La Tubercolosi, malattia infettiva tra le più antiche dell’umanità, continua a rappresentare una sfida per la Salute pubblica in tutto il Mondo. In occasione della Giornata Mondiale sulla Tubercolosi, che si celebrerà il 24 marzo 2023, si rinnova la strategia ‘’Yes! We can end TB’’, con l’obiettivo di porre globalmente fine alle epidemie di tubercolosi entro il 2030, così come espresso negli Obiettivi dell’Agenda per lo Sviluppo Sostenibile dell’ONU.
Quest’anno il World TB Day ha l’obiettivo di sensibilizzare le istituzioni leader dei settori coinvolti nella lotta alla tubercolosi, ma anche gli enti e gli operatori sanitari del territorio a collaborare attivamente al fine di arrestare la malattia e ridurre il numero di decessi. L’invito esorta non solo al confronto e allo scambio di best practices tra gli Stati membri, ma anche all’investimento sulla Ricerca e sulle innovazioni che permettano di perseguire gli obiettivi prefissati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, tra cui l’accesso ad una nuova diagnosi molecolare rapida, lo sviluppo di nuovi vaccini e l’introduzione di nuovi (e più brevi) regimi terapeutici contro la tubercolosi resistente ai farmaci.
Per quanto riguarda la sorveglianza nazionale, i dati del Tuberculosis Annual Epidemiological Report for 2020, mostrano che l’Italia continua a rientrare tra i Paesi a bassa incidenza (<20/100.000). I casi sono in calo dal 2010 e l’incidenza calcolata sulle notifiche nazionali è anch’essa in diminuzione dal 2019 (2,3%). Per una corretta lettura di questi dati occorre tuttavia considerare che, come evidenziato nel report OMS, la pandemia da SARS-CoV-2 ha inevitabilmente determinato una diminuzione delle notifiche dei casi in tutto il mondo, che sono passate dai 7,1 milioni nel 2019 a 5,8 milioni nel 2020 (con un calo del 18%) tornando ai numeri del 2012.
Com’è ben noto, il nostro Paese è stato interessato e continua ad essere colpito sempre più intensamente da flussi migratori provenienti da Paesi in cui l’incidenza di Tubercolosi è elevata. Le condizioni di sovraffollamento che possono verificarsi sia durante il viaggio che nei centri di accoglienza gravano sullo stato di salute dei migranti, facilitando la trasmissione del micobatterio. Dal momento che la maggior parte dei casi di malattia si verifica entro 2 anni dall’ingresso nel Paese ospitante e che la differenza nel rischio relativo tra stranieri e italiani è ancora evidente (RR=6,7), il contrasto alla diffusione della tubercolosi deve necessariamente passare attraverso una serie di interventi strutturati e coordinati in modo da ridurre il rischio di diffusione di questo pericoloso patogeno.
In occasione della Giornata Mondiale sulla Tubercolosi, la Società Italiana di Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica (SItI) sottolinea l’importanza e l’urgenza di intensificare le azioni di contrasto all’infezione per raggiungere gli obiettivi prefissati dall’ONU.
“L’individuazione precoce dei casi di infezione – dichiara la Prof.ssa Roberta Siliquini, Presidente della Società Italiana d’Igiene – è necessaria per garantire l’accesso ad un trattamento precoce in grado di garantire una maggiore efficacia e la tutela della salute dei pazienti. Occorre agire sulle condizioni di salute delle persone che giungono nel nostro Paese, sia tramite l’abbattimento delle barriere socio-linguistiche che attraverso l’attuazione di protocolli per la valutazione precoce dello stato di salute e per il monitoraggio nelle fasi successive all’accoglienza. È opportuno, inoltre, uno sforzo in maggiori investimenti nei Dipartimenti di Prevenzione, anche in termini di reclutamento di risorse umane, come in parte previsto dal piano di rafforzamento dell’assistenza territoriale, che possano svolgere un ruolo di coordinamento al fine di attuare una ricerca proattiva dei casi di TBC, avvalendosi dell’ausilio della Medicina Scolastica, deputata alla prevenzione delle patologie in età scolare”.
“La continua ricerca verso l’individuazione di ‘buone pratiche’ – conclude la Prof.ssa Roberta Siliquini – deve tuttavia abbracciare anche patologie ben note e non più definibili come emergenti quali malaria, malattie sessualmente trasmissibili, parassitosi e HIV. Patologie che, negli ultimi anni, complice un plateau temporale nella loro prevalenza, hanno assottigliato il loro appeal verso gli investimenti in Ricerca, nonostante continuino a determinare un importante impiego dei servizi sanitari e aggravare il peso della multiresistenza farmacologica, con un inevitabile impatto sulle condizioni di salute della popolazione”.