Nel contrasto alle malattie cardio-vascolari bisogna superare la rigida distinzione tra prevenzione primaria e secondaria. È sempre più necessario valutare le condizioni e la funzionalità degli organi che sono il “bersaglio” dei principali fattori di rischio. Un nuovo approccio indispensabile per migliorare l’assistenza medico-sanitaria verso patologie che provocano, ogni anno solo in Italia, più di 900mila ricoveri ospedalieri. Causano anche 232mila decessi e costano complessivamente al nostro Paese 21 miliardi di euro (16 per i costi diretti e 5 per quelli indiretti).
L’invito alle istituzioni e al mondo medico-accademico è contenuto in un documento stilato dalla Consulta delle Società Scientifiche per la riduzione del Rischio Cardio-Vascolare. L’alleanza riunisce 16 diverse Società Scientifiche e presenta il suo lavoro nell’ambito di un workshop del titolo “Focus su tre grandi temi per il Ssn: Riflessioni e Proposte della Consulta SCV.
“Le malattie cardio-vascolari rappresentano in tutto il Pianeta la prima causa di morte – afferma il prof. Giuseppe Mancia, Presidente della Consulta-SCV, Professore Emerito dell’Università Milano Bicocca e Presidente della European Society of Hypertension Foundation -. La loro prevenzione rimane di gran lunga la migliore strategia a nostra disposizione per limitarne l’impatto complessivo sul SSN. La prevenzione può essere primaria e comportare interventi sugli stili di vita e altri fattori di rischio. Oppure secondaria e quindi finalizzata all’evitare recidive a persone già colpite da un evento cardio-vascolare. Questa suddivisione ha avuto, e continua ad avere, numerose ricadute positive sulla pratica clinica. Tuttavia presenta dei limiti, che possono essere superati grazie a esami diagnostici più precisi. Oggi sono stati messi a punto biomarcatori del danno d’organo e nuove indagini strumentali come le bio-immagini.
Rispetto a pochi anni fa è quindi possibile quantificare e qualificare il danno strutturale e funzionale al sistema cardiovascolare. Per esempio, le tecniche più avanzate ultrasoniche e tomografiche consentono di identificare precocemente lesioni, anche molto lievi, al sistema vascolare del cuore o dei reni o di altri organi. Tutto ciò porta inevitabilmente a importanti ricadute clinico-terapeutiche e opportunità di intervento precoce per tutti i pazienti. Questa maggiore precisione diagnostica consente una tempestiva identificazione del danno d’organo ed una conseguente adeguata quantificazione del rischio. Andrà perciò rivisto il paradigma classico con cui classifichiamo i pazienti, interpretiamo le nostre linee guida e diamo raccomandazioni terapeutiche alla luce del nuovo ruolo assegnato al danno d’organo, il vero nuovo “killer silenzioso”.
“Un lavoro di aggiornamento va svolto anche per il paziente fragile – sottolinea il prof. Giovanni Corrao, Direttore del Centro Interuniversitario Healthcare Research and Pharmacoepidemiology -. La Consulta-SCV ha infatti proposto di costituire un gruppo di lavoro interdisciplinare, per studiare questa problematica. Ogni persona colpita da una patologia cardiovascolare presenta infatti dei livelli diversi di fragilità, che dipendono da diversi fattori come la complessità clinica, la suscettibilità biologica e anche la vulnerabilità sociale. Sono tutti elementi che devono essere tradotti in un piano assistenziale individualizzato che tenga poi conto dei singoli aspetti d’ogni malato. Questo vale soprattutto nella gestione clinica e assistenziale della cronicità, condizione che interessa un numero crescente di pazienti”.
Al Workshop di oggi a Roma la Consulta presenta anche un terzo documento, dedicato all’arteriopatia periferica degli arti inferiori. “È una patologia decisamente trascurata anche se può interessare fino al 10% della popolazione adulta – prosegue la Prof.ssa Adriana Visonà, Direttore UOC Angiologia Azienza ULSS 2, Marca Trevigiana Regione Veneto-. Si caratterizza per una forte riduzione dell’afflusso di sangue e dell’ossigeno alle arterie degli arti inferiori, a causa dell’ostruzione o restringimento dei vasi sanguigni. La malattia inoltre non si presenta sempre con sintomi specifici. Un paziente con PAD presenta un rischio sei volte maggiore di eventi cardio-vascolari, tra cui l’infarto e l’ictus. Si calcola che l’arteriopatia periferica degli arti inferiori aumenterà in modo significativo nei prossimi 20 anni, anche a causa dell’invecchiamento generale della popolazione”.
“Per fortuna esistono diverse tipologie di terapie in grado di contrastarla efficacemente – aggiunge il dott. Walter Marrocco, Responsabile Scientifico della Federazione Italiana dei Medici di Famiglia/FIMMG e Coordinatore della Consulta-SCV-. Come Consulta siamo però assolutamente convinti che l’arteriopatia si possa sconfiggere anche grazie a nuove campagne di sensibilizzazione che ne aumentino la consapevolezza tra la popolazione. Infine, va resa sistematica la collaborazione multidisciplinare e multiprofessionale di tutti il personale medico coinvolto nel percorso di cura”.
“La prevenzione cardiovascolare gioca un ruolo fondamentale per la sostenibilità del sistema sanitario nazionale. Un risultato che può essere raggiunto solo garantendo l’accesso rapido ed omogeneo a livello nazionale e regionale e la giusta valorizzazione economica di tutti i farmaci per la prevenzione e la cura delle patologie cardiovascolari – conclude il dott. Marcello Cattani, Presidente di Farmindustria -. Come Paese dobbiamo accelerare le partnership strategiche sui temi fondamentali: ricerca e sviluppo clinico, prevenzione, uso delle evidenze generate con la Real World Evidence, digitalizzazione dei processi in sanità e applicazione dell’intelligenza artificiale e degli strumenti innovativi che mette a disposizione. È infine fondamentale che si realizzi una corretta misurazione e valorizzazione di tutti i benefici clinici, economici e sociali, sia diretti sia indiretti”.