La buona amministrazione pubblica è conoscenza, è visione, è individuazione di scenari futuri, è interlocutore prezioso della politica del Paese. Una buona amministrazione pubblica è capace di arginare sprechi, corruzione, maladministration e può aiutare a far evolvere il Paese.
In Italia, purtroppo, siamo ancora lontani da questo scenario.
A scattare una lucida fotografia di come le amministrazioni pubbliche in ambito sanitario si stiano adoperando per arginare la corruzione è Francesco Merloni, presidente ANAC (Autorità Nazionale Anticorruzione) in carica da ottobre 2019 che Policy and Procurement in Healthcare ha voluto intervistare in concomitanza con la pubblicazione del servizio di approfondimento proprio sul tema della corruzione in sanità.
Merloni, Professore di Diritto Amministrativo presso l’Università di Perugia dal 1990 al 2015, è stato anche componente della commissione ministeriale che nel 2012 ha portato all’elaborazione della legge Severino.
È stato nominato Presidente ANAC ad interim dopo le dimissioni del suo predecessore, Raffaele Cantone. L’autorità Nazionale Anticorruzione è stata istituita con la legge 114/2014 e ha fuso la Civit (Commissione indipendente per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche, istituita nel 2009 dalla legge Brunetta e riformata nel 2012 dalla legge Severino) con l’Avcp (Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, istituita nel 1994 con la legge Merloni).
Fin dal suo esordio ANAC ha sempre avuto “a cuore” il settore sanitario, sia perché questo settore gestisce una quantità notevole di risorse pubbliche sia perché utilizza la formula del contratto per le forniture e gli acquisiti. L’Autorità ha un potere di vigilanza, offre indicazioni metodologiche generali alle aziende per prevenire la corruzione e gli sprechi e nell’ambito sanitario, fin dal 2015 ha lavorato per identificare i settori più a rischio, insieme al Ministero della Salute e ad AGENAS (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali ), organizzando tavoli di confronto con chi lavora nelle aziende sanitarie, dai direttori generali, ai direttori amministrativi fino ai clinici, in modo da identificare all’unisono i rischi e immaginare le misure da adottare per prevenirli.
Per il Presidente Merloni è aumentata la sensibilizzazione sulla corruzione, è aumentata la conoscenza, i tavoli di confronto stanno cominciando a dare i loro frutti e si sta lavorando per trovare indicatori oggettivi e affidabili per mappare e prevenire la corruzione. Ma tutto questo non basta e ancora oggi i fenomeni di corruzione in sanità, purtroppo, attraversano tutto il Paese.
Presidente Merloni, dalla Legge Severino a oggi, come è cambiata, se è cambiata, la situazione della corruzione in sanità nel nostro paese?
Registriamo senza dubbio una nuova cultura della prevenzione, perché dopo anni di lavoro sta finalmente entrando nella mente degli operatori che, invece di aspettare il danno (l’atto corruttivo, lo spreco di risorse), bisogna adottare criteri di prevenzione del rischio.
Oggi i piani anticorruzione delle singole aziende sono migliorati e i responsabili della prevenzione della corruzione sono più sensibili a questi temi. Non possiamo però dire che le cose siano radicalmente cambiate.
Senza un’adeguata formazione e un’adozione efficiente dei mezzi tecnologici e informatici che oggi si potrebbero avere a disposizione, nelle amministrazioni pubbliche si farà comunque sempre fatica ad arginare la corruzione nella sanità in Italia. Noi ci impegniamo costantemente nella diffusione della conoscenza, delle buone pratiche, delle raccomandazioni, ma non è sufficiente. Esiste, inoltre, un certo modo di lavorare che anziché semplificare i controlli e la gestione del rischio, li complica.
Perché le amministrazioni lavorano in questo modo?
Quando noi, ad esempio, chiediamo di vigilare una particolare procedura o di renderla più efficiente, come risposta dalle aziende ci ritroviamo più controlli. Le aziende rispondono aumentando i controlli, perché non sanno in che altro modo rispondere. Ma non è quello che abbiamo chiesto noi, non è questa la filosofia dell’ANAC.
Noi, al contrario, auspichiamo un sistema di continua consapevolezza di rischio, ma adottando misure coerenti con la struttura: non si possono immaginare continue moltiplicazioni dei controlli. È un atteggiamento difensivo delle amministrazioni, ma è un atteggiamento scorretto.
Come lo avete risolto?
Nell’ultimo Piano Nazionale Anticorruzione, approvato a fine 2019, abbiamo insistito sul metodo corretto per effettuare i controlli e sottolineato il fatto che devono essere introdotti come integrazioni di monitoraggi esistenti, non come aggiunta ulteriore. I controlli che si fanno normalmente vanno bene, vanno solo letti in un’ottica di anticorruzione e semmai resi effettivi ed efficaci, ma non serve aggiungerne di nuovi. Il problema, in ogni caso, non è solo questo riflesso burocratico (il moltiplicarsi dei controlli), ma anche l’oggettiva difficoltà in cui si trovano oggi le amministrazioni pubbliche.
Di quali difficoltà sta parlando?
Nelle strutture sanitarie pubbliche a volte manca personale amministrativo qualificato, c’è una cattiva gestione delle procedure informatiche, e l’informatica si usa poco anche a fini conoscitivi. Noto inoltre una scarsa capacità di riorganizzare l’amministrazione secondo le esigenze dell’azienda sanitaria. Mi spiego: si possono introdurre grandi tecnologie di cura e diagnosi, ma se la burocrazia non ha la capacità di adattarsi a queste tecnologie, le cose poi non funzionano. Questo si verifica perché negli anni non si è saputo investire adeguatamente nella qualità delle amministrazioni, abbiamo sempre pensato che l’amministrazione si sarebbe adeguata, ma in realtà occorre investire affinché questo avvenga.
Noi nel nostro lavoro abbiamo incontrato Asl pilota che lavorano molto bene e perseguono l’obbiettivo di migliorare la qualità dell’amministrazione. Ma la gran parte non ha raggiunto un livello di qualità sufficiente. Questa inefficienza apre la strada a nuovi casi di corruzione e di sprechi.
Purtroppo, questa consapevolezza sulla necessità di prevenire e arginare la corruzione, benché oggi sia più presente, non si è diffusa e radicata in modo capillare. E questo perché sono mancati gli investimenti necessari per permettere alle amministrazioni di innovarsi e di saper usare e interpretare le tecnologie a disposizione.
Vista l’oggettiva difficoltà della maggioranza delle amministrazioni sanitarie a lavorare in modo efficace soprattutto in ottica anticorruzione, forse ci vorrebbe un intervento più proattivo da parte vostra?
ANAC deve vigilare che le amministrazioni adottino determinate misure di prevenzione, ma non può sostituirsi a esse né giudicare se una misura in particolare va bene o è sbagliata. Noi valutiamo se l’azienda ha identificato i rischi esistenti, soppesato le misure da intraprendere e se poi le abbia effettivamente adottate. Lì ci fermiamo. Il ruolo dell’autorità è dare indicazioni.
Oltre a questo, abbiamo attivato diversi tavoli di confronto per segnalare le best practice e le aziende sanitarie che lavorano bene. Speriamo che con la fine del nostro mandato (l’attuale Consiglio termina il mandato a luglio 2020, ndr) questo tipo di vigilanza attiva si prolunghi nel tempo, adottando misure di confronto costante come queste.
Quali sono i risultati principali che avete ottenuto con questa vigilanza attiva?
Le amministrazioni hanno imparato a individuare il rischio. E noi come ANAC, insieme al Ministero della Salute e ad AGENAS, abbiamo fatto diverse cose sul piano conoscitivo: esaminiamo i piani anticorruzione e stiamo portando avanti progetti per produrre indicatori di corruzione oggettivi, in modo da individuare con maggiore efficacia i rischi di corruzione e di sprechi. Uno di questi progetti si chiama “Misurazione del rischio di corruzione a livello territoriale e promozione della trasparenza” – finanziato dal Programma Operativo Nazionale “Governance e Capacità Istituzionale 2014-2020” e punta a costruire e rendere disponibile un set di indicatori in grado di quantificare concretamente la possibilità che si verifichino eventi patologici in determinati contesti. In questo modo, peraltro, sarà possibile anche valutare il livello di efficacia delle misure anticorruzione attuate dalle varie amministrazioni. I parametri che saranno monitorati, che possono essere segnale di anomalia, sono diversi: dai prezzi dei servizi erogati al numero di proroghe dei contratti, dalla crescita dei valori degli appalti nel tempo al sistema e le modalità di accreditamento delle strutture private.
Ci siamo occupati anche di sprechi, ma come ANAC possiamo intervenire sempre e solo in via eccezionale, come abbiamo fatto, ad esempio, con l’indagine conoscitiva dei costi dei servizi di ristorazione nelle aziende sanitarie italiane, dove sono emerse oscillazioni e discrepanze assolutamente ingiustificabili, anche tra aziende dello stesso territorio.
Ma per monitorare e rendere efficace la lotta agli sprechi in sanità occorrerebbe attivare una sorta di osservatorio sui prezzi costante. Ci vorrebbero controlli più serrati.
Voi non ve ne potete occupare perché siete un’Autorità di vigilanza, chi potrebbe controllare come lavorano le Asl in modo efficace?
Io credo che realtà come AGENAS siano assolutamente competenti per analizzare i dati e le informazioni delle aziende e aiutare le strutture. Noi in questi anni con AGENAS abbiamo lavorato molto bene anche se ultimamente trovo che sia un po’ meno attiva rispetto ai primi tempi. Con la mappatura del rischio attraverso indicatori affidabili, realtà come AGENAS avrebbero degli strumenti importanti per aiutare le aziende a identificare i rischi prima che si verifichino. La mappatura si rivelerebbe importante anche per monitorare un settore delicato come quello privato, soprattutto i rapporti tra aziende pubbliche e aziende private.
Dal punto di vista deontologico c’è ancora molto da fare: spesso medici e dipendenti pubblici non sanno come comportarsi e non sanno se quello che stanno facendo può comportare un rischio. Come si può risolvere questo limite?
Per questo motivo come ANAC abbiamo realizzato le Linee Guida per l’adozione dei Codici di comportamento negli enti del Servizio Sanitario Nazionale e le Asl lo hanno adottato. Però non basta questo, occorre che ci sia una condivisione vera dei valori da parte di tutti.
Il codice deontologico non è un appello etico-moralistico, noi non facciamo la morale a nessuno, ma suggeriamo alle aziende di introdurre dei modelli di comportamento che abbiano una rilevanza giuridico-disciplinare, in modo da poter contestare condotte scorrette e nei casi più gravi adottare sanzioni efficaci. Non facciamo i gendarmi ma dobbiamo assicurarci che i codici di comportamento siano effettivamente condivisi. Le persone devono capirne non solo la necessità ma anche l’utilità. Molte aziende private stanno adottando codici di comportamento, ma in un’azienda pubblica questo strumento è assolutamente ineludibile.
C’è un ultimo capitolo che non tutte le aziende riescono a digerire e che può prestare il fianco a episodi di corruzione: gli obblighi di trasparenza.
Purtroppo, è così: le aziende pubbliche devono comunicare i loro dati, ma non tutte hanno voglia di farlo. Ci sono ancora molte resistenze.
Intendiamoci: se si sta svolgendo una gara per giudicare un appalto, questa fase non si pubblica, ma a gara conclusa va subito pubblicato tutto. Non c’è nulla da nascondere. La tracciabilità delle decisioni pubbliche e la trasparenza dei dati pubblici vanno rafforzate. Ma la questione potrebbe essere facile da risolvere: se si introducessero in tutte le aziende pubbliche procedure informatiche standard di acquisizione dei dati, non servirebbe trascrivere o pubblicare nulla, sarebbe tutto tracciabile e visibile immediatamente.
Il problema è che alcune strutture lavorano ancora con il cartaceo.
Vogliono lavorare con il cartaceo, me lo lasci dire. Perché continuando con il cartaceo hanno dei margini di opacità dietro cui si può nascondere di tutto. Molti usano il cartaceo perché non sanno usare strumenti informatici. Ma altri lo scelgono appositamente.
In conclusione, Presidente Merloni, forse ha poco senso lasciare tutto il controllo alle singole Asl per la gestione del rischio di corruzione?
Questi soggetti hanno un’autonomia che devono giustamente mantenere. Ma devono imparare a rispondere. E devono essere supportate da tecnologia e innovazione: se noi valutassimo quanto le nostre amministrazioni stanno indietro rispetto a Francia e Germania ci spiegheremmo perché abbiamo così tanti problemi e non riusciamo a tenere il passo con gli altri Paesi. Non siamo a quei livelli perché non abbiamo investito, abbiamo creduto che le amministrazioni sapessero adeguarsi da sole al cambiamento e all’innovazione e abbiamo sbagliato.
Anche lo stesso Ministero della Salute dovrebbe ripensare al proprio ruolo: oggi si limita a controllare la spesa sanitaria, mentre credo dovrebbe essere più presente per controllare la qualità delle pubbliche amministrazioni. Come ho già detto, in questa attività AGENAS, nelle singole Regioni, potrebbe essere preziosa.
E mi lasci dire una cosa, per concludere: la burocrazia è la degenerazione dell’amministrazione, ma l’amministrazione serve, ricordiamocelo bene. Un Paese non può prescindere da una buona amministrazione, intesa come conoscenza, visione, capacità di costruire scenari futuri, non come un insieme di burocrazia e controlli. Il bravo dirigente pubblico deve conoscere, e deve saper utilizzare le infrastrutture per disegnare scenari e per aiutare la politica a prendere decisioni.