“Conoscere la persona affetta dalla malattia è molto più importante che conoscere la malattia stessa”. Il concetto espresso da Ippocrate nel IV secolo a.C. vale anche per i farmaci dei nostri giorni. Soprattutto se si considera che le reazioni avverse ai medicinali – Adverse Drug Reactions (ADRs), ovvero gli effetti indesiderati al trattamento – rappresentano uno dei maggiori problemi delle attuali terapie farmacologiche.
È noto, infatti, come le risposte individuali ai farmaci possano variare da un paziente all’altro e generare, in alcuni di loro, anche gravi effetti avversi. Questo dipende da varie cause come l’età, il sesso, la funzionalità degli organi, l’impiego concomitante di altri medicinali, l’assunzione di particolari cibi, l’alcol e il fumo. Ma non è tutto: la ragione di queste differenze – ed è questa la novità – può risiedere anche nel nostro DNA. Da qui l’importanza della farmacogenetica come strumento in grado di dare un significativo contributo nel contrastare gli eventi avversi.
È ciò che sostiene il Prof. Giuseppe Toffoli, esperto della Società Italiana di Farmacologia (SIF) e Direttore della Struttura operativa complessa di Farmacologia Sperimentale e Clinica del Centro di Riferimento Oncologico di Aviano, in occasione del 41° Congresso Nazionale della Società Italiana di Farmacologia, che si apre oggi a Roma.
“Oggi l’attenzione è particolarmente rivolta alle modificazioni (polimorfismi) nella struttura dei geni coinvolti nel metabolismo e nell’eliminazione dei farmaci. Lo studio di queste varianti genetiche, ovvero la farmacogenetica, rappresenta una delle più importanti strategie per evitare le ADRs. L’obiettivo della farmacogenetica è infatti quello di personalizzare la terapia, fornendo a ogni paziente il farmaco più appropriato e con un dosaggio corretto”.
Negli ultimi anni la farmacogenetica ha permesso di identificare numerosi farmaci che possono indurre risposte molto diverse fra le persone a seconda del loro DNA. “Oggi i test di farmacogenetica sono entrati nella pratica clinica e costituiscono un prerequisito per trattare i pazienti”, spiega Toffoli. “È il caso, per esempio, delle terapie oncologiche con farmaci come il 5-fluorouracile per il quale si raccomanda di fare preventivamente un test specifico, al fine di escludere varianti genetiche responsabili di gravi tossicità”.
Nel corso del Congresso, particolare attenzione sarà riservata all’importanza dell’uso dei test farmacogenetici per ottimizzare le terapie farmacologiche: un tema di grande attualità, al punto che la SIF si è attivamente impegnata nel diffondere la conoscenza e l’impiego dei test fra il personale sanitario, fornendo specifiche e appropriate linee guida.
Altro focus degno di interesse sarà quello dedicato al più importante studio clinico prospettico randomizzato di farmacogenetica finora realizzato, PREemptive Pharmacogenomic testing for Preventing Adverse drug REactions (PREPARE) study, che ha coinvolto 6.944 pazienti provenienti da sette Paesi europei, tra cui l’Italia. Si tratta di un progetto no profit recentemente concluso e finanziato dall’Unione Europea nell’ambito del programma Horizon 2020. In rappresentanza dell’Italia, la Struttura di Farmacologia Sperimentale e Clinica diretta dal Prof. Toffoli ha contribuito allo studio con il reclutamento di ben 1.232 pazienti. “Questa partecipazione rappresenta un importante riconoscimento della figura del farmacologo clinico nel campo della farmacogenetica”, conclude Toffoli. “A breve verranno pubblicati i risultati del progetto che hanno dimostrato l’utilità dei test farmacogenetici pre-terapia nei confronti della prevenzione degli effetti avversi dei farmaci”.