Creare una piattaforma nazionale unica per le liste d’attesa, con un numero verde da cui sarà possibile prenotare le visite, sia in ospedali e ambulatori pubblici che in strutture private convenzionate; impedire la chiusura delle agende ed estendere l’erogazione di prestazioni sanitarie anche il sabato e la domenica. Il testo del Decreto liste d’attesa è stato pubblicato il 31 luglio in Gazzetta Ufficiale ed è entrato in vigore dal 1 agosto. I benefici per gli utenti sembrano essere molto rilevanti.
Da dove arrivano i fondi per le misure previste dal Decreto liste d’attesa?
Dalla comodità di prenotare le prestazioni da un solo numero verde (Centro Unico di Prenotazione), che incrocia per la prima volta le disponibilità di tutte le agende delle strutture sul territorio nazionale in cui è possibile effettuare visite ed esami pagando solamente il ticket, alla possibilità di accedere alle prestazioni anche nel fine settimana, quando per molti utenti è più facile organizzarsi tra famiglia e lavoro. Da dove arrivano però i fondi per tutto questo? Il testo del DL, infatti, non sembra prevedere ulteriori stanziamenti, tranne il recupero di risorse attraverso la detassazione degli straordinari dei medici e la possibilità di attingere a finanziamenti di progetti già definiti. Ne abbiamo parlato con la professoressa Debora Di Gioacchino, docente del corso di Health Economics and Policy presso l’università degli studi di Roma La Sapienza.
Più lavoro per i medici e infermieri già assunti, fra turni e straordinari
Una delle principali problematiche legate alla lunghezza eccessiva delle liste d’attesa per accedere ad esami e prestazioni mediche in regime di servizio sanitario nazionale o privato convenzionato riguarda la carenza di personale. Medici e infermieri, soprattutto nella medicina d’urgenza, lavorano in molti casi sottorganico. Nel decennio precedente la pandemia, il SSN ha visto una riduzione di circa 45 mila unità di personale. Per fronteggiare la pandemia, le politiche di reclutamento hanno invertito la tendenza negativa, portando a un aumento complessivo delle assunzioni di medici e infermieri. Ma l’Italia fa ancora molta fatica a rendere queste professioni attraenti per le nuove generazioni: l’età media dei sanitari è passata da 43 a 51 anni nell’ultimo ventennio. I medici italiani sono i più anziani fra i Paesi membri OCSE [Health at Glance, 2023] e le ragioni sembrano essere legate alle retribuzioni troppo scarse a fronte di carichi di lavoro non pagati adeguatamente se comparati con gli stipendi percepiti dai sanitari degli altri Paesi Europei.
Ai compensi erogati a medici e infermieri per le ore di lavoro straordinario la nuova legge in approvazione promette di applicare una flat tax
Fra le misure forse più interessanti del decreto ce n’è una che punta a convincere il personale sanitario a lavorare di più in cambio di una maggior retribuzione. Nessun aumento di stipendio però: ai compensi erogati a medici e infermieri per le ore di lavoro straordinario la nuova legge in approvazione promette di applicare una flat tax, ovvero la tassazione al 15 per cento. Si punta quindi a convincere il personale ad un lavoro extra che deve supplire alla mancanza di organico in cambio di una convenienza economica.
Una tassazione separata per le ore di lavoro extra
All’approvazione da parte dell’esecutivo c’è la norma per cui i compensi erogati per lo svolgimento delle prestazioni aggiuntive, quindi le ore svolte in più rispetto al normale orario di lavoro, saranno oggetto di tassazione separata con aliquota ridotta. Un’imposta agevolata, sostitutiva dell’Irpef e delle relative addizionali (esattamente come quella già applicata per i professionisti in regime forfettario che guadagnano un compenso annuo entro gli 85 mila euro, ndr), per un numero di ore che non possono però superare il totale monte ore ordinario in termini quantitativi. Cosa cambierà quindi, rispetto alla situazione attuale, nelle tasche dei professionisti sanitari? Oggi la retribuzione del lavoro straordinario viene calcolata separatamente e varia a seconda della mansione sanitaria svolta dal professionista. La tassazione invece non è separata visto che fiscalmente contribuisce al reddito complessivo e quindi all’imponibile soggetto all’Irpef ordinaria. Le aliquote fiscali stabilite dalla Legge di Bilancio 2022 (art. 1, comma 2, lettera a) variano dal 23% in caso di redditi fino a 15 mila euro fino ad arrivare progressivamente al 43% per i redditi che superano i 50 mila euro.
La misura dovrebbe incentivare ore di lavoro aggiuntive, e non solo rendere più conveniente gli straordinari già fatti
Con l’approvazione alla Camera del nuovo decreto quindi lavorare di più sarà effettivamente più vantaggioso fiscalmente, perché consentirà di pagare dal 5% al 28% in meno di tasse. La convenienza resterà in ogni caso da valutare per tutti i lavoratori il cui stipendio annuale si avvicina al limite superiore di uno scaglione di reddito. Una parte del reddito imponibile potrebbe infatti rientrare nello scaglione successivo, ed essere comunque soggetto a un’aliquota fiscale più elevata. Sarà dunque un incentivo sufficiente a convincere medici e infermieri a lavorare di più?
Una coperta corta, se manca il personale
Agire dal lato dell’offerta significa aumentare la dotazione di macchinari e attrezzature sanitarie e, soprattutto, aumentare il personale sanitario. Questa è la strada che sembra seguire il disegno di legge nell’art. 7 (Imposta sostitutiva sulle prestazioni aggiuntive del personale sanitario), che introduce una agevolazione fiscale sugli straordinari dei dirigenti sanitari e del personale sanitario.
La copertura finanziaria indicata consiste sostanzialmente in spostamenti di voci di bilancio
«Questa misura può essere efficace nell’aumentare l’offerta di ore lavorate se induce effettivamente ore di lavoro aggiuntive, senza rendere solo più convenienti le ore di straordinario già prestate in precedenza. Inoltre, incentiva il lavoro addizionale di una categoria di lavoratori già sovraccaricata e carente di risorse umane. Anche se la misura fosse efficace nell’aumentare l’offerta di ore lavorate, rimane pur sempre una soluzione emergenziale (straordinaria) e non strutturale, poiché non aumenta stabilmente il personale sanitario – ha commentato la professoressa Di Gioacchino –. Gli oneri finanziari previsti per questa misura sono pari a 88 milioni per il 2024, circa 160 milioni per il 2025 e circa 165 milioni a partire dal 2026, mentre per il 2027 la previsione è di 165,5 milioni annui [Ufficio studi del Senato https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01424565.pdf]. La copertura finanziaria indicata consiste sostanzialmente in spostamenti di voci di bilancio».
Un monitoraggio più completo ed esteso sul territorio nazionale
Con l’approvazione definitiva di inizio agosto, dovrebbe essere istituita presso Agenas una piattaforma nazionale per le liste d’attesa. La piattaforma in realtà è già in essere ma al momento non tutte le Regioni collaborano all’invio dei dati. Al momento non è chiaro se la nuova norma ne imporrà la partecipazione, ma l’obiettivo dichiarato dal documento uscito dal Senato è proprio quello di disporre per la prima volta di un monitoraggio in tempo reale di tutta la situazione italiana delle liste d’attesa, con i tempi per ciascuna prestazione divisi per Regione.
Anche il Centro Unico di Prenotazione dovrà lavorare in maniera sinergica con le strutture private convenzionate, per offrire all’utente una panoramica reale delle disponibilità, non demandando più all’utente una ricerca singola, struttura per struttura. Anche questo servizio oggi è giù presente in alcune Regioni, la novità prevede che venga reso effettivo su tutto il territorio nazionale. Il Cup avrà anche l’onere di ricontattare gli utenti che hanno prenotato una prestazione, per evitare quello che oggi accade nel 20 per cento dei casi: ovvero che visite ed esami vengano prenotati ma non effettuati. Per i pazienti cronici invece, la novità è che potranno essere direttamente i medici di base a fissare per loro controlli ed esami, senza passare dal Centro Unico di Prenotazione.
La lite fra Governo e Regioni e l’emendamento pacificatore
La commissione sanità del Senato ha dovuto riscrivere l’articolo 2 del decreto, che introduceva un organismo di verifica e controllo sull’assistenza sanitaria presso il Ministero della Salute. Le Regioni hanno rivendicato l’autonomia di ogni Asl di poter effettuare i controlli sulla corretta gestione delle liste d’attesa, senza la possibilità per il Ministero della Salute di sanzionare i singoli ospedali che offrono prestazioni oltre i limiti di attesa consentiti. Tutto, insomma, resta in capo alle Regioni.