Equità, sostenibilità, evoluzione. Sono i tre pilastri, che fungono anche da linea guida che deve sottendere allo sviluppo della sanità del nostro Paese. È questa la risposta che gli esponenti della filiera della salute hanno dato alla domanda “Dove va la sanità italiana?”, intervenendo al Forum Sistema Salute.
Già, ma cosa vuol dire in pratica? Come e dove mettere mano?
“Bisogna co-progettare il futuro della sanità superando le barriere, anche potenziando le partnership pubblico-private”, ha detto l’ex direttore generale dell’Asl Roma 1 Angelo Tanese. “Gestire la sanità significa essere consapevoli che ciò non significa solo chiedere fondi, ma riuscire a utilizzare al meglio le risorse a disposizione”.
Concorda, in parte, il presidente Fiaso (Federazione italiana aziende sanitarie e ospedaliere) Giovanni Migliore, che ha voluto evidenziare come “negli ultimi anni si è consolidata una classe di manager sanitari molto brava”. A cui però “non si può chiedere di fare miracoli. Bisogna cambiare le regole”. Perché, ad esempio, “non si può pensare di mettere tetti di spesa per il personale e volere al contempo un’assistenza di qualità”.
È importante investire sui giovani, perché questo può consentire di traghettare la sanità nel futuro
Considerazioni, quelle di Migliore, che hanno trovato una sponda anche in Tanese, che ha messo sul tavolo una delle patate più bollenti che dovranno essere affrontate dal nuovo esecutivo e che richiederà un sapiente gioco di contrattazione tra Salute e Tesoro: il nodo del ricambio generazionale dei professionisti della salute pubblica. Ha avvertito Tanese: “È importante investire sui giovani, perché questo può consentire di traghettare la sanità nel futuro”. Prossimo.
Quanto alla crisi che permea tutte le professioni sanitarie ha detto la sua anche Nicola Draoli, componente del Comitato centrale Fnopi (Federazione nazionale ordini e professioni infermieristiche). Con la schiettezza che lo contraddistingue ha spiegato: “La verità è che il nostro Paese non è orientato allo sviluppo del Ssn. Tantomeno per quanto riguarda le professioni. Non si parla mai della possibilità che i professionisti superino la mentalità prestazionale di natura prettamente tecnica che tutto il sistema salute impone. Senza intervenire sulle professioni non si può andare da nessuna parte. A prescindere dai miliardi da investire, dal tipo di management o dai modelli organizzativi”.
Come non dargli torto, giacché è ben noto che le professioni sanitarie scontano il prezzo di percorsi formativi e accademici vecchi di decadi e non permettono di sperare in un percorso professionale di medio-lungo termine. È un circolo vizioso. “La ‘prestazionalità’ è figlia di un sistema culturale che include una classe politica che chiede prestazioni. E che non ha interesse a mettere in piedi un diverso sistema formativo, né dal punto di vista normativo, né in termini di stratificazione delle competenze”, ha aggiunto.
Tornando ai tre pilastri della sanità futura, in particolare a quello della sostenibilità, la direttrice dell’Ausl Ferrara Monica Calamai ha evidenziato come debba “cambiare la visione stessa della salute. Oggi declinata nella ‘One Health’, attraverso un approccio olistico, multidisciplinare e multiprofessionale”. In questo modo si potrà cercare di conseguire anche l’equità di quell’accesso alla salute previsto dalla nostra Carta Costituzionale. “Perché oggi, sia chiaro, il nostro Ssn non è equo affatto. Con i ben noti gap di accesso alle prestazioni tra cittadini che abitano in diverse zone del Paese”, ha precisato. Rincarando poi la dose: “Se vogliamo che il cittadino sia davvero al centro della salute, l’agire del Ssn deve modificarsi soprattutto nel modo in cui eroga i servizi”. Da una sanità orientata alla malattia a una orientata alla salute. Da una salute intesa come assenza di malattia a una focalizzata sul benessere psico-fisico. Dall’autoreferenzialità dei sistemi di valutazione all’importanza della conoscenza scientifica nelle scelte assistenziali di politica sanitaria.
“Dobbiamo focalizzarci non sui miliardi messi sulla sanità, ma sulla percentuale di Pil” che viene dedicata a questo capitolo di spesa. I documenti di finanza pubblica dicono che una volta che saranno finite le risorse Covid, torneremo più giù di dove eravamo prima
Di tutta evidenza il fatto che, oltre a ottimizzare l’utilizzo delle risorse e spenderle per le attività a maggior valore aggiunto, occorrono investimenti. Ma attenzione, ha puntualizzato Mario Del Vecchio, Affiliate Professor di Government, Health and Not for Profit presso SDA Bocconi School of Management: “Dobbiamo focalizzarci non sui miliardi messi sulla sanità, ma sulla percentuale di Pil” che viene dedicata a questo capitolo di spesa. I documenti di finanza pubblica dicono che una volta che saranno finite le risorse Covid, torneremo più giù di dove eravamo prima. Se i dati Ocse relativi al 2021 indicavano che la spesa per la salute in Italia era pari all’8,7% del Pil, nel 2025 le stime sono di scendere al 6,4%. Ci si deve interrogare sul come fare a mettere di nuovo quell’1,5% mancante”. E, a detta dell’esperto, si tratta di risorse che “dovrebbero provenire dallo Stato, non dalla spesa privata”.
Bene, ma come agire? Una ricetta la fornisce il presidente della Fondazione Gimbe Nino Cartabellotta. “Bisogna focalizzare sulla politica del Ssn. I 12 miliardi di euro che la sanità pubblica ha ricevuto dal 2020 a oggi sono stati investiti per far fronte all’emergenza e non per interventi strutturali”, ha ricordato. Aggiungendo anche una riflessione non secondaria: “Dobbiamo renderci conto che, quando si capisce che i fondi servono – come avvenuto in pandemia – i soldi si trovano! Quindi il problema è politico. E la politica deve riconoscere onestamente che il Ssn si sta sgretolando e non risponde più ai principi di universalità ed equità. Se non immaginiamo un Ssn che vuole produrre salute, non andremo avanti, perché un migliore stato di salute della popolazione si traduce in una migliore economia del Paese”.
Cosa serve? Agire avendo compreso che mettere soldi sulla salute non è un costo ma un investimento
Come a dire che chi si siederà nell’Emiciclo dovrà porsi una seria domanda: lasciare alle generazioni future un Ssn prestazionalistico o un Ssn in grado di migliorare la salute? E qui torniamo, ben allineati, ai discorsi fatti dagli altri esperti. A cui si aggiungono le riflessioni, sempre illuminanti, del professore emerito Elio Borgonovi. Che, premettendo quanto sia più facile portare in piazza la gente su temi diversi dalla salute, rilancia alla politica un guanto di sfida (purtroppo più e più volte non raccolto in passato): “Agire avendo compreso che mettere soldi sulla salute non è un costo ma un investimento. E che questo investimento può generare sviluppo”.
Quanto a chi amministra la salute, Borgonovi avverte: “Basta con la narrazione continua di una sanità degli sprechi. Perché poi il ministro della Salute non potrà spingere con il collega del Tesoro per avere più risorse. Gli verrà chiesto prima di migliorare l’efficienza”.