Quali sono le priorità su cui lavorare nel 2024 per tentare di frenare nei prossimi tre anni la fuga dei medici ospedalieri dal Servizio sanitario nazionale? Depenalizzazione dell’atto medico, eliminazione del tetto alla spesa per il personale sanitario e valorizzazione dell’indennità di specificità medica e sanitaria. Sono questi, secondo il sindacato di categoria Federazione CIMO-FESMED (a cui aderiscono le sigle ANPO-ASCOTI, CIMO, CIMOP e FESMED), i tre punti nodali che consentirebbero ai medici di lavorare con più tranquillità e ottenendo maggiori riconoscimenti. Per evitare, nei prossimi tre anni, il fallimento del SSN occorre infatti rendere il lavoro nella sanità pubblica nuovamente attrattivo sia per i medici specializzandi che per i tanti professionisti che sono tentati di abbandonare il pubblico per lavorare nel privato o all’estero.
«Chiediamo innanzitutto la chiusura rapida dei lavori della Commissione Nordio istituita per le problematiche relative alla responsabilità professionale dei medici – ha dichiarato in una nota Guido Quici, Presidente CIMO-FESMED -. Si tratta di un tema urgente e di estrema importanza, decisivo per le rivendicazioni sindacali, perché il timore di contenziosi, che nel 90% dei casi si risolvono in un nulla di fatto, rende impossibile ai professionisti lavorare con serenità. Dall’altra parte, la preoccupazione del medico porta ad una crescita esponenziale del ricorso alla medicina difensiva, che ogni anno costa allo Stato oltre 10 miliardi di euro».
«In secondo luogo – ha spiegato ancora Quici – occorrerebbe eliminare l’odioso tetto alla spesa per il personale sanitario, introdotto nel 2004 e mai più modificato se non marginalmente. Tale intervento cancellerebbe l’alibi adottato da più Regioni secondo le quali la causa delle mancate assunzioni e valorizzazioni del personale sarebbe proprio tale limite di spesa, che viene aggirato pagando a peso d’oro il lavoro a cottimo delle cooperative. In realtà i dati ci mostrano che nel 2022 il tetto è stato lievemente superato solo dall’Emilia Romagna, mentre complessivamente le altre Regioni avrebbero potuto spendere 2,6 miliardi di euro in più. Per questo l’eliminazione del tetto avverrebbe praticamente a costo zero, ma responsabilizzerebbe maggiormente le Regioni, costringendole a spendere le risorse a disposizione per il personale sanitario».
«Infine ma non da ultimo – ha aggiunto Quici – in attesa di firmare il contratto scaduto nel lontano 2021, chiediamo ancora una volta di far uscire il personale sanitario dalla pubblica amministrazione e di valorizzarlo economicamente attraverso l’aumento dell’indennità di specificità medica e sanitaria, in modo da avvicinare gli stipendi italiani alla media europea. La legge di bilancio è stata un fallimento perché le risorse stanziate per i rinnovi dei contratti, quale atto dovuto, non sono assolutamente sufficienti a raggiungere tale scopo: gli aumenti previsti sono infatti inferiori al tasso inflattivo, e in ogni caso dopo il Covid ci aspettavamo un adeguato riconoscimento che è venuto meno a causa di mance elargite a Regioni e privato con la promessa della riduzione dei tempi di attesa. Riduzione che non si verificherà mai senza un vero rilancio del SSN».
«Si tratta di tre richieste ben note al Governo, a cui è stato chiesto un impegno serio che porti in tempi rapidi al raggiungimento di questi obiettivi ambiziosi ma non impossibili. Se tuttavia dalle parole non si passerà rapidamente ai fatti, proseguiremo convintamente la mobilitazione avviata negli scorsi mesi», ha concluso il Presidente CIMO-FESMED.