Quanto costa l’obesità, oltre allo stigma?

A livello mondiale, l'obesità è oggi responsabile di un costo complessivo pari a circa 2.000 miliardi di dollari, che corrisponde al 2,8% del prodotto interno lordo globale. In Italia si stima che l'eccesso di peso sia responsabile del 4% della spesa sanitaria nazionale

Nei 52 Stati della Regione europea dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) sono in sovrappeso e obesi il 58,7% degli adulti (62,9% gli uomini e il 54,3% le donne) e il 29,5% dei bambini tra i 5 e i 9 anni (32,1% dei maschi e 26,6% delle femmine).

A dirlo è la stessa Oms, nel suo report annuale, che sottolinea come i tassi siano in crescita e ricorda che l’obesità è il principale fattore determinante di disabilità, causa diversi tipi di cancro ed è legata a una maggiore morbilità e mortalità da Covid-19.

Al momento, sovrappeso e obesità sono al quarto posto come fattore di rischio di morte, dopo l’ipertensione, i rischi alimentari e il tabacco.

 

Nonostante questi dati, il riconoscimento dell’obesità come patologia non è stato semplice: sebbene sia inserita fin dal 1948 nella Classificazione internazionale delle malattie, l’Oms l’ha riconosciuta come patologia cronica solo nel 1997.

Oggi sono pochi gli Stati europei che la identificano come tale: l’Italia è tra questi, grazie a una mozione parlamentare approvata all’unanimità il 13 novembre 2019.

Simona Bertoli
Simona Bertoli, Istituto Auxologico Italiano. Foto di Ugo De Berti

Il passaggio non è una mera formalità, perché permette di definirne la prevenzione e il trattamento.

“Si tratta di un passo avanti importante, sebbene purtroppo oggi l’obesità non sia ancora inserita nei Livelli essenziali d’assistenza (Lea) né abbia un codice di esenzione”, nota Simona Bertoli, responsabile clinica dei Centri Obesità Lombardi e del Servizio Day Hospital e Mac Obesità della sede di Auxologico Ariosto di Milano e direttrice del Laboratorio sperimentale di Ricerche sulla Nutrizione e l’Obesità dell’Auxologico.

Lo stigma

“Purtroppo quando si parla di obesità permane uno stigma duro a morire, che imputa alla persona la responsabilità di una presunta mancanza di volontà per dimagrire – ricorda l’esperta – In realtà, sappiamo che non è così: dal punto di vista scientifico è ormai chiaro che l’obesità sia una patologia con cause non solo legate alle errate abitudini alimentari”.

È stato dimostrato che nell’obesità primaria esiste una forte predisposizione genetica che si somma a un effetto ambientale

È stato infatti dimostrato che nell’obesità primaria esiste una forte predisposizione genetica che si somma a un effetto ambientale: “Essere inseriti in un contesto obesogenico, nel quale abbiamo cioè a disposizione facilmente molto cibo ricco di grassi e zuccheri, poco saziante e molto accattivante dal punto di vista estetico, non aiuta. Se si aggiunge che di solito questi alimenti sono più economici di quelli healthy, si capisce la difficoltà per il singolo di spezzare il circolo vizioso”.

Secondo stime recenti dell’Istat in Italia ci sono circa 21 milioni di persone in sovrappeso, mentre il numero degli obesi è di circa 6 milioni, con un incremento percentuale del 10% rispetto al 2001. È sovrappeso oltre 1 persona su 3 (il 36%, con preponderanza maschile: 45,5% rispetto al 26,8% delle donne) e obeso 1 adulto su 10. Inoltre, il 66,4% di chi ha diabete di tipo 2 è anche sovrappeso o obeso.

 

Questi numeri sono stati confermati anche dall’ultimo Rapporto sull’obesità in Italia, curato dall’Istituto Auxologico, che sottolinea come, sebbene il genere più colpito sia quello maschile (con un picco tra i 65 e i 74 anni), quando si parla di obesità grave siano le donne a essere maggiormente toccate dalla condizione. Nelle classi di età più anziane presentano prevalenze quasi doppie rispetto agli uomini e tra le donne anziane del Mezzogiorno la quota supera addirittura il 5%.

Per obesità grave si intende un indice di massa corporea superiore a 35. In Italia sono in questa condizione un milione di persone, pari al 2,3% degli adulti.

Per quanto riguarda la distribuzione geografica, complessivamente nel Nord-Ovest e nel Centro la prevalenza di obesità rilevata nella popolazione si attesta al 10%, mentre nel Nord-Est e nelle isole il valore raggiunge l’11,4% e nel sud il 12,4%.

L’obesità infantile

Un rapporto Ocse del 2019 inseriva l’Italia al quarto posto tra i Paesi dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico per obesità infantile: è obeso il 12,5% dei ragazzi tra i 5 e 19 anni e in sovrappeso il 24,3%. La situazione è più grave solo negli Stati Uniti, in Nuova Zelanda e in Grecia.

Il trend è stato confermato anche dal rapporto redatto dall’Auxologico: nei Paesi dell’Unione europea è obeso quasi un bambino su otto tra i 7 e gli 8 anni. Cipro, Italia, Grecia, Malta e Spagna mostrano i più alti tassi di obesità. L’Italia si colloca nella fascia centrale della graduatoria dei Paesi dell’Unione Europea, con una prevalenza pari al 19%. Nel nostro Paese, come per gli adulti, tra i 3 e i 17 anni si osserva un forte gradiente territoriale nella distribuzione dell’obesità tra la popolazione giovanile: 34,1% al Sud, 20% del Nord-Ovest, 22,4 % nel Nord-Est, 23,9% del Centro e 28,4% nelle isole, con quote più elevate soprattutto in Campania (37,8%), Molise (33,5%), Basilicata (32,4%), Abruzzo e Puglia (31,2%).

 

Più di un terzo dei bambini e circa la metà degli adolescenti che sono in sovrappeso permangono in questa condizione da adulti

Si stima che più di un terzo dei bambini e circa la metà degli adolescenti che sono in sovrappeso permangano in questa condizione da adulti. Diversi studi suggeriscono che ciò avvenga perché la comparsa precoce e il proliferare delle cellule adipose in determinati periodi della crescita possano avere conseguenze importanti rispetto al numero e alla dimensione dei depositi di grasso presenti in età adulta.

 

“Non vanno infine ignorate le problematiche psicologiche e relazionali dell’obesità nei bambini e nei ragazzi, di cui le cronache spesso ci riferiscono anche le conseguenze drammatiche – ricorda Bertoli – L’obesità tra i bambini e i ragazzi è spesso correlata a problemi psico-sociali come scarsa autostima, bullismo a scuola, scarso rendimento scolastico, disordini alimentari e depressione, che non contribuiscono certamente a una crescita sana e serena”.

I costi dell’obesità

A livello mondiale, l’obesità è oggi responsabile di un costo complessivo pari a circa 2.000 miliardi di dollari, che corrisponde al 2,8% del prodotto interno lordo globale. L’impatto economico dell’obesità, quindi, è sovrapponibile a quello del fumo di sigaretta.

In Italia i dati più recenti riguardo ai costi dell’obesità sono stati ricavati nell’ambito del progetto Sissi, svolto con i database della medicina generale dalla Toscana: lo studio stima che l’eccesso di peso sia responsabile del 4% della spesa sanitaria nazionale, per un totale di circa 4,5 miliardi di euro nel 2012.

Dati Ocse dimostrano che nel nostro Paese il sovrappeso rappresenta il 9% della spesa sanitaria e riduce il Pil del 2,8%

Dati Ocse dimostrano che nel nostro Paese il sovrappeso rappresenta il 9% della spesa sanitaria e riduce il Pil del 2,8%. Per coprire questi costi, ogni cittadino paga 289 euro di tasse supplementari all’anno. Inoltre, gli italiani vivono in media 2,7 anni in meno a causa del sovrappeso.

Dati di uno studio europeo che ha coinvolto anche l’Italia dimostrano che su 100 persone obese solo 40 ricevono una diagnosi. Il numero di soggetti che prende effettivamente un appuntamento per la cura dell’obesità è del 20%. Di questi, solo il 20% riuscirà ad avere un’efficacia della cura attraverso un intervento di primo livello. Per gli altri serviranno interventi di intensità diversi. “Questi numeri ci fanno capire quanto siamo lontani dall’obiettivo di trattare tutti”, evidenzia Bertoli.

 

Le misure esistono, ma spesso sono frammentate sul territorio nazionale o poco finanziate

Per arginare l’epidemia di obesità, l’Italia ha messo in atto una serie di politiche, tra cui linee guida che promuovono l’attività fisica e una dieta sana, etichette nutrizionali per gli alimenti da apporre sul retro delle confezioni e standard nutrizionali volontari nelle scuole. Tuttavia, per gli esperti si può fare di più. “Le misure esistono, ma spesso sono frammentate sul territorio nazionale o poco finanziate”, rileva Bertoli.

Nell’area Ocse l’attuazione di un pacchetto di politiche di comunicazione – comprensivo di etichettatura obbligatoria sul fronte delle confezioni, regolamentazione pubblicitaria e campagne di informazione – potrebbe prevenire 144 mila malattie non trasmissibili entro il 2050, facendo risparmiare 62 milioni all’anno in spesa sanitaria, e far aumentare l’occupazione e la produttività di una quota pari a 6 mila lavoratori a tempo pieno all’anno.

Una riduzione pari al 20% delle calorie negli alimenti ad alto contenuto di zucchero, sale, calorie e grassi saturi, potrebbe prevenire 688 mila malattie non trasmissibili entro il 2050, far risparmiare 278 milioni di euro all’anno in spesa sanitaria, e far aumentare l’occupazione e la produttività di una quota pari a 18 mila lavoratori a tempo pieno all’anno.

 

“Per quanto riguarda il contrasto all’obesità infantile, a lungo i pediatri si sono battuti per separare il prodotto alimentare dal gioco – osserva Bertoli – È infatti dimostrato che gli spot pubblicitari hanno un impatto importante sulle abitudini di consumo. Purtroppo non si è ottenuto nulla e oggi vediamo biscotti ricchi di calorie associati a figurine di calciatori in ottima forma fisica. Questi messaggi, su bambini predisposti, hanno un impatto fortemente negativo”.

Si stima che la promozione di stili di vita più sani rappresenti un buon investimento, oltre ad avere un impatto positivo sulla salute della popolazione: si calcola che in media, per ogni euro investito, è possibile un ritorno economico fino a 6 euro.

Le terapie

In questo momento il trattamento principale per l’obesità riguarda la dietoterapia associata all’educazione nutrizionale, all’educazione motoria e in generale a tutto quello che ha a che fare con il miglioramento dello stile di vita.

Il Servizio sanitario nazionale rimborsa la chirurgia bariatrica: “Tutto il percorso è a carico del Ssn, ma il follow-up e gli integratori che servono ai pazienti no – rileva Bertoli – È la conseguenza di non avere un’esenzione di malattia”.

È dimostrato che l’obesità è più frequente nelle classi disagiate, con un basso livello socio culturale ed economico

Accanto a questo, ci sono anche alcuni farmaci di dimostrata efficacia per il controllo del peso: “Sono prescrivibili da uno specialista, ma interamente a carico del paziente – sospira l’esperta – Con alcuni paradossi: uno di questi, per esempio, è utilizzato, a dosi inferiori, per il diabete. La persona con obesità non ha quindi l’accesso gratuito finché non contrare anche questa patologia metabolica… È inoltre dimostrato che l’obesità è più frequente nelle classi disagiate, con un basso livello socio culturale ed economico. Dovremo interrogarci su come allargare l’accesso alle terapie disponibili”.

 

Per far fronte alle problematiche nutrizionali, da qualche settimana è nato Auxologico Città Studi Icans, un poliambulatorio specialistico dedicato alle problematiche di sovrappeso, obesità, sindrome metabolica e disturbi del comportamento alimentare, frutto della collaborazione tra l’Università degli Studi meneghina (al cui interno si trova l’Icans, il Centro internazionale per lo studio della composizione corporea) e l’Auxologico. L’intenzione è fornire soluzioni pratiche ai pazienti sulla base della medicina basata sulle evidenze.

 

Il graduale aumento dell’obesità è una grande sconfitta: purtroppo il Covid ha interrotto alcune buone abitudini di movimento e ci ha spinto a rifugiarci nei comfort food – rileva Bertoli –, per non parlare delle visite rimandate”. Adesso qualcosa si sta muovendo e si stanno attuando televisite e telemedicina anche per quanto riguarda l’obesità. “Il lockdown ha tolto alle persone anche il minimo movimento quotidiano necessario per raggiungere la scuola o il posto di lavoro. Oggi chi fa smart working rischia di non uscire di casa per l’intera giornata. Sarebbe importante intervenire in fretta su adulti e bambini a rischio”.

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Michela Perrone
Giornalista pubblicista