PNRR, ristrutturare non basta

Secondo Antonella Guida, coordinatrice Osservatorio sullo stato di avanzamento del PNRR dell’Università Federico II, servono anche una digitalizzazione che non incrementi le disuguaglianze territoriali e una ridistribuzione delle competenze

Dopo la rimodulazione estiva del Piano nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), le Case di Comunità sono passate da 1350 a 936, le Centrali operative territoriali da 600 a 524 e gli Ospedali di Comunità sono scesi da 400 a 304. Tra il 2021 e il 2023, infatti, l’incremento dei costi di costruzione è stato tra il 24% e il 66% a seconda delle Regioni.

Nel frattempo, a inizio ottobre è arrivata la terza tranche di pagamento, pari a 18,5 miliardi di euro. Il Comitato europeo delle regioni, che riunisce governatori e sindaci di tutta Europa, nel suo rapporto annuale ha acceso i riflettori sull’efficacia degli indicatori PNRR per misurare i risultati degli investimenti.

Dal 3 maggio esiste l’Intergruppo parlamentare “Sanità e Ripresa”, che ha il doppio obiettivo di rafforzare il Ssn dopo la pandemia e monitorare l’utilizzo dei fondi del PNRR.

Lo stato di avanzamento del PNRR

Antonella Guida, direttrice responsabile del distretto sanitario 12 di Caserta, è tra i consulenti tecnico scientifici che hanno il compito di far pervenire proposte e elaborati per sensibilizzare i parlamentari su problematiche di interesse diffuso.

“Ogni Regione ha il suo organismo tecnico specifico che fa il punto, ma sono visioni di settore – spiega Guida, che è anche coordinatrice dell’Osservatorio sullo stato di avanzamento del PNRR dell’Università Federico II – Noi abbiamo avuto l’ambizione di mettere a sistema tutte queste produzioni e renderle omogenee, verificando la coerenza dei risultati e cercando di accendere dei fari su tematiche specifiche”.

Prima di luglio il gruppo aveva evidenziato l’impossibilità di realizzare tutto quanto previsto nella Missione 6 del PNRR nei tempi stabiliti. “L’analisi del Governo ci ha poi dato ragione e ha limitato gli interventi alle ristrutturazioni, abbandonando le nuove costruzioni”, commenta l’esperta.

In questo momento sono in via di aggiornamento le schede di rilevazione: “Penso che per fine ottobre o metà novembre faremo un’analisi sulle eventuali disuguaglianze che si possono acuire in questa situazione – afferma l’esperta -. Ci sono istituti specifici che curano lo stato di avanzamento del PNRR per conto dei ministeri e noi non ci vogliamo sostituire, ma abbiamo l’ambizione di lavorare come ente terzo che mette insieme tanti aspetti e mostra le situazioni da altre prospettive”.

La sfida delle disuguaglianze

Per l’esperta proprio le disequità e le aree interne sono tra i temi che potranno subire più penalizzazioni da questa rafforzata modifica del PNRR in ambito sanitario.

“Io credo sia possibile colmare queste eventuali disequità portando i servizi digitali, che restano strumenti e non soluzioni. Il tema dei cittadini che risiedono nei piccoli paesi e nelle isole è importantissimo, soprattutto dal punto di vista sanitario. Oltre a provare a forzare sulla digitalizzazione dei servizi, si potrebbe pensare di coinvolgere il terzo settore, che ha un suo ruolo e una sua competenza”.

L’Intergruppo ha inoltre presentato una proposta di collaborazione sia al Ministero della Salute sia al Miur.

“Come Osservatorio abbiamo fornito il nostro contributo all’Intergruppo seguendo tre direttrici: l’analisi dello stato di avanzamento del PNRR, i bisogni formativi e la proposta formativa”, continua Guida.

Le disequità e le aree interne sono tra i temi che potranno subire più penalizzazioni da questa rafforzata modifica del PNRR in ambito sanitario

L’Osservatorio della Federico II ha riportato all’Intergruppo i risultati di un questionario diffuso a tutti gli operatori sanitari, prevalentemente della Regione Campania, sullo stato di conoscenza sul PNRR.

“Abbiamo cercato di capire qual è il livello di consapevolezza dell’operatore sanitario sul Piano nazionale di ripresa e resilienza e quali sono gli ambiti in cui indirizzare percorsi formativi specifici”.

Sebbene i risultati siano in corso di elaborazione, Guida ha anticipato che almeno i due terzi degli operatori che hanno risposto hanno evidenziato bisogni formativi, mentre solo un terzo si è detto consapevole e ha dimostrato di aver compreso la visione del nuovo sistema proposto dal Piano.

Nello stesso tempo la Federico II ha avviato un corso di perfezionamento post universitario dedicato ai dirigenti dei servizi sanitari territoriali, per “rendere applicativo il Dm 77 e attivare nuove competenze e skills per la programmazione e la gestione dei gruppi. È necessario innovare le conoscenze che sono invecchiate. Il corso è quasi alla fine della prima edizione e proprio in questi giorni sta partendo il bando per la seconda annualità”.

La gestione delle cronicità

Il tema delle risorse è pressante, nelle settimane che ci stanno conducendo alla manovra economica. Recentemente la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha affermato che al di là delle risorse, è necessaria una migliore organizzazione. Guida non si sottrae: “Che i finanziamenti a disposizione siano ridotti a causa dell’inflazione e degli eventi bellici è un dato di fatto. Tuttavia è vero che, parallelamente a un aumento delle risorse, sarebbe necessario intervenire sulle sacche di inappropriatezza o di uso non ottimale delle risorse”.

Come direttore di distretto Guida sta sperimentando la digitalizzazione applicata alle malattie croniche, attraverso i Chronical center, un modello di presa in carico del paziente multidisciplinare e multispecialistico che “attraverso l’analisi dei suoi bisogni riceve un’agenda annuale dei controlli. In questo modo eliminiamo i duplicati che probabilmente avremmo se il paziente fosse gestito solo dal medico curante o dai singoli specialisti”.

Uno degli obiettivi dei Chronical center è fornire a ogni paziente un’agenda annuale dei controlli per evitare la duplicazione delle prestazioni

Per ciascun paziente si elabora quindi un file unico annuale, con un’agenda di trattazione per 12 mesi che permette di evitare duplicazioni delle prestazioni e di seguire il paziente più da vicino, riuscendo a intercettare prima una riacutizzazione di una patologia cronica ed evitando per esempio l’accesso in ospedale.

“Abbiamo inoltre attivato dei servizi a domicilio che non sono Adi: si chiamano Uca, unità di continuità assistenziale, e sono ispirate alle Usca che abbiamo sperimentato durante la pandemia”. Queste unità permettono l’invio, anche occasionale, di medici e infermieri al domicilio del paziente per gestire delle prestazioni di media complessità.

La grande sfida è sulle patologie a larga diffusione, penso al diabete e alle sue complicazioni”, continua Guida.

I problemi organizzativi e culturali di personale sanitario e pazienti si possono superare “attuando processi di change management: se non c’è un percorso alla base del cambiamento, non convinci nessuno a cambiare. Sulle nuove progettualità che stiamo sviluppando è necessario avere un’idea chiara sul punto di partenza, gli obiettivi e i mezzi a disposizione. È poi necessario condividere questa idea con chi la deve applicare. Questo significa svolgere un lavoro di preparazione, di analisi, di studio e di messa a terra delle varie criticità”.

I problemi organizzativi e culturali di personale sanitario e pazienti si possono superare attuando processi di change management

In questo modo, in base all’esperienza di Guida, la resistenza iniziale si è trasformata in collaborazione: “È successo per esempio con i medici di medicina generale. In un anno e mezzo siamo riusciti a seguire circa 1.600 pazienti in questo modo. Abbiamo diagnosticato loro delle patologie oncologiche non ancora espresse, quindi hanno potuto godere di un trattamento precoce”. 

Gli altri elementi importanti sono il monitoraggio e la motivazione interna: “Occorre tenere sempre alta l’attenzione degli operatori, coinvolgendo l’intero comparto. L’infermiere di comunità non va inventato, ma supportato, accompagnando questi percorsi da leve motivazionali individuali – è la ricetta di Guida – A latere dell’implementazione dei Chronic Center ho sempre cercato di aggiungere percorsi formativi innovativi che potessero aprire la mente agli operatori su altre modalità di lavoro. E una volta raggiunto l’obiettivo non ci si ferma: il progetto va sempre attenzionato e rimodulato. Il rischio della routine, infatti, è perdere la capacità di attenzione e innovazione”.

Distribuire i profili di competenza

In questo momento i due problemi che attanagliano il Ssn riguardano la gestione delle liste d’attesa e la carenza di personale.

Per abbattere le prime, secondo Guida, “bisogna rendere ordinari nel pubblico alcuni meccanismi che utilizza anche il privato, come l’overbooking e l’attività di recall, con tutti i mezzi possibili. Non solo la telefonata, ma anche l’sms e il whatsapp, chiedendo al paziente di confermare o disdire”.

E poi è necessario lavorare sui codici di priorità: “Un codice di urgenza non può essere un escamotage per superare le liste d’attesa”.

Alcuni meccanismi che utilizza il privato, come l’attività di recall con tutti i mezzi possibili, vanno applicati anche alla sanità pubblica, per gestire meglio le liste d’attesa

Le liste d’attesa non sono diffuse nello stesso modo ovunque: ci sono delle specialità che sono più in sofferenza: “Occorre riorientare l’organizzazione sulle branche a maggiore domanda, formando anche il personale di comparto, che può essere di supporto per velocizzare le prestazioni. Infine, inserire i pazienti in Pdta probabilmente ridurrebbe il problema”.

Sul personale sanitario, Guida ritiene che la valorizzazione di professionalità come infermieri e Oss possa aiutare a sviluppare azioni di supporto e collaborazioni.

“Vanno ripartiti i profili di competenza, ridistribuendo meglio il lavoro. Se non siamo tanti, dobbiamo capire che questo è necessario”.

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Michela Perrone
Giornalista pubblicista