I bambini con Disturbo dello Spettro Autistico (Autism Spectrum Disorder/ASD) appartengono a una popolazione di pazienti unica, caratterizzata da un disturbo dello sviluppo che comporta difficoltà nelle funzioni sociali e comunicative anche gravi.
Il DSM 5 ha ridefinito i diversi livelli di autismo definendolo “disturbo dello spettro autistico”, per inquadrare la diagnosi in base al bisogno di supporto e assistenza e al funzionamento della persona. L’ASD, infatti, è una sindrome molto complessa che riguarda l’età evolutiva. I sintomi e i deficit che la caratterizzano sono molteplici, per questo si parla di “spettro autistico”.
Sono tre i livelli di autismo che aiutano a delineare la gravità dei sintomi in base alle aree di riferimento diagnostiche riassunte così dall’American Psychiatric Association: deficit nell’interazione sociale, nella comunicazione verbale e non verbale, comportamenti e interessi ristretti e ripetitivi.
- Il livello 1 di autismo è il meno grave ed è definito autismo lieve. Rientra in questa categoria l’autismo ad alto funzionamento.
- Il livello 2 è in una zona intermedia in termini di gravità dei sintomi e di necessità di supporto.
- Il livello 3 è la forma più grave del disturbo dello spettro autistico.
I bambini o i ragazzi autistici accedono con più frequenza al Pronto Soccorso rispetto ai loro coetanei
Secondo le statistiche i bambini o i ragazzi autistici accedono con più frequenza al Pronto Soccorso (PS) rispetto ai loro coetanei, per problematiche mediche e comportamentali, in particolare aggressività e comportamenti autolesionistici e traumi. Durante l’accesso in PS, il livello di stress e le manifestazioni imprevedibili sono dovuti a diversi fattori. La difficoltà nella comunicazione, l’ipersensorialità verso stimoli uditivi, visivi e tattili, ambienti sconosciuti o non prevedibili diventano per la persona autistica aspetti insostenibili.
Una recente ricerca pubblicata sulla rivista Pediatrics mette in evidenza alcune raccomandazioni per la gestione delle persone con autismo in Pronto Soccorso e analizza le difficoltà incontrate dai genitori quando accedono a tale servizio di emergenza. Autismo e pronto soccorso in Italia, al momento, è un binomio orfano di un protocollo che permetta a medici e operatori sanitari del reparto di emergenza di gestire efficacemente questi casi.
Le difficoltà maggiori al momento dell’accesso al pronto soccorso riguardano le lunghe liste di attesa, la cattiva comunicazione, gli esami fisici e le procedure invasive che impongono di “toccare il corpo” e il sovraccarico sensoriale legato alle caratteristiche ambientali del reparto (rumore intenso, luce forte, setting affollato).
Parliamo di autismo e pronto soccorso con Luigi Mazzone, Professore ordinario, Direttore della Scuola di Specializzazione in Neuropsichiatria Infantile dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata e della U.O.S.D. di Neuropsichiatria Infantile del Policlinico Tor Vergata.
Quali sono le cause più frequenti dell’accesso dei bambini o ragazzi autistici in pronto soccorso?
Nella mia esperienza, soprattutto casi di agitazione psicomotoria e crisi comportamentali, che possono mascherare l’insorgenza o l’amplificazione di veri e propri disturbi psichiatrici in comorbidità. Ad esempio, i disturbi dell’umore e i disturbi d’ansia sono la ragione più comune per l’utilizzo del DEA (Dipartimento di Emergenza Urgenza e Accettazione) per i pazienti autistici. Si assiste poi a un aumento degli accessi in pronto soccorso soprattutto quando finisce la scuola. Perché la scuola, comunque, è un contenitore, scandisce temporalmente le giornate sia del bambino, sia della famiglia. Quando iniziano le vacanze, quindi, si crea una specie di vuoto da colmare e il rischio è che il bambino si possa un po’ “scompensare”, privato di quella routine.
In altre parole, tutte quelle problematiche che sono “protette” dalla routine scolastica, durante il periodo estivo emergono con più forza. Poi ci sono sicuramente tutte le questioni legate agli aspetti medici, come dolori dovuti a condizioni mediche sottostanti, ma sostanzialmente nell’accesso al DEA di un paziente autistico prevale la componente comportamentale. Consideri che la percentuale degli atti suicidari tra le persone autistiche è maggiore rispetto ai non autistici. Ci sono diverse evidenze scientifiche che lo affermano: alcune di queste ricerche riportano che l’ideazione suicidaria è presente nel 32% dei soggetti autistici, il tasso dei tentativi di suicidio invece è del 24,6%, dovuto proprio a condotte autolesionistiche, in cui il fattore di rischio più importante è la depressione.
Quali sono le difficoltà più rilevanti che si trova ad affrontare la persona autistica e il suo caregiver quando accede in un pronto soccorso?
Dovrebbe esserci per prima cosa più attenzione nei DEA al disturbo dello spettro autistico, perché spesso il personale non è adeguatamente preparato e manca una corretta gestione dei tempi di attesa. Una persona autistica non può aspettare tante ore su una sedia, non sa sostenere un tempo prolungato in DEA e questo amplifica tutta una serie di problematiche.
Dopo una lunga attesa, ad esempio, sarà ancora più difficile visitarlo. Riassumendo, gestione dei tempi di attesa e personale preparato sono le basi per l’accoglienza di questo tipo di pazienti in emergenza.
Cosa si potrebbe fare per una migliore gestione dell’attesa?
Come detto, i bambini con autismo tendono a “destabilizzarsi” più facilmente dei bambini a sviluppo tipico rispetto alle lunghe attese e questo contribuisce in modo determinante ad amplificare i comportamenti disadattivi.
Sarebbero necessari spazi dedicati all’interno del DEA, possibilmente silenziosi, e non luoghi rumorosi e affollati; servirebbero stanze dotate di materiale specifico che possa aiutare la gestione dei tempi di attesa.
Quanto conta la preparazione del personale sanitario?
È importante fornire agli operatori sanitari le competenze necessarie per gestire efficacemente i pazienti con autismo
Per quanto ne so, non ci sono attualmente percorsi formativi specifici per affrontare l’emergenza nelle persone autistiche e il personale sanitario presente nei DEA, come già affermato, non è sempre preparato a gestire questa tipologia di pazienti. È importante, invece, fornire agli operatori sanitari le competenze necessarie per gestire efficacemente i pazienti con autismo, attraverso l’aggiornamento professionale, la condivisione di risorse da parte di strutture specializzate e l’utilizzo di strumenti specifici.
È anche fondamentale che acquisiscano abilità per fronteggiare eventuali comportamenti aggressivi associati all’autismo. Sarebbe quindi utile avere a disposizione una stanza priva di elementi di pericolo, dove poter effettuare una “descalation”, cioè trovare delle strategie che aiutino il paziente a stare più tranquillo. Altro problema è la tipologia del paziente che il personale sanitario si trova di fronte: nei casi di autistici di livello 1, in cui le funzioni cognitive non sono compromesse, è certamente più semplice, ma se parliamo di livello 3, capire il sintomo diventa una bella sfida. Se ad esempio c’è agitazione causata da un esordio psicotico, non è facile comprendere, così come capire se l’agitazione è dovuta a una problematica medica o a un evento traumatico che ha destabilizzato il paziente.
Cosa vuol dire che un paziente è agitato, come si interagisce con il paziente autistico agitato e quali sono le strategie?
L’agitazione è tipicamente definita come uno stato di irrequietezza cronica con aumentata attività psicomotoria, generalmente osservata come espressione di tensione emotiva e caratterizzata da un’attività senza scopo e inquieta. Per esempio, camminare, parlare, piangere e ridere sono comportamenti che il paziente mette in atto per rilasciare la tensione nervosa associata ad ansia, paura o altro stress mentale. Per le persone con autismo, questi sintomi sono spesso espressi in modi atipici e insoliti.
Nel considerare come trattare l’agitazione nei pazienti con autismo, è imperativo determinare se esiste una causa medica sottostante (ad esempio, epilessia, costipazione, insonnia) al cambiamento del comportamento che richiede un intervento. In tutti i casi, è lecito presumere che possa esistere sempre una causa medica di agitazione acuta percepita come cambiamento di comportamento da parte del caregiver, fino a prova contraria. È difficile riassumere in poche righe come approcciarsi al paziente in DEA, ma sicuramente alcune domande iniziali potrebbero includere: Quali sono i comportamenti di crisi presenti? Questi comportamenti sono un cambiamento rispetto alla tipica presentazione dei sintomi del paziente? In che modo sono cambiati i comportamenti di crisi?
Ad esempio: i comportamenti di crisi sono nuovi per l’individuo o sono i comportamenti di crisi che rappresentano un deterioramento o un’escalation di comportamenti esistenti di vecchia data? In quali situazioni di solito si verificano questi comportamenti (ci sono antecedenti)? Quali sono le tipiche risposte o (conseguenze) fornite quando si osservano questi comportamenti?
La comunicazione terapeutica che utilizza tecniche di de-escalation verbale è sempre preferibile per la sicurezza del paziente e del personale, ma potrebbero essere necessari dei farmaci.
In Italia non esistono delle linee guida nella gestione delle persone con lo spettro autistico, mentre qualcosa c’è a livello internazionale, quindi cosa può fare secondo lei nella pratica di tutti i giorni?
Basterebbe cominciare dalla gestione dell’attesa, dalla formazione del personale sanitario, dalla creazione di stanze dedicate, dalla presenza di un team specializzato, nonché da ospedali “autism friendly”, almeno uno in ogni città italiana, con un personale che sappia come muoversi.
Se consideriamo le ultime stime, c’è un bambino autistico ogni 44, cioè circa l’1,5% della popolazione; ciò vuol dire che in una settimana o in un mese è molto alta la possibilità di interagire in PS con una persona autistica per un problema medico o comportamentale.
Ci sono alcuni ospedali al nord che hanno attivato dei percorsi dedicati, come quelli che stiamo cercando di fare anche al Policlinico Tor Vergata per la gestione medica del paziente autistico. Serve però un team di reparto specializzato per migliorare l’assistenza e ottimizzare la comunicazione con i bambini.
Chi monitoria poi l’andamento della cura? Ci sono protocolli specifici per i caregiver?
Dopo la dimissione dal DEA molto resta in carico alle famiglie
Quando l’autistico arriva al DEA, il medico del DEA per prima cosa chiama il consulente neuropsichiatra o psichiatra, in base all’età del paziente; tuttavia in base alla problematica può chiamare altri consulenti, come ad esempio il neurologo. Un autistico può, infatti, arrivare in PS anche per crisi epilettica, poiché nel 30% dei casi l’autismo è associato all’epilessia.
Se è previsto il ricovero, dopo le dimissioni, grazie al controllo post ricovero, si potrà verificare l’andamento della cura. Se invece il medico del DEA e il consulente decidono che non sussistono gli estremi per un ricovero, il paziente verrà inviato alla struttura che solitamente lo segue o al medico competente. Devo dire tuttavia che dopo la dimissione dal DEA molto resta in carico alle famiglie. Soprattutto dopo i 18 anni d’età del paziente, sono spesso lasciate sole nella gestione della persona autistica in età adulta.