Ieri sera il Presidente del sindacato dei medici CIMO Guido Quici è stato audito dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sull’emergenza Covid ricordando in che modo l’impreparazione delle Regioni e delle aziende nella gestione della pandemia abbia avuto un forte impatto sul lavoro – e in alcuni casi l’incolumità – del personale sanitario.
Quici ha evidenziato come i problemi gestionali dell’emergenza sanitaria siano iniziati dall’assenza di un piano pandemico aggiornato, che avrebbe dovuto prevedere le azioni necessarie a contenere una eventuale pandemia; ma oltre a questo, «è stata fin da subito evidente – si legge nel documento presentato alla Commissione – l’assenza della capacità o della possibilità di agire in maniera coordinata ed efficace in tutto il Paese, a causa della spiccata autonomia fortemente rivendicata dalle Regioni e della parallela marginalità del ruolo del Ministero della Salute».
E se l’impreparazione generale è risultata tangibile nel momento in cui risultavano insufficienti, se non addirittura assenti, le forniture negli ospedali di dispositivi di protezione individuale idonei ad affrontare il virus, CIMO ha ricordato come per ovviare al problema l’Istituto Superiore di Sanità autorizzò l’utilizzo di mascherine chirurgiche come DPI anche negli ospedali, «esponendo dunque al contagio proprio le risorse umane più preziose per contrastare il virus».
L’analisi del sindacato CIMO si è poi concentrata sullo stato in cui versava la sanità pubblica al momento dello scoppio della crisi: un Servizio sanitario nazionale carente di risorse, personale e strutture adeguate, frutto di venti anni di tagli e di blocco delle assunzioni, nel 2020 e 2021 ha dovuto affrontare «un vero e proprio stress test … il cui esito è stato del tutto fallimentare», si legge nel documento.
«Nel momento in cui si è verificato l’iperafflusso di pazienti che necessitavano di ospedalizzazione, è di fatto scoppiato il caos: le singole Aziende si sono trovate del tutto impreparate ad affrontare la situazione. E se in alcuni ospedali in una prima fase il problema è stato del tutto sottovalutato – adottando anche provvedimenti disciplinari per aver generato allarme sociale nei confronti dei direttori di struttura che avevano destinato una stanza apposita ai contagiati o imposto l’utilizzo delle mascherine nei reparti –, in tutto il Paese è stato affrontato con una sostanziale improvvisazione e dando vita alle soluzioni più fantasiose e pericolose per sanitari e pazienti».
Sono stati assegnati turni in reparti con pazienti affetti da Covid-19 a medici e specializzandi privi della necessaria specializzazione; mancava la strumentazione idonea a curare i pazienti, come i respiratori; i reparti ordinari sono stati trasformati nottetempo in reparti di terapia intensiva e subintensiva, senza rispettare i requisiti necessari; sono stati attivati reparti Covid in spazi strettamente contigui ai reparti non Covid, fino alle cosiddette “bolle Covid” interne a reparti non Covid; sono venuti meno sistemi adeguati di filtraggio dell’aria e mancavano stanze a pressione negativa dove isolare i casi. «Da qui – si legge ancora nel documento – l’espansione del virus in ambiente intraospedaliero con contagi diffusi a tutto il personale in servizio, nonché verso i pazienti ricoverati affetti da altre patologie».
I finanziamenti destinati alla gestione dell’emergenza poi non sono stati ancora del tutto utilizzati, tant’è che sono stati creati solo il 47% dei posti in più di terapia intensiva ed il 46% di quelli di terapia subintensiva previsti dal governo Conte.
«Quello che è successo nel corso dell’emergenza Covid deve essere un monito per il futuro – ha concluso Quici –. Affinché la prossima pandemia non ci colga così impreparati, è fondamentale investire nel Servizio sanitario nazionale».