«Fermiamo gli inutili allarmismi e agiamo seguendo le parole chiave “prevenzione” e “sorveglianza epidemiologica molecolare”». È questo il commento, senza mezzi termini, del professor Massimo Ciccozzi, ordinario di Epidemiologia e Statistica sanitaria all’Università Campus Biomedico di Roma, a colloquio con TrendSanità a proposito di Mpox e sul rincorrersi di notizie che ipotizzano l’arrivo anche in Europa di focolai della nuova emergenza sanitaria internazionale.
Quali rischi al momento per l’Europa e l’Italia?
Tra conferenze stampa dell’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) e bollettini dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss), per comprendere bene qual è la situazione in Europa e in Italia, e qual è il concreto rischio di diffusione di questo virus a livello internazionale occorre fare riferimento alla sua storia epidemiologica.
I pericoli che arrivano dal sottotipo Clade 1-B
«Il virus del vaiolo delle scimmie – spiega Ciccozzi facendo riferimento alla vecchia definizione della patologia – ha due sottotipi definiti Clade 1 e Clade 2. Quest’ultimo si era diffuso in Europa nel 2022 ed era contraddistinto da sintomi leggeri e guarigione entro qualche settimana dal contagio. Quello che fa parlare di sé oggi e che è stato registrato in Svezia è il Clade 1-B, che finora era rimasto presente solo entro i confini della Repubblica del Congo. Ora, tra Congo e Uganda ci sono rapporti commerciali stretti e una guerriglia che porta alla formazione di campi profughi che favoriscono condizioni igieniche difficili e che portano a loro volta a una più frequente infezione dei bambini sotto i 15 anni. Questi soggetti, a causa del fatto che tendono a grattare le pustole provocate dall’infezione, sono coloro che possono trasmettere maggiormente il virus in questi Paesi. E questo aumento dei casi giustifica l’allerta internazionale lanciata dall’Oms».
Malattia del viaggio e contagio
L’ipotesi di una possibile pandemia, allora, non sembrerebbe così remota. Se non fosse che il contagio, seppur semplice in teoria, non dovrebbe essere così facile in pratica. Almeno al di fuori delle zone endemiche dell’Africa. «Possiamo affermare che Mpox è una malattia dei viaggi – afferma l’epidemiologo – perché viene portata al di fuori dell’Africa da coloro che vi si recano e vengono in contatto con persone infette senza adottare gli opportuni comportamenti utili a evitare il contagio. Molti dei casi registrati sono stati originati per via sessuale nei rapporti tra camionisti e prostitute. Quest’ultima è la principale causa della diffusione del virus al di fuori dell’Africa. I camionisti non si rendono conto subito di essersi contagiati perché i sintomi della malattia compaiono spesso al loro rientro in Europa. Chi ha vissuto gli anni Ottanta potrà notare molte analogie con quanto osservammo all’epoca per la trasmissione del virus dell’Hiv che fu responsabile dell’epidemia di Aids».
Il discusso ruolo dei droplet (goccioline di saliva)
L’altra via di trasmissione del virus è il liquido delle pustole provocate dalla malattia, che, se viene toccato, determina infezione. A proposito di contagio il professore, autore di numerose pubblicazioni sul tema, tiene poi ad intervenire su un tema che vede opinioni contrastanti, che in alcuni casi alimentano anche fake news che circolano sul web, e che parla della possibilità di trasmissione respiratoria di questo virus in modo simile a quella di Sars-Cov-2, il virus responsabile del Covid: «Ad oggi non è stato dimostrato che la trasmissione e il contagio possano avvenire attraverso la respirazione di droplet, o goccioline di saliva, provenienti da persone infette». Anche se su questo punto Oms, Iss e Ministero della Salute invitano alla prudenza spiegando che, in alcuni casi, un contatto prolungato faccia a faccia, specialmente in presenza di ulcere, lesioni o piaghe della bocca, può consentire comunque il contagio.
I sintomi e le conseguenze della malattia
Ma come fare ad accorgersi se una persona ha contratto il Mpox? In altri termini, quali possono essere i sintomi? Inizialmente bisogna stare attenti a febbre, anche molto alta, e dolori muscolari oltre che a «sintomi tipici come sonnolenza e mal di testa. Dopo tre giorni dal contagio compaiono le eruzioni cutanee, che non lasciano spazio a ulteriori dubbi diagnostici», precisa Ciccozzi. Anche se la parola vaiolo fa tornare alla mente una malattia ampiamente diffusa in passato e associata a tassi di mortalità anche dell’80% nei bambini, ci sono buone notizie rispetto a quello che veniva chiamato “delle scimmie” perché identificato per la prima volta su alcuni animali in un laboratorio in Danimarca nel 1958. Quali? «Guarisce spontaneamente in qualche settimana, senza grosse conseguenze, a meno che non colpisca persone immunodepresse o bambini molto piccoli», rassicura l’epidemiologo. Quanto al tasso di mortalità del 13% di cui si parla «è bene precisare che si riferisce unicamente ai dati della Repubblica del Congo, non all’Europa, dove a oggi i casi di infezione da Mpox arrivano a quattro in tutto. Per ora senza alcuna rilevazione in Italia».
Prevenzione comportamentale e vaccini
Il perché di una casistica pressoché prossima allo zero in Europa è dovuto all’ampissima vaccinazione della popolazione contro il vaiolo che venne effettuata nel secolo scorso. Una campagna vaccinale con tassi di adesione così alti da aver portato l’Oms a dichiarare eradicata questa malattia nel 1979 e allo stop della vaccinazione della popolazione italiana nel 1981. Commenta Ciccozzi: «Dato che il vaccino contro il vaiolo è efficace all’85% anche contro Mpox, la popolazione con più di 40 anni risulta in gran parte coperta dall’infezione».
Chi dovrebbe vaccinarsi?
Al momento una sola azienda danese produce e commercializza un vaccino e, non a caso, lo scorso 16 agosto ha fatto registrare un +17% del titolo dopo la dichiarazione di emergenza internazionale e della sua richiesta all’Agenzia europea dei medicinali (Ema) di autorizzare la somministrazione anche ai ragazzi tra i 12 e i 17 anni (ad oggi è somministrabile solo agli adulti). Va precisato che anch’esso «è stato realizzato contro il vaiolo umano», ricorda l’esperto.
Attenzione ai viaggi in zone con focolai
La parola vaccino fa rima con prevenzione, e se molti over 40 sono protetti perché vaccinati a suo tempo, come si devono comportare coloro che non sono ancora arrivati a spegnare quaranta candeline? È opportuno ricorrere alla vaccinazione, magari partendo dalle categorie fragili, la cui esistenza è diventata nota al grande pubblico nei giorni della pandemia? Risponde Ciccozzi: «Le categorie fragili sono rappresentate dalle donne in gestazione e dai bambini con meno di 15 anni. Questo per quanto riguarda l’Africa, dove il Mpox è presente. Da noi attenderei con nuove campagne vaccinali. Punterei piuttosto sulla prevenzione in termini di profilassi di comportamento: in caso di viaggi in aree dove questo virus è presente facciamo attenzione ai contatti fisici con le persone infette. Quindi evitare di entrare in contatto con le pustole di persone con la malattia conclamata e, in ogni caso, avere rapporti sessuali utilizzando il preservativo. Anche se non protegge al cento per cento dal contagio perché non evita del tutto il contatto cutaneo tra i genitali, riduce fortemente il rischio di infezione. Senza dimenticare l’importanza della sorveglianza epidemiologica molecolare, alla ricerca di eventuali varianti che possano dimostrarsi più pericolose delle attuali per la salute umana».
Le terapie
Infine, le terapie. Esiste la possibilità di ricorrere ai cosiddetti antiretrovirali, ma anche in questo caso gli esperti sono molto cauti, limitando l’eventuale somministrazione a casi molto gravi. Nei casi di infezione normale è possibile trattare l’infezione proprio con il vaccino stesso. Chiosa Ciccozzi: «Il tasso di mortalità del 13% rilevato solo in Congo è molto alto e i ricercatori stanno studiando le cause di questo valore elevato. Peraltro, Oms sta predisponendo dai 10 ai 14 milioni di dosi di vaccino proprio per i Paesi dell’Africa Centrale, che possono servire sia per prevenire l’infezione sia per supportare il sistema immunitario delle persone contagiata a sviluppare una risposta anticorpale più efficiente contro il virus».