FADOI: «Accogliamo nei nostri reparti un milione di ricoverati l’anno. Le Medicine interne vanno potenziate»

Un’indagine parlamentare conoscitiva sui reparti di Medicina interna dei nostri ospedali. Quelli che fanno fronte al maggior numero di ricoveri con minore disponibilità di personale rispetto alle altre Unità operative ospedaliere, per via di una classificazione “a bassa intensità di cura” che in nessun modo corrisponde alla complessità medio-alta dei pazienti trattati. 

Una emergenza che si interseca con quella dei Pronto soccorso, dove medici e infermieri internisti vengono spesso cooptati per coprire le falle in pianta organica, accorciando così una coperta già troppo corta e che fa sempre più fatica a coprire i bisogni assistenziali dei pazienti ricoverati nelle Medicine interne. Un’indagine che sarà fondamentale anche per indagare sulle differenze regionali e il rispetto degli standard nei vari territori.

La proposta lanciata da FADOI, la Federazione dei medici internisti ospedalieri, il 2 luglio a Roma, nel corso di un incontro con istituzioni sanitarie e parlamentari, è stata subito accolta con favore bipartisan da deputati e senatori, dichiaratisi disponibili a promuovere una iniziativa per avviare l’indagine conoscitiva su reparti di Medicina Interna che rappresentano il cuore pulsante dei nostri ospedali. Che per le condizioni di lavoro sempre più difficili vanno valorizzati e potenziati per non rischiare di non essere più attrattivi, visto che secondo gli ultimi dati ANVUR (l’Agenzia per la valutazione del sistema universitario) nell’anno accademico 2022/23 sono rimaste scoperte in Medicina Interna circa la metà delle borse di studio messe a bando. 

«Le Medicine interne hanno assistito durante la pandemia il 70% dei pazienti Covid, trasformandosi soprattutto durante le prime terribili ondate in veri e propri reparti di sub-intensiva. Nonostante questo, le nostre unità operative sono ancora classificate a “bassa intensità di cura”, il che significa avere una minore dotazione di personale medico e infermieristico per posto letto», spiega Francesco Dentali, Presidente di FADOI.
Una incongruenza alla quale è sempre più urgente porre rimedio. Anche perché la carenza di medici e infermieri è indiscutibile, ma come dimostrano i dati del ministero della Salute sul tasso di utilizzo dei posti letto nei nostri ospedali, c’è anche una cattiva distribuzione delle risorse. «Sappiamo che AGENAS (l’Agenzia pubblica per i servizi sanitari regionali) e il Ministero della salute stanno predisponendo un algoritmo in grado di rilevare l’effettivo bisogno di personale in base al numero e alla complessità dei ricoveri nelle singole unità operative. Un modo nuovo di definire le piante organiche, superando l’anacronistico tetto di spesa per il personale, che resta ancora tale dopo l’aumento del 14% stabilito dal recente decreto sulle liste di attesa», afferma il Presidente FADOI.

L’emergenza nelle medicine interne rischia poi di diventare esplosiva nel periodo estivo, quando anche gli internisti usufruiscono del meritato riposo.
Cosa che tra giugno e settembre, secondo una indagine FADOI, avviene per oltre il 91% dei medici che usufruiscono dei 15 giorni di vacanze nel periodo estivo, come garantito dal contratto nazionale di lavoro. Questo comporta una riduzione degli organici in reparto che varia tra il 21 e il 30% nel 48% dei casi, tra il 30 e il 50% nel 19,4% dei reparti, mentre la carenza è tra l’11 e il 20% in un altro 21,8% dei casi.

Per chi resta in servizio, il volume di lavoro aumenta nel 42,7% dei casi e ciò incide “abbastanza” sull’assistenza offerta ai cittadini nel 51% dei nosocomi, “molto” in un altro 15,5%, “poco” nel 21,2% dei reparti, “per nulla” soltanto nel 6,3%.

A risentirne nello specifico sono poi le attività ambulatoriali, che diminuiscono le loro attività nel 52,7% dei casi e chiudono del tutto in un altro 15,1% degli ospedali. Il 14,1% garantisce invece l’invarianza nel numero e nei tempi delle attività negli ambulatori, che sono rimodulate nei tempi ma invariate nel numero di prestazioni in un altro 18% di casi.

Se pur riducendo le attività d’estate gli ospedali non chiudono per ferie lo si deve ai sacrifici sostenuti dai medici per coprire la carenza di personale già di per sé cronica. Ecco così che il 56,8% tra giugno e settembre vede molto spesso saltare i riposi settimanali che pure dovrebbero essere sempre garantiti, mentre l’intervallo delle 11 ore di riposo giornaliero non è sempre assicurato per il 26,7% dei professionisti. Nello stesso arco temporale il 44,7% è obbligato a coprire i turni notturni con attività aggiuntive, mentre il 28% è chiamato a garantire anche i turni in pronto soccorso (il 4,4% solo nel periodo estivo), con un numero di ore compreso tra le 12 e le 60 a settimana nel 56,1% degli ospedali, mentre nel 10,5% dei casi le ore trascorse nei Pronto soccorso è addirittura superiore a 90. «E questo – denuncia Dentali – va a tutto discapito dell’attività delle Medicine interne, che già dotate di un minor numero di professionisti sanitari in rapporto alla complessità dei pazienti trattati, finiscono così per perdere ulteriori quote di personale, che anziché essere presente in reparto è dato ‘in prestito’ ai pronto soccorso».

La corsa a ostacoli per prescrivere i farmaci innovativi

Se le carenze di letti e personale rendono sempre più difficile l’assistenza medica nei reparti di Medicina interna è invece la burocrazia a trasformare in una corsa a ostacoli la prescrizione dei farmaci innovativi e per molte malattie croniche. Prescrizioni che richiedono un Piano terapeutico sottoscritto da un medico specialista, da rinnovare periodicamente. «Nei nostri reparti assistiamo quasi un milione di persone l’anno – spiega il presidente della Fondazione FADOI, Dario Manfellotto – e sono in maggioranza pazienti complessi con più patologie come scompenso cardiaco, insufficienza respiratoria, malattia renale cronica. Tutte patologie che “giustificano” l’uso di farmaci più moderni ed efficaci. Ma, al momento della dimissione, o anche dopo una visita ambulatoriale, non sempre è possibile prescrivere i farmaci più innovativi. E così succede che il paziente rientra a casa senza un piano terapeutico completo perché per avere la prescrizione, deve prenotare la visita da un altro specialista».

Un ‘percorso ad ostacoli’ che potrebbe essere risparmiato al paziente «consentendo a tutti gli specialisti coinvolti nell’uso dei medicinali, in primis gli internisti, di poterli prescrivere».

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