“La ricerca deve essere al centro della crescita in Italia”, firmato Mario Draghi. Ma stritolata dalla burocrazia, a corto di finanziamenti e personale, alle prese con norme sulla privacy che rendono quasi impossibile la gestione dei dati, in affannoso recupero dei ritardi accumulati per l’implementazione del Regolamento europeo del 2014 sugli studi clinici, l’Italia rischia di perdere il treno dell’innovazione in campo biomedico. Che solo nel settore farmaceutico a livello globale vale mille miliardi di dollari, che le grandi multinazionali hanno programmato di investire da qui al 2025. Un piatto del quale, in queste condizioni, all’Italia rischiano di spettare solo le briciole.
A fare il punto sulle sperimentazioni cliniche sono gli esperti riuniti nel convegno sulla ‘Ricerca clinica in Italia’, organizzato a Roma, presso la sede dell’ISS, da Fadoi, la Società scientifica dei medici internisti ospedalieri, che hanno preso in carico il 70% dei pazienti Covid durante la pandemia.
Proprio i due anni e mezzo di Covid ci hanno insegnato quanto sia importante far convergere sulla ricerca clinica gli sforzi tanto del pubblico che del privato. Ma in Italia i trial clinici no profit in dieci anni, dal 2009 al 2019, sono diminuiti del 51%.
Italia fanalino di coda in Europa per trial clinici
I tempi troppo lunghi della burocrazia erano e sono un fattore che limita la partecipazione dell’Italia ai trial clinici. A dirlo sono i numeri, perché se nel nostro Paese se ne conducono ogni anno 4,6 ogni 10mila abitanti, in Germania sono 5,6, in Spagna e Francia 6, in Gran Bretagna 6,8, in Olanda 16,7, per non parlare del record danese fissato a 25,5. “Un gap dove a rimetterci sono soprattutto gli assistiti, perché dove si fa ricerca ci si cura anche meglio”, spiega il Presidente Fadoi, Dario Manfellotto. “Infatti – sottolinea – nei Paesi dove si fa sperimentazione clinica solitamente arrivano prima anche i farmaci innovativi e si diffonde più rapidamente la loro conoscenza tra i medici che possono poi utilizzarli al meglio”.
“A uscirne più penalizzata è poi proprio la ricerca indipendente no profit, che se nel 2018 si attestava al 27,3% del totale delle sperimentazioni condotte in Italia, l’anno successivo ha avuto una contrazione al 23,2%. Una ricerca nella quale tra l’altro il 90% degli investimenti che ne consentono lo svolgimento è sostenuto da privati”, afferma Gualberto Gussoni, direttore scientifico di Fadoi.
Poco male si dirà, ma questa proporzione suscita qualche riflessione tenuto conto che gli studi indipendenti rispondono a esigenze meno stringenti rispetto a quelle di mercato e possono portare a scoperte in ambiti che solitamente suscitano minore interesse negli investitori privati.
“Un vantaggio da un punto di vista assistenziale, ma anche economico – spiega Francesco Dentali, Vice Presidente Fadoi – perché come ricordato dagli esperti, ogni euro versato all’ospedale o all’istituzione scientifica per la sperimentazione clinica dai promotori profit genera un utile netto per l’ospedale di 0,5 euro e un risparmio per il SSN di circa 2,5 euro grazie alla fornitura gratuita di farmaci, Per non parlare del fatto che ogni anno in Italia circa 40mila pazienti affetti da patologie gravi, come tumori, malattie ematologiche e cardiovascolari, partecipando ai trials possono beneficiare con anticipo anche di anni dei trattamenti innovativi, con maggiori possibilità di guarigione e di miglioramento della qualità di vita”.
Alcuni punti critici che imbrigliano la ricerca
Tutti vantaggi che rischiamo di lasciarci sfuggire di mano e di non cogliere nonostante tutte le competenze che il nostro sistema della ricerca è in grado di esprimere, se non sapremo rimuovere gli ostacoli che frenano la ricerca, ostacoli e criticità che saranno al centro di un manifesto per il rilancio delle sperimentazioni cliniche nel Paese, che la stessa Fadoi presenterà a breve all’Iss e alle altre istituzioni interessate alla ricerca clinica.
Tra i primi ostacoli c’è la carenza di risorse. “La ricerca è fatta di numeri e noi in ricerca clinica investiamo 750 milioni di euro (il 90% dal privato), quanto il solo Stato federale americano mette sul piatto per la sola oncologia. Per la ricerca nel campo della salute l’Italia investe circa il 10% della spesa complessiva in R&S, più o meno quanto per le esplorazioni spaziali” ricorda Gussoni.
C’è poi il problema della cronica carenza di personale medico e infermieristico, che oberato da compiti assistenziali non trova tempo per dedicarsi anche ai trial clinici. Per non parlare delle figure professionali dedicate alla ricerca ancora senza un inquadramento professionale ed economico definito, “tanto che alcuni sono inquadrati come personale di segreteria” rimarca sempre il responsabile ricerca di Fadoi.
A stritolare non poco la ricerca c’è poi la burocrazia. In Italia a regolamentarla negli ultimi otto anni si sono affastellati una ventina di provvedimenti normativi, solo per citare quelli principali. In Spagna un solo decreto di 42 pagine ha regolato l’intero settore.
“Il rapporto pubblico privato stenta poi a decollare per una resistenza di carattere ideologico a condurre ricerca in partnership e per via di una farraginosità normativa che rende molto faticoso scambiare ricercatori e personale, come avviene invece nei paesi anglosassoni” spiega Andrea Fontanella, past president Fadoi.
Ad appesantire il tutto intervengono inoltre le norme sulla privacy che trasformano in una impresa la gestione dei dati clinici. “Basti pensare che per gli studi osservazionali retrospettivi, nei quali i dati delle cartelle cliniche vengono aggregati in modo anonimo e quindi non riconoscibile, il Garante della privacy chiede di norma l’autorizzazione specifica di ciascun paziente. Magari per dati vecchi di anni”, spiega ancora Fontanella.
Rischia POI di diventare un’occasione persa il regolamento UE sui trial clinici approvato nel 2014 per armonizzare valutazioni e autorizzazioni delle sperimentazioni, ma al quale dopo 8 anni l’Italia non si è ancora adeguata. Restano così ancora troppi nodi irrisolti: dalla definizione dei requisiti dei centri autorizzati alla sperimentazione, alle modalità per tutelare l’indipendenza degli studi e garantire l’assenza di conflitti di interesse, fino alla cruciale riduzione dei comitati etici, dai circa 90 attuali a un massimo di 40. E anche questo rischia di far aumentare il divario tra l’Italia e gli altri Paesi europei che al nuovo Regolamento si stanno adeguando ponendosi così in posizione privilegiata in termini di finanziamenti, visto che dal 31 gennaio del 2022 tutte le nuove sperimentazioni devono adeguarsi agli standard previsti dall’Ue.
Le proposte Fadoi
In attesa del manifesto per la ricerca che verrà a breve consegnato all’Iss per una sua condivisione, Fadoi ha comunque avanzato alcune proposte pe rilanciare le sperimentazioni cliniche in Italia. “Tra queste – sintetizza il presidente Manfellotto – il limitarsi a un solo parere di un Comitato etico valido su base nazionale per tutte le tipologie di studi; la maggiore uniformità della documentazione necessaria all’autorizzazione degli studi; la creazione di un’unica Agenzia nazionale della ricerca che possa assolvere a competenze oggi suddivise fra le diverse istituzioni dello Stato; una quota fissa del fondo sanitario nazionale per il finanziamento della ricerca no profit; il reinvestimento in ricerca clinica degli utili conseguenti alle sperimentazioni; la promozione della ricerca tra i criteri di valutazione dei DG delle Aziende Ospedaliere / Aziende Sanitarie Locali ; il rafforzamento delle infrastrutture digitali nei centri di ricerca; il riconoscimento e la diffusione di figure professionali a supporto delle ricerca”.