, colmando il gap che si andrà a creare nei prossimi anni per l’imbuto formativo. L’assunzione a tempo indeterminato consentirebbe quindi di colmare le carenze di personale, ma anche di adeguare le dotazioni organiche alle nuove esigenze del Pnrr.
Da qui la proposta di stabilizzazione avanzata al Governo.
La normativa attuale prevede infatti la possibilità di far accedere alle procedure di stabilizzazione speciali – entro la fine del 2022 – gli operatori precari che, reclutati con regolari procedure selettive, abbiano maturato, al 31 dicembre 2022, almeno 36 mesi di servizio, anche discontinuo, negli ultimi otto anni nel periodo di dichiarato stato di emergenza nazionale presso le amministrazioni che effettuano le assunzioni.
Per Palermo quanto approvato con la Legge di bilancio è “un segnale importante che dimostra che il governo ha pensato al problema, ma siamo in ritardo di almeno un decennio e la posta messa in gioco non è sufficiente: le Regioni avevano chiesto 1,2 miliardi sul personale, mentre sono stati concessi 600 milioni”. Per il segretario di Anaao Assomed è stato un errore non accedere al finanziamento del Mes: “Non sarebbe stato necessario il finanziamento complessivo di 37 miliardi destinato all’Italia – afferma – Sarebbe bastato anche solo il 50% di questa cifra per preparare e rafforzare il Ssn e garantire visite e operazioni a tutti i pazienti, anche in epoca Covid”.