La sfida delle analisi decentrate: siamo pronti per usare correttamente i point of care testing?

Se ne è parlato con un approccio multidisciplinare il 16 novembre all'AOU di Alessandria. Durante i lavori sono stati toccati i punti di forza di questa modalità diagnostica e le sfide alla sua completa implementazione, sia in ospedale sia sul territorio

«Il point of care testing (POCT) è una diagnostica rapida che consente di fare un passo avanti sulla refertazione e comunicazione al paziente e al curante di informazioni molto importanti», ha ricordato Andrea Rocchetti, Direttore SC Microbiologia e Virologia, AOU SS Antonio e Biagio e Cesare Arrigo, in apertura del congresso “Le analisi decentrate e i “point of care testing”: una strada in salita?” che si è tenuto sabato 16 novembre all’AOU di Alessandria.

Con la digitalizzazione e la territorializzazione della sanità, le analisi decentrate diventano cruciali, poiché possono essere eseguite ovunque si trovi l’utilizzatore finale: in strutture ambulatoriali, studi medici, RSA, ambulanze, farmacie, Case di Comunità… Il potenziale è alto, ma le difficoltà non mancano: dall’ambito normativo a quello della formazione, passando per la sicurezza e l’affidabilità dei dispositivi, la strada è ancora lunga. Ad Alessandria si sono discussi, con un approccio multidisciplinare, i principali nodi di quella che si appresta a diventare una diagnostica sempre più utilizzata in futuro.

I numeri indicano infatti che il fenomeno è in crescita: il mercato globale della diagnostica point of care è stato stimato in 44,4 miliardi di dollari nel 2023 e si prevede raggiungerà i 47,8 miliardi nel 2024. Inoltre, si pensa che crescerà del 6,1% annuo dal 2024 in poi, raggiungendo i 66,5 miliardi entro il 2030.

Gli aspetti normativi

Il 16 ottobre è entrata in vigore la direttiva europea NIS2 sulla sicurezza delle reti e dei dati. Poiché i POCT sono possibili grazie a dispositivi decentrati, il tema diventa cruciale, per la sanità in generale e per questo tipo di diagnostica in particolare.

Con la digitalizzazione e la territorializzazione della sanità, le analisi decentrate diventano cruciali

«Dal punto di vista normativo, si tratta di un salto di qualità rispetto alla precedente direttiva NIS, in vigore dal 2018 – ha affermato Maurizio Mensi, Professore di Diritto dell’Economia alla Scuola Nazionale dell’Amministrazione, Direttore del Centro di Ricerca @LawLab Luiss (Roma), avvocato e membro Comitato Economico e Sociale Europeo (Bruxelles) -. La NIS2 infatti introduce un assetto organizzativo nuovo. Tra gli aspetti più significativi, una responsabilità diretta del top management aziendale per quanto riguarda la conformità alle misure di sicurezza, il potenziamento della vigilanza e la sicurezza dell’intera supply chain. Inoltre, c’è un inasprimento delle sanzioni in caso di non conformità».

Per prepararsi al meglio alla NIS2, bisogna predisporre un’accurata valutazione del rischio con pianificazione delle misure di mitigazione, un’analisi delle lacune, la formazione del personale dipendente e del management e, soprattutto, la predisposizione di un budget per la conformità: «Una stima della Commissione europea indica che un’azienda già conforme agli adempimenti previsti dalla NIS2 dovrà allocare un 12% di budget aggiuntivo per le ICT, mentre chi si sta affacciando ora dovrà prevedere un +22%», ha riportato Mensi.

L’importanza dell’aggiornamento

Aggiornare i software è un’operazione tanto semplice quanto sottovalutata. Come ha sottolineato Enzo Veiluva, Responsabile dell’Area Privacy di CSI Piemonte, «oggi i dispositivi medici (DM) – anche quelli salvavita – sono sempre più soggetti a vulnerabilità a causa di software obsoleti o infrastrutture informatiche ospedaliere non aggiornate».

Un recente esperimento condotto all’Università Ben-Gurion in Israele ha mostrato come sia “facile” istallare nel Dipartimento di radiologia di un ospedale un dispositivo in grado di intercettare le TAC prima che queste siano lette da un radiologo. Grazie a un software di apprendimento, hanno manomesso le immagini aggiungendo o rimuovendo i segni del cancro. Il risultato è stato così realistico da ingannare sia i radiologi sia la tecnologia di screening del cancro.

Si stima che il costo medio di un cyberattacco in sanità sia di poco inferiore ai 5 milioni di dollari

«Si stima che il costo medio di un cyberattacco in sanità sia di poco inferiore ai 5 milioni di dollari – ha continuato Veiluva -. Da qui l’importanza delle misure di sicurezza e della security by design, cioè tenere conto della sicurezza informatica del dispositivo medico in fase di progettazione. Sarebbe importante che le aziende sanitarie richiedessero esplicitamente la fornitura di certificazioni e garanzie sulla sicurezza informatica nei capitolati per l’acquisto dei DM».

A questo proposito, Marco Foracchia, Direttore Servizio Tecnologie Informatiche e Telematiche “Corrado Tartaglia” Azienda USL di Reggio Emilia – IRCCS e Vice presidente ASIS (Associazione Italiana Sistemi Informativi in Sanità), ha rilevato che «bisogna abbandonare la logica a silos che ha contraddistinto finora l’approccio alla sanità digitale. A questo proposito potremmo sfruttare la flessibilità sperimentata durante il Covid. La security by design non va applicata al singolo dispositivo medico, ma al DM inserito nel sistema».

I diversi modelli gestionali dei POCT

I modelli gestionali dei POCT sono in larga parte gli stessi per quando riguarda ospeale e territorio. Si differenziano per le finalità: «L’ospedale è il luogo delle acuzie, quindi dovrò avere POCT orientati a questo scopo, mentre sul territorio servono soluzioni che si avvicinino al cittadino in ambiti come il rafforzamento l’assistenza domiciliare», ha rilevato Guglielmo Pacileo, Responsabile SSA Governo Clinico Qualità Accreditamento, ASL AL, Direttore Centro Studi Management Sanitario (CeSIM), Dipartimento Attività Integrate Ricerca Innovazione DAIRI.

C’è poi un tema di distribuzione delle risorse: «Queste in ospedale tendono a essere centralizzate, con un sistema di supporto per la manutenzione degli strumenti e per il controllo di qualità, garantendo una gestione continua dei POCT – ha ricordato Pacileo -. Sul territorio, invece, le risorse tendono a essere distribuite e quindi è necessario implementare sistemi che richiedano una minore manutenzione».

L’importanza della formazione

I POCT sono strumenti versatili, accessibili e facili da utilizzare, che riducono il Turn-Around-Time e il clinical decision making con un indubbio vantaggio per i pazienti. Consentono poi la riduzione di alcuni errori preclinici, per esempio quelli che riguardano il trasporto. Per contro, hanno una minore accuratezza rispetto ai test di laboratorio e per questo vanno utilizzati all’interno di un contesto clinico adeguato. Inoltre, in base all’esperienza e al training del singolo operatore ci possono essere risultati diversi. Da qui l’importanza della formazione del personale sanitario.

«I risultati se non sono appropriati perdono di valore e non sono poi utilizzabili dal clinico», ha sottolineato Antonella Lupetti, Professore Associato di Microbiologia, Direttore Master di I Livello sulla diagnostica decentrata, Università di Pisa e Direttore SD Microbiologia Micologica, Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana.

Il Master che dirige Lupetti è destinato a persone già laureate in Tecniche di laboratorio biomedico: «Penso sia assolutamente necessario che questi strumenti vengano gestiti da personale formato, non solo all’interno degli ospedali, ma anche sul territorio».

Anche Luca Rossi, Coordinatore Area Formazione, Dipartimento Professioni Tecnico Sanitarie, AOU Pisa e Docente del Master Diagnostica Decentrata dell’Università di Pisa, ha sottolineato l’importanza della formazione per questi strumenti in continua evoluzione, evidenziando come sia fondamentale lo skill-mix tra laboratorista e infermiere.

E poi c’è una questione di fiducia nei confronti dello strumento: «Uno studio solido ha mostrato come la “confidenza” dei clinici verso le analisi decentrate sia inferiore a quella che hanno verso i dati ottenuti dal laboratorio – ha riportato -. Questa mancanza di sicurezza si traduce spesso nella richiesta di ripetizione di gran parte dei risultati patologici ottenuti dal POCT con conseguente aumento dei costi per la duplicazione di esami e allungamento dei tempi di risposta e trattamento del paziente».

In conclusione dei lavori, Andrea Rocchetti ha ribadito «l’importanza di fare sistema, portando avanti queste istanze tutti insieme. Sarà un lavoro complesso, ma abbiamo a disposizione strumenti molto potenti».

Può interessarti

Michela Perrone
Giornalista pubblicista