Tanto tuonò che piovve: il payback dispositivi medici al vaglio di costituzionalità

Il TAR Lazio dubita della compatibilità della norma sul payback dei dispositivi medici con gli articoli 3, 23, 41 e 117 della Costituzione italiana. Analisi della norma e dei dubbi di costituzionalità

Con una ventina di ordinanze “gemelle”, tutte depositate in data 24 novembre 2023 e rese su altrettanti “ricorsi pilota”, scelti nell’ambito dei quasi 6.000 presentati a pioggia dai produttori e distributori di dispositivi medici alle aziende del SSN, il TAR Lazio ha sollevato la questione di legittimità costituzionale della normativa istitutiva del payback sui dispositivi medici, rimettendo il relativo giudizio alla Corte Costituzionale.

In particolare con tali provvedimenti – attesi da tempo nel settore, diffusamente pronosticati dagli addetti ai lavori ed auspicati da più parti, in special modo dalle associazioni di categoria dei produttori e fornitori ospedalieri di dispositivi medici, che hanno sempre opposto, nelle varie sedi istituzionali, la propria ferma contrarietà all’istituto del payback – il TAR Lazio dubita, richiedendo la valutazione sul punto del Giudice delle leggi, della compatibilità con gli artt. 3, 23, 41 e 117 della Costituzione italiana della normativa regolamentare applicativa del meccanismo previsto dall’art. 9 ter, d.l. 19 giugno 2015, n. 78.

A circa un anno dalle prime richieste delle Regioni di pagamento delle quote di ripiano, il TAR Lazio rimette la questione al vaglio della Consulta

In base ad esso le aziende fornitrici di dispositivi medici al SSN sarebbero tenute a compartecipare, nella misura del 50%, al ripiano dello sforamento delle Regioni rispetto al tetto di spesa (determinato, per gli anni 2015 – 2018, nella misura del 4,4% del Fondo Sanitario Nazionale) per l’acquisto di dispositivi medici.

In pratica, in applicazione di tale meccanismo, le aziende fornitrici di dispositivi medici sarebbero tenute a restituire alle Regioni ed alle Province Autonome una quota, proporzionale ai loro fatturati, di quanto incassato negli anni 2015 – 2018 per forniture di dispositivi medici, pur avendo eseguito regolarmente tali forniture ed avendo adempiuto correttamente ai propri obblighi contrattuali.

Da dove nasce il payback sui dispositivi medici

Il contestato meccanismo del payback sui dispositivi medici – parente stretto, ma non gemello, di quello sui farmaci (giudicato costituzionalmente legittimo dalla Consulta con la sentenza n. 70 del 2017), stante l’evidente diversità strutturale dei mercati di riferimento – nasce anni or sono, precisamente con l’art. 17, comma 1, lett. c), d.l. n. 98 del 2011, il quale ha previsto – con decorrenza dal 1° gennaio 2013 – che la spesa sostenuta dal SSN per l’acquisto dei dispositivi medici avrebbe dovuto essere fissata entro un unico tetto percentuale sulle quote regionali del  Fondo Sanitario Nazionale.

Il valore assoluto dell’onere a carico del SSN per l’acquisto dei dispositivi medici, a livello nazionale e per ciascuna Regione, avrebbe dovuto essere annualmente determinato dal Ministro della Salute, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze.

Le Regioni avrebbero dovuto monitorare l’andamento della spesa per l’acquisto dei dispositivi medici: l’eventuale superamento del predetto valore (tetto di spese) sarebbe stato recuperato interamente a carico della Regione attraverso misure di contenimento della spesa sanitaria regionale o con misure di copertura a carico di altre voci del bilancio regionale.

Successivamente, l’art. 9 ter, d.l. n. 78 del 2015 ha stabilito che “l’eventuale superamento del tetto di spesa regionale … è posto a carico delle aziende fornitrici di dispositivi medici per una quota complessiva pari al 40 per cento nell’anno 2015, al 45 per cento nell’anno 2016 e al 50 per cento a decorrere dall’anno 2017. Ciascuna azienda fornitrice concorre alle predette quote di ripiano in misura pari all’incidenza percentuale del proprio fatturato sul totale della spesa per l’acquisto di dispositivi medici a carico del Servizio sanitario regionale”.

Sostanzialmente “dimenticato” per anni dai governi succedutisi nel tempo, solo nel 2022 il meccanismo del payback è stato concretamente attuato

Sostanzialmente “dimenticato” per anni dai governi succedutisi nel tempo, solo nel 2022 il meccanismo del payback è stato concretamente attuato, con l’art. 9 ter, comma 9 bis, d.l. n. 115, che ha demandato alle Regioni il compito di definire con proprio provvedimento l’elenco delle aziende fornitrici soggette al ripiano per gli anni dal 2015 al 2018.

Il Ministero della Salute, poi, con decreto del 6 luglio 2022, ha individuato i criteri di definizione del tetto di spesa regionale per tali anni, fissandolo per ciascuno di essi, uniformemente per tutte le Regioni, al 4,4% del fabbisogno sanitario regionale standard.

Infine, sempre il Ministero della Salute, con successivo decreto del 6 ottobre 2022, a seguito dell’intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni, ha adottato le linee propedeutiche per l’emanazione dei provvedimenti regionali di recupero dei relativi importi nei confronti delle singole aziende fornitrici, fissando il termine di pagamento al 31 gennaio 2023.

I ricorsi e i dubbi di costituzionalità

Le richieste di pagamento delle quote di ripiano formulate dalle Regioni hanno causato un’ondata di ricorsi giurisdizionali delle aziende fornitrici di dispositivi medici al TAR Lazio, che dapprima ha sospeso in via cautelare l’efficacia delle domande di payback e successivamente ha sollevato, con le citate ordinanze, la questione di legittimità costituzionale della relativa normativa.

I principali dubbi di costituzionalità del meccanismo riguardano, secondo il TAR Lazio, il fatto che il legislatore non abbia individuato alcuna finalità precisa che legittimi la disposizione istitutiva dello stesso, se non quella tout court di ripianare il disavanzo sanitario.

Inoltre, diversamente da quanto avviene per il payback farmaceutico, l’acquisto dei dispositivi medici avviene da parte delle Aziende del SSN previa unilaterale determinazione delle stesse dei quantitativi necessari al proprio fabbisogno, ed in ogni caso all’esito di procedure concorsuali di scelta del contraente, alle quali le imprese fornitrici partecipano, formulando un prezzo comunque inferiore a quello posto discrezionalmente dalla stazione appaltante a base d’asta, con ciò realizzandosi un risultato di piena e libera concorrenza tra le aziende che partecipano alle gare d’appalto.

Il meccanismo del payback, quindi, potrebbe contrastare con l’art. 41 della Costituzione, delineando un sistema atto a comprimere la libertà dell’attività imprenditoriale delle aziende fornitrici di dispositivi medici, in quanto non tiene in debita considerazione che le stesse, per poter accedere al mercato delle forniture ospedaliere, partecipano a gare pubbliche, nell’ambito delle quali è previsto un rigido sistema di sostenibilità dell’offerta in base al quale i ribassi proposti, proprio al fine di assicurare la serietà dell’offerta, devono risultare apprezzabili in termini di margine di guadagno.

Al contrario, le norme delle quali si dubita della costituzionalità prevedono che le Regioni, nonostante la fissazione di un tetto di spesa per l’acquisto di dispositivi medici, possano comunque superarlo unilateralmente, obbligando le imprese fornitrici ad adempiere ai loro contratti, senza che le stesse possano in alcun modo partecipare alla determinazione del predetto tetto di spesa, né abbiano a disposizione alcuno strumento per controllare se esso venga superato.

In attesa della pronuncia della Corte costituzionale, con tempi attesi di almeno 18 mesi, la situazione rimane in sospeso, a meno di un nuovo intervento del Governo

Dubbia, inoltre, risulta la costituzionalità del sistema sotto il profilo della retroattività delle richieste di ripiano formulate dalle Regioni alle aziende fornitrici, soprattutto in considerazione del fatto che le stesse hanno calcolato il prezzo da proporre in sede di gara in base ai costi di produzione e al margine di utile atteso al momento della partecipazione alle gare e si vedono richiedere di restituire una parte del fatturato maturato sulle forniture eseguite in esito a tali gare, dopo molti anni dall’effettuazione delle stesse.

In tal modo vengono erosi gli utili maturati anni addietro, senza la garanzia che permanga un minimo ragionevole margine di profittabilità del prezzo praticato, financo potendosi configurare, in determinati casi, la mancata copertura dei costi, atteso che la normativa, per determinare l’ammontare del ripiano, fa riferimento al fatturato e non invece al margine di utile realizzato dalle imprese fornitrici.

Senza considerare che la fissazione del tetto regionale di spesa annuale per l’acquisito dei dispositivi medici, con riferimento agli anni 2015 – 2018, è stata effettuata solo con il d.m. 6 luglio 2022, dopo molti anni dall’esecuzione delle forniture e dall’incasso del relativo corrispettivo.

In definitiva, secondo il TAR Lazio, le Regioni hanno acquistato i dispositivi medici senza poter avere come riferimento un tetto di spesa predefinito, mentre le aziende fornitrici hanno partecipato alle gare indette dalle amministrazioni senza poter prevedere quale sarebbe stato l’impegno economico loro richiesto in conseguenza del payback e senza poter formulare in alcun modo un’offerta economica che tenesse conto degli effettivi costi da sostenere con riferimento a ogni singola fornitura.

Il tutto comporterebbe un evidente ed ingiustificato sacrificio dell’iniziativa economica privata, la cui limitazione può considerarsi legittima solo se il bilanciamento tra lo svolgimento dell’iniziativa economica privata e la salvaguardia dell’utilità sociale risponde ai principi di ragionevolezza e proporzionalità e non è perseguita con misure incongrue.

Le norme della cui costituzionalità si dubita, inoltre, appaiono porsi in contrasto con gli artt. 3 e 117, comma 1, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), sotto il profilo dell’affidamento, della ragionevolezza e dell’irretroattività, nonché con l’art. 23 della Costituzione, considerato che il prelievo economico disposto sul fatturato delle aziende fornitrici può essere inquadrato nel genus delle prestazioni patrimoniali imposte per legge senza la volontà del destinatario, non avendo tuttavia natura tributaria.

In attesa della pronuncia della Corte costituzionale – con tempi attesi di almeno 18 mesi – i giudizi instaurati e le richieste di pagamento del payback formulate dalle Regioni rimangono in stato di sospensione; tutto verrà deciso dai Giudici della Consulta, a meno che, nelle more, il Governo non intervenga per abrogare o rivedere il tanto contestato meccanismo, individuando un diverso e più equo strumento di ripiano degli sforamenti del tetto di spesa sanitaria delle Regioni.

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Mario Zoppellari
Professore aggregato presso la Facoltà di Giurisprudenza, Università degli Studi di Bologna; Studio Legale Zoppellari e Associati