L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che oltre 56,8 milioni di persone nel mondo necessitino di cure palliative prima della morte. Le persone con demenza e cancro rappresentano la maggior parte di questo bisogno. La maggioranza (61,1 %) sono adulti di età superiore ai 50 anni e almeno il 7% sono bambini. Circa 31 milioni necessiterebbero di cure palliative precoci rispetto al fine vita.
In Italia ne hanno bisogno in media nell’ultimo periodo di vita 293.000 pazienti l’anno e di questi il 60% è con patologie croniche degenerative non oncologiche (dalle malattie cardiovascolari al Parkinson) e il 40% con cancro.
La Word Health Assembly (2021) ha dichiarato che le cure palliative sono una responsabilità etica dei sistemi sanitari e una componente chiave della copertura sanitaria universale.
Nella legge di Bilancio 2023 è previsto che le Regioni mettano a punto ogni anno un piano di potenziamento delle cure palliative per raggiungere, entro il 2028, il 90% della popolazione interessata, soprattutto per l’assistenza domiciliare. In tale setting giocheranno un ruolo fondamentale le équipe multidisciplinari di cui l’infermiere di famiglia e comunità è, anche secondo quanto scritto nel DM 77/2022 di riordino dell’assistenza sul territorio, parte essenziale.
L’infermiere di famiglia e comunità (IFeC), che in virtù del DM 77/2022 è il cardine su cui ruotano i nuovi modelli previsti, è il primo riferimento domiciliare per l’assistenza delle persone e dei caregiver e, di concerto con l’equipe curante e attraverso il coinvolgimento dell’Unità Valutativa Multidisciplinare (UVM) nella stesura del Progetto Assistenziale personalizzato (PAP), può rilevare e intercettare precocemente i bisogni di cure palliative e indirizzare l’utente verso percorsi appropriati.
Il documento “Cure palliative e IFeC” appena redatto dalla Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche (FNOPI) e dalla Società Italiana di Cure Palliative (SICP), fornisce proprio all’Infermiere di famiglia e comunità, considerato dalla norma “il professionista responsabile dell’assistenza infermieristica in ambito familiare e di comunità”, una serie di strumenti utili per intercettare tempestivamente i bisogni e fungere da raccordo con la Rete di cure palliative.
A regolamentare le cure palliative in Italia c’è la legge 38 del 2010 che le definisce come “l’insieme degli interventi terapeutici, diagnostici e assistenziali, rivolti sia alla persona malata sia al nucleo familiare, finalizzati alla cura attiva e totale dei pazienti la cui malattia, caratterizzata da un’inarrestabile evoluzione e da una prognosi infausta non risponde più ai trattamenti specifici” e identificano nella relazione di cura lo strumento più efficace per aiutare il paziente a vivere quanto più attivamente possibile fino alla fine.
Quella relazione che le professioni infermieristiche hanno ben codificato, per prime, nel loro Codice deontologico, in cui si stabilisce che “il tempo di relazione è tempo di cura”.
Il documento FNOPI-SICP indica gli strumenti possibili per l’infermiere di famiglia e comunità per il riconoscimento dei pazienti con bisogni di cure palliative, molti dei quali composti da indicatori clinici generali (di deterioramento delle condizioni di salute) e specifici per varie patologie.
Sono strumenti che hanno l’obiettivo di supportare i clinici non specializzati in cure palliative nell’identificazione precoce dei pazienti con bisogni di questo tipo di assistenza e non di definire i criteri per l’intervento di équipe specialistiche e dovrebbero perciò essere utilizzati, come indica il documento, in associazione a uno strumento di valutazione della complessità dei bisogni che orienti nella scelta del modello delle cure palliative più appropriato per il singolo paziente (approccio palliativo, cure palliative condivise e specialistiche).
Modelli e strumenti ci sono: ora servono gli infermieri. Il DM 77/2022 indica un fabbisogno di quelli di famiglia e comunità di circa 20mila che, sottolinea la FNOPI a Governo e Parlamento, vanno formati e specializzati per garantire la necessaria qualità. E soprattutto servono politiche attive per combattere la carenza, rendendo attrattiva la professione: senza infermieri il danno è, prima di tutto, per i pazienti.