Mascherine a prezzi fissi: una doccia fredda per le imprese e per il sistema sanitario nazionale

La determinazione di un prezzo fisso per le mascherine può costituire un ostacolo per le aziende italiane che hanno riconvertito la produzione? Come si può garantire il sistema ed evitare la speculazione ai danni dei cittadini? Ne parliamo con Davide Petrini (ristoratore e imprenditore), Salvatore Torrisi (presidente della Federazione FARE) e Massimiliano Boggetti (presidente Confindustria Dispositivi Medici)

A pochi giorni dall’avvio della fase due, quando la domanda di mascherine per forza di cose aumenterà con l’allentamento delle misure di sicurezza previste dall’ultimo dpcm del 26 aprile 2020, il Primo Ministro Giuseppe Conte e il Commissario per l’emergenza di Covid-19, Domenico Arcuri, hanno annunciato che le mascherine chirurgiche devono essere vendute a prezzi non superiori a 50 centesimi. Con la promessa di eliminare l’iva da questi articoli per tutto il 2020 (per il momento è solo una promessa).

E Arcuri rincara la dose di entusiasmo: cinque aziende sono state selezionate da lui stesso per arrivare a produrre in tempi brevi 660 milioni di mascherine al mese a 0,39 centesimi l’una.

Un sollievo per la popolazione, una doccia fredda, per non dire gelata, per le decine di aziende italiane che da due mesi a questa parte hanno deciso di riconvertire la produzione, a proprie spese, per realizzare mascherine.

La decisione imposta dal Governo ha come scopo quello di bloccare, a suo dire, un’eccessiva speculazione sui prezzi di questi dispositivi medici. Ma non tiene conto, a ben vedere le reazioni di diversi attori di questa filiera, delle aziende e del mercato in cui si sta operando.

La questione mascherine ha tenuto banco fin dallo scorso marzo per l’impossibilità concreta di reperirne in giuste quantità (difficoltà che permane ancora oggi per certi versi). Si sono spesi fiumi di parole per far capire che una produzione strategica come questa non può essere importata totalmente. Perché in tempi di crisi e di coronavirus i Paesi che normalmente ci vendono le mascherine possono decidere, per ragioni strategiche interne, di chiudere i rubinetti. Avere quindi una produzione interna di mascherine è fondamentale.

Si è quindi posta la questione di incentivare la produzione locale di mascherine per soddisfare il fabbisogno momentaneo, ma anche quello a lungo termine, perché di mascherine ne avremo bisogno in grandi quantità per molto tempo.

L’emergenza Covid-19 ha sottolineato l’importanza di poter contare su una produzione interna nazionale di alcuni beni essenziali

Con l’art. 15 del decreto “Cura Italia” dello scorso 17 marzo è stata autorizzata una produzione in deroga di questi dispositivi medici (mascherine chirurgiche e dispostivi di protezione individuale ffp2 e ffp3) che si possono produrre e commercializzare dietro presentazione di apposite certificazioni su tessuti e sistemi di produzione impiegati. Le autorizzazioni a produrre e commercializzare sono fornite dall’Istituto Superiore di Sanità per le mascherine chirurgiche e dall’INAIL per i dispositivi di protezione individuale.

Dal 17 marzo ad oggi, all’ISS e all’INAIL rispettivamente sono arrivate 1.389 e 3.012 richieste di autorizzazione a produrre e commercializzare dispositivi medici. Di tutte queste richieste, a fine aprile hanno passato la selezione 62 richieste per dispositivi di protezione individuale (richieste all’INAIL) e 25 richieste per mascherine chirurgiche (richieste all’ISS). All’ISS però ci sono altre 346 richieste che hanno ottenuto l’ok per la produzione, ma non per la commercializzazione e avranno l’eventuale approvazione nei prossimi giorni.

Che cosa significa tutto questo? Significa che ci sono 346 aziende che hanno già avviato la produzione (quindi hanno riconvertito, fatto i test per certificare le mascherine, investito ingenti risorse economiche) ma stanno aspettando di ricevere l’ok definitivo da ISS per poter commercializzare. Se anche arrivasse questa approvazione, per molte di loro adesso, con i prezzi fissi a 50 centesimi, le mascherine rimarrebbero nei magazzini, perché venderle a questo prezzo non copre nemmeno i costi di produzione.

La riconversione della produzione è attentamente certificata dall’ISS per le mascherine chirurgiche e dall’INAIL per i dispositivi di protezione individuale

Dall’altra parte le farmacie, che hanno già acquistato mascherine a prezzi superiori rispetto a quelli indicati dal Governo, sono bloccate. In questi giorni è arrivata la notizia di un accordo tra Arcuri e le associazioni del mondo dei farmacisti (FOFI, FederFarma) per assicurare a questi ultimi un rimborso del costo sostenuto per comprare i dispositivi medici: le farmacie quindi potranno vendere le mascherine a 50 centesimi e saranno rimborsate per la parte mancante dal Governo. Questo è negli accordi, ma ad oggi diverse farmacie hanno sospeso la vendita di mascherine per paura di andare in perdita.

Dal mondo del commercio si sono alzate diverse voci di dissenso. Cna Federmoda, che rappresenta molte delle aziende che hanno voluto riconvertire la produzione in mascherine, ha affermato in un comunicato: “L’imposizione del prezzo rappresenta un ulteriore schiaffo alle imprese italiane che hanno cercato di dare un contributo all’Italia mettendo a disposizione conoscenze e competenze e facendo lavorare persone che non gravano sulla spesa per gli ammortizzatori sociali. Il prezzo delle mascherine fissato a cinquanta centesimi non rispecchia i costi di produzione italiani. Evidentemente si pensa ad una massiccia importazione di prodotti dalla Cina o da altri Paesi dove diritti del lavoro, rispetto dell’ambiente, etica e responsabilità sociale sono considerati un disturbo allo sviluppo economico”.

Quello che il mondo delle aziende si aspetta adesso è che, come per le farmacie, il Governo copra il differenziale tra cinquanta centesimi di euro e il valore di una produzione made in Italy. Ma per il momento su questo aspetto non ci sono state rassicurazioni. Da Cna Federmoda propongono soluzioni alternative: “Siamo assolutamente consapevoli della necessità di andare incontro alle esigenze della popolazione. Vi sono diverse modalità per raggiungere questo risultato, oltre all’abbattimento dell’iva, si possono prevedere crediti d’imposta per il costo del personale e gli investimenti dedicati dalle imprese per realizzare le mascherine o di pensare alla detraibilità di tali spese da parte del contribuente”.

In tutto questo va ricordato come, sempre nel decreto del 26 aprile scorso, il Governo suggerisca alla popolazione di usare protezioni anche fatte in casa, con stoffe o altri tessuti che possano in qualche modo proteggere naso e bocca. Un’ulteriore colpo, da una parte, alle aziende che stanno investendo per produrre dispositivi medici efficienti e, dall’altra, alla scienza che continua a dirci che le mascherine chirurgiche hanno una capacità filtrante del 95% mentre le “fai da te” arrivano, a essere ottimisti, al 30%.

Abbiamo provato a sentire i vari attori di questo settore, dall’imprenditore che ha riconvertito, passando per i provveditori economici delle aziende sanitarie e i rappresentanti dell’industria italiana

Dal ristorante alle mascherine, una riconversione fatta in una notte

Davide Petrini è famoso a Varazze, in Liguria, per il suo ristorante “Il Pesce Pazzo” e per il progetto a cui ha lavorato per diversi anni per la produzione di conserve ittiche. Aveva già tutto per iniziare con le conserve: capannone, macchinari, requisiti tecnici e igienico sanitari. Ma la burocrazia prima e un coronavirus poi si sono messi di mezzo e hanno bloccato l’avvio.

Così Davide, nel giro di una notte, ha deciso di mettersi a lavoro per salvare il suo business, non lasciare a casa 16 dipendenti e provare ad aiutare il Paese. “Ho visto questi medici e infermieri mandati al fronte senza munizioni (le mascherine, ndr) e ho deciso che dovevo fare qualcosa”. Su internet (sì, su internet) Davide ha trovato diversi macchinari, realizzati in Cina, per la produzione di mascherine. In una notte, con l’aiuto della cugina madrelingua inglese, ha fatto diverse telefonate. Alle dieci della mattina successiva ha trovato il macchinario. È corso in banca per accendere il prestito e fare il bonifico.

Tra costo dei macchinari, spese di spedizione e spese doganali, Petrini ha sborsato 142.000 euro. “Ma l’aspetto che mi ha lasciato più sorpreso è stato dover pagare subito i dazi e l’iva. Io non voglio che mi si regali nulla, ma potevano almeno dilazionare i pagamenti o pretenderli un po’ più avanti”. Petrini infatti non crede nei finanziamenti a fondo perduto: “Sono un imprenditore, io i soldi li restituisco e così deve essere sempre. I finanziamenti a fondo perso attirano solo mafie e furbetti”. Una stoccata ai 50 milioni di euro a fondo perduto predisposti dal commissario Domenico Arcuri proprio per quelle aziende che avrebbero voluto riconvertirsi per produrre mascherine? “Io in questo momento sto pagando tutto di tasca propria e alla banca pago il 13,2% di interessi”. Nonostante questo, Petrini ha già comprato una seconda linea di produzione e insieme ad altre aziende ha creato il “Futura Network” per un obbiettivo prezioso: avviare entro i primi di giugno la produzione di 60 milioni di mascherine al mese. Questo grazie ad un’azienda che costruirà direttamente in Italia i macchinari per la produzione.

Petrini: “Con il prezzo fisso a 0,50€ la vendita delle mascherine di nostra produzione non è più sostenibile in Italia”

Ad oggi Petrini ha prodotto 500.000 mascherine. Ma da domenica scorsa ha dovuto interrompere la vendita in Italia, perché per lui non è più conveniente: “Stiamo vendendo all’estero e sta andando bene. Non avevo alternative. Mi hanno anche chiamato dalla Svizzera per chiedermi di spostare la produzione in quel paese e, devo essere sincero, sto seriamente valutando l’offerta”. Petrini qui in Italia avrebbe venduto le mascherine a 1,20 centesimi, iva inclusa. Un prezzo eccessivo per alcuni, giusto per chi come lui ha investito tutto di tasca propria, selezionando materie prime di qualità. “Noi vendiamo un prodotto efficace e di alto livello e non si può pretendere di applicare un prezzo così basso a un prodotto di qualità. È come voler applicare lo stesso prezzo a una Ferrari e a una Cinquecento”.

Per il momento il titolare del “Pesce Pazzo” rimane in Italia e il Network Futura, che da 20 imprese oggi, dopo la notizia dei prezzi fissi, ne conta solo 6, si impegnerà comunque a produrre mascherine sul suolo italiano. Ma le venderà all’estero finché rimarranno queste imposizioni di prezzo.

Torrisi (FARE): strategia del Governo incomprensibile

Salvatore TorrisiPer Salvatore Torrisi, presidente FARE – Federazione della Associazione Regionali degli Economi e Provveditori della Sanità, non è chiaro l’approccio utilizzato dal Governo: “Non ho capito come si sono mossi e su che target si sono posizionati. Le mascherine a 50 centesimi saranno solo quelle destinate alle farmacie o anche agli ospedali? Perché in questo ultimo caso i costi per il Servizio Sanitario Nazionale sarebbero sproporzionati”.

Torrisi si chiede su quali basi saranno rimborsate le farmacie, come annunciato dal commissario Arcuri. Ma il punto per il presidente FARE è un altro: “Se vogliamo proteggere la filiera delle aziende italiane che producono mascherine non possiamo basarci sul prezzo. Se fisso la base d’asta a 50 centesimi e poi non aggiungo nessun’altra condizione, è normale che a vincere saranno i produttori esteri che producono con costi molto più bassi dei nostri. Se invece oltre al prezzo andiamo a valutare anche la qualità dei prodotti, la trasparenza e il costo del lavoro, allora i 50 centesimi a mascherina non ci sembreranno più così elevati”.

Torrisi: “Oltre al prezzo, bisogna valorizzare correttamente anche la qualità dei prodotti, la trasparenza e il costo del lavoro”

Fino a qualche tempo fa nelle gare per le produzioni strategiche si destinava un 30% alla produzione nazionale, poi questo meccanismo si è perso tra i meandri di un’Unione Europea sempre più insistente verso un mercato sempre più aperto e libero e oggi quella riserva del 30% non esiste più. “In ogni caso voglio augurarmi che questi prezzi fissi riguardino i dispositivi che si vendono in farmacia. Perché per piccoli volumi questo prezzo può anche andare bene, ma su grossi volumi come quelli richiesti dal Servizio Sanitario Nazionale è una follia. Sono due mercati diversi e mi auguro che il Governo ne tenga conto”.

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Confindustria Dispostivi Medici: dal Governo nessuna volontà di interloquire con noi

Massimiliano BoggettiÈ un presidente amareggiato Massimiliano Boggetti, a capo di Confindustria Dispostivi Medici che fin dai primi giorni di questa pandemia ha cercato un dialogo con il Governo per avere qualche garanzia sulle aziende che i primi di marzo avevano già manifestato il loro interesse a riconvertire, ma che chiedevano una minima protezione della filiera. “Non abbiamo mai avuto occasione di interloquire con le istituzioni – afferma Boggetti – e leggere di notizie come queste ci lascia perplessi. Un prezzo imposto dal Governo è distante dal concetto di libera concorrenza. Le industrie si sono prodigate per aiutare il paese, ma vanno protette a emergenza finita per evitare che lo sforzo profuso sia vanificato”.

Per Boggetti la soluzione per, da una parte, evitare la speculazione sul prezzo delle mascherine e, dall’altra, proteggere la filiera italiana è tanto semplice quanto “antica”: la gara pubblica d’appalto. “Non c’era bisogno di inventarsi niente – aggiunge Boggetti – gli strumenti li abbiamo già. Noi abbiamo fatto presente ai vari ministri che la gara, se utilizzata bene, ponderando qualità e prezzo, è uno strumento potentissimo per calmierare i prezzi. Non solo, ma con l’“invecchiare” della tecnologia, i prezzi potrebbero ridursi ulteriormente. Non capisco perché si debbano inventare strategie nuove soprattutto in un momento di grande difficoltà”.

Boggetti: “La gara pubblica d’appalto, che consente di ponderare qualità e prezzi, è uno strumento potentissimo per calmierare i prezzi”

Se è vero che il Commissario Arcuri ha trovato diverse aziende disposte a produrre a un prezzo così basso “Non si capisce il perché – insiste il presidente di Confindustria Dispostivi Medici – siano stati fatti tutti questi accordi che non si sa neppure come siano stati eseguiti. Bastava fare una gara pubblica: gli imprenditori avrebbero fatto la loro offerta e il prezzo sarebbe stato trasparente e condiviso da parte di tutti”.

E conclude con rammarico: “Dispiace vedere una situazione del genere, perché credo che uno dei mandati fondamentali di oggi sia ricostruire un tessuto industriale che non esisteva, a causa di decisioni sbagliate prese negli anni precedenti. Adesso, invece che correggere questi sbagli, si stanno ulteriormente rafforzando. Dovremmo invece aprire una stagione nuova per il nostro Paese, una stagione di confronto, basata su concetti di scienza, di salute e di industria. E dobbiamo farlo tutti insieme”.

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Nei prossimi giorni le cose potrebbero cambiare e, come per le farmacie, il Commissario potrebbe provare ad andare incontro alle aziende prevedendo dei meccanismi di compensazione tra il prezzo obbligatorio e quello che avrebbero dovuto fare loro per sostenere la produzione. Ma è ancora presto per esprimersi. Se c’è una cosa che questa pandemia di Covid-19 ci sta insegnando è che ogni giorno le cose possono cambiare, le decisioni prese il giorno prima possono essere messe in discussione il giorno dopo. Persino le verità scientifiche sulle mascherine sembrano vacillare, affermando un giorno che sono indispensabili per poi rimettere tutto in discussione il giorno seguente. Un’ altalena di incertezze che può mettere a serio rischio il tessuto sociale ed economico del nostro paese.

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Angelica Giambelluca
Giornalista professionista in ambito medico