Rapporto Oasi 2020: quali criticità per l’SSN di ieri e quali prospettive per il futuro?

Quali sono le lezioni apprese dallo tsunami Covid? E come usare in modo intelligente le risorse che stanno arrivando attraverso il Recovery Fund? Sono alcune delle domande emerse durante la presentazione del Rapporto Oasi 2020 curato dal Cergas dell’Università Bocconi di Milano.

Quali sono le lezioni apprese dallo tsunami Covid? E come usare in modo intelligente in conto capitale le risorse che stanno arrivando attraverso il Recovery Fund? Ma anche come impiegare in futuro le risorse aggiuntive arrivate in conto corrente? Sono alcune delle domande emerse durante la presentazione del Rapporto Oasi 2020 curato dal Cergas dell’Università Bocconi di Milano.

Le risposte non sono semplici, soprattutto alla luce del vaso di Pandora scoperchiato dalla pandemia, che ha messo a nudo una volta per tutte le molte criticità che interessano il Servizio sanitario nazionale (SSN) da molti anni. Ma su cui, per tutto questo tempo, si è chiuso un occhio.

Ed è proprio a partire dall’analisi dello stato del SSN ex-ante l’emergenza sanitaria e dalla comprensione delle rivoluzioni che l’hanno accompagnata che “si possono individuare le proposte evolutive per avere un SSN capace di valorizzare le risorse aggiuntive sia in conto capitale che in conto corrente che sono arrivate o che arriveranno”, ha spiegato il professor Francesco Longo, coordinatore del Rapporto insieme ad Alberto Ricci.

Le criticità del SSN di ieri

Come hanno confermato i dati presentati dagli esperti, le dinamiche storiche evidenziano che il SSN italiano è sobrio e molto sotto-finanziato. Soprattutto se paragonato a quello di altri Paesi: la Germania spende il doppio rispetto all’Italia; anche una nazione più frugale come il Regno Unito spende il 25%in più per la Sanità. Questo anche perché “per riuscire a sopportare la pressione degli ultimi anni sul contenimento del finanziamento si è invertita la relazione tra make or buy. E l’acquisizione per beni e servizi vale il 35%della spesa a fronte del 30% riservato al personale”, ha illustrato Longo.

Non si tratta però solo di finanziamenti mancanti. “Un altro dato acquisito è che la forte tendenza all’ingegneria istituzionale si è fermata e da due-tre anni, fortunatamente, ci si sta occupando di più dei contenuti rispetto alla cornice”, ha aggiunto.

A questo fenomeno si associano altri due processi importanti. Da un lato un peso sempre maggiore dato al livello regionale e centrale, e quindi alla visione dei sistemi regionali come dei sistemi unitari dove si riserva meno spazio alla singola azienda e più spazio al coordinamento complessivo. Dall’altro un tentativo iniziale di alcune Regioni di prendere in carico la cronicità, consapevoli del fatto che il 38%degli italiani è affetto da patologie croniche e consuma il 70%delle risorse. Insomma il quadro è quello di un sistema istituzionalmente più stabile che ha cercato di consolidare le funzioni centrali e di investire sulla cronicità.

Il SSN è stato molto sotto-finanziato, negli ultimi decenni

Il livello nazionale ha messo a fuoco alcuni obiettivi di esito o di esito intermedio. “Si è avverata la teoria dell’economia aziendale secondo la quale quando una cosa viene misurata diventa pubblica”, ha commentato il professor Longo. Che cosa significa in pratica? Che l’attenzione degli stakeholder del sistema si è concentrata su questi indicatori messi sotto sorveglianza. E che, dai tagli cesarei alle fratture del femore, si è avuto un miglioramento significativo degli standard. Così, se oltre al contenimento della spesa, si è riusciti a migliorare anche le performance di esito significa che si sono poste le basi per un percorso evolutivo positivo dalle buone prospettive.

Il dato più triste è invece l’aumento delle disuguaglianze nel Paese. “Il nostro SSN si dimentica spesso della sua ‘n’, che significa “nazionale”, ha rimarcato Longo. Succede infatti che anche se le Regioni meridionali stanno debolmente migliorando le proprie performance, lo fanno a una velocità nettamente inferiore rispetto a quelle settentrionali, andando così a incrementare le distanze tra Nord e Sud. Ne è prova ad esempio che a fronte di una riduzione media italiana dei ricoveri, l’incidenza dei ricoveri in mobilità sta aumentando.

 Sono migliorate le performance di esito, ma è cresciuta la disuguaglianza tra le Regioni

Esiste poi un problema notevole nella demografia della Pubblica amministrazione italiana, anche nel caso del SSN: oltre la metà dei medici ha più di 55 anni. “È un fenomeno che pone problemi organizzativi, ma anche in termini processi di innovazione dei processi. Non fosse altro che per l’adesione e la condivisione della trasformazione digitale della Sanità. Il debito sommerso che affligge il nostro Sistema Sanitario è proprio l’età dei suoi dipendenti. Non è un caso che tutti gli stakeholder di settore abbiano percepito come una boccata di ossigeno le 36mila nuove assunzioni”.

Le fratture generate dal Covid

Sono fratture profonde e radicali e avvenute in tempi rapidissimi. È accaduto l’opposto di quanto avvenuto negli ultimi 10 anni: l’aumento della spesa (+5 miliardi di euro), l’ingresso di 36mila nuovi operatori della salute, recuperando in pochi mesi il 75-80% del personale perso in un decennio. Un processo così fortemente accelerato che può comportare anche delle criticità, perché non è detto che si riesca a inserire così tanto personale in tempi così brevi in modo efficiente e soprattutto valorizzandone le professionalità, avvertono gli esperti dell’ateneo milanese. Come è il caso di USCA (Unità Speciali di Continuità Assistenziale) e infermieri di comunità: novità importanti dal punto di vista della geografia professionale del SSN, ma che potrebbero rischiare di trasformarsi nell’ennesimo silos che va a frammentare ulteriormente il territorio. Viceversa, se sono messi a sistema come parte dialogante della filiera dell’assistenza territoriale, potrebbero esprimere il loro massimo valore.

La pandemia ha innescato un cambio di marcia sugli investimenti e sul personale sanitario

Una cosa da non dimenticare, emerge dal Rapporto, è che è successo un piccolo miracolo: la cultura istituzionale, amministrativa e procedurale del SSN è diventata mission-driven. Si sono riscoperti ovunque i motivi per cui ci si occupa di Sanità e lo spirito pro-sociale che guida il personale sanitario, così come quello amministrativo e direttivo, rompendo gli argini delle burocrazie con l’unico obiettivo di rispondere alla priorità sociali del sistema. A cambiare è stata anche la governance, in molte aziende sanitarie, nelle aree vaste e nelle Regioni. Gli attori del sistema hanno creato comitati di crisi che hanno accorciato di colpo la governance mettendo insieme l’expertise di panel di clinici e manager che quasi giornalmente prendevano le decisioni che normalmente avrebbero richiesto uno o più anni.

Molto interessante il fatto che nelle Regioni più colpite durante la prima ondata c’è stata una modifica radicale nella geografia dei servizi in sole tre settimane. “I dati parlano da soli: in Lombardia, ad esempio il 42%dei posti letto sono stati trasformati in posti letto (Pl) Covid. Così come a livello nazionale il 20%dei Pl sono stati convertiti in Pl Covid, a riprova di una flessibilità del sistema del tutto inattesa”, ha illustrato Ricci. Un’operazione incredibilmente mission-driven.

“Mi ha molto colpito”, ha rivelato Longo, “il superamento degli steccati disciplinari dei professionisti. Come il dogma assoluto della divisione per materie e discipline è  ‘saltato‘ dalla sera alla mattina e anche i medici più blasonati si sono adoperati come terzo livello a supporto dei pazienti Covid, riscoprendo il vero spirito della missione dell’essere medico. Il tasso di superamento degli steccati è stato diverso da azienda ad azienda – in alcune fino al 95% – consegnando nelle mani dei manager un capitale plastico per misurare il capitale istituzionale della singola azienda”.

La geografia dei servizi è stata modificata radicalmente e in tempi brevi

Quanto alla digitalizzazione, essa ha toccato tutti i setting di cura e tutti i livelli professionali, con un processo di accelerazione davvero interessante. Senza dimenticare la novità principale che ha portato il Covid: che improvvisamente l’ospedale non è più il centro della Sanità, ma la popolazione tutta chiede la medicina del territorio.

Il futuro non è anteriore, ma semplice

Come guardare al futuro e cosa fare per mettere a posto le tessere di un puzzle che ha cambiato forma?

“Il primo grande bivio riguarda i 209 miliardi del Recovery Fund e la quota da allocare per la Sanità. Avendo come vincolo posto dall’Ue la spesa di questi fondi nell’arco di cinque anni, pena la loro restituzione”, ha puntualizzato Longo. La domanda quindi si trasforma in qual è la capacità di spesa del Sistema sanitario in conto capitale nel prossimo quinquennio?

Competenza e capacità delle Regioni saranno fondamentali per gestire i fondi europei

Un quesito a cui si accompagnano anche gli interrogativi riguardanti la competence e la capacity di alcuni assessorati regionali della Sanità. “Il driver di spesa sarà peculiarmente regionale e dipenderà da competence e capacity degli assessorati”, ha spiegato Longo aggiungendo che per una quota importante delle Regioni queste due caratteristiche sono molto carenti. A causa dello storico disallineamento tra l’investimento del Sistema sanitario e quello relativo alle funzioni centrali del suo governo, perché i fondi del SSN non possono essere spesi per rafforzare gli assessorati regionali. I dati del Rapporto, in effetti, segnalano che la distribuzione di personale degli assessorati rispetto al numero di abitanti è casuale. Senza contare che il personale degli assessorati è in media in là con gli anni e con competenze e background formativi spesso non allineati ai fabbisogni.

Quindi, dal momento che la capacità di spesa dipende dalla competenza e dalla capacità degli assessorati, nascono ulteriori interrogativi su come fare a utilizzare al massimo l’ingente quantità di fondi in arrivo dall’Ue.

Otto proposte per un SSN evoluto

Le organizzazioni complesse necessitano di tanti sistemi operativi di governo quante sono le dimensioni da presidiare. Se devo presidiare contemporaneamente la saturazione dei fattori produttivi, l’efficacia clinica e la ricomposizione dei percorsi per i pazienti devo attivare tre sistemi operativi di governo.

Secondo i ricercatori del Cergas, guardando ai bisogni degli assessorati, se ne individuano tre: controllo della spesa, controllo dell’evoluzione della programmazione sanitaria e della geografia dei servizi, controllo dello sviluppo di competenze e capacità.

Tre i potenziali tensori istituzionali a disposizione: il Mef che tradizionalmente controlla l’equilibrio economico e finanziario, il Ministero della Salute che definisce e controlla i Lea, e Agenas che contribuisce allo sviluppo delle competenze e delle capacità delle Regioni. “Se a queste tre distinte funzioni abbinassimo incentivi distinti, il gioco istituzionale potrebbe essere sofisticato e sosterrebbe l’evoluzione dei sistemi regionali. Potrebbe quindi entrare in gioco il fondino di conto corrente del Mef, le risorse in conto capitale che arriveranno al MinSal, mentre l’allentamento di alcuni vincoli amministrativi potrebbero essere la moneta di scambio per le Regioni che investono in competenze e capacità”, ha ipotizzato Longo.

In altre parole si tratta di far compiere un passo avanti al SSN, grazie al fatto che finora siamo stati forti sul primo tensore istituzionale e abbastanza attrezzati sul secondo. Resta da porre maggiore attenzione al sistema nel suo complesso.

Ecco quindi sul piatto otto proposte (Box) per arrivare a un SSN evoluto e rispondente alle richieste di salute di un futuro già presente. Naturalmente, ha chiosato Longo, “avendo sullo sfondo i cinque miliardi in più in conto corrente a disposizione per l’SSN e la cifra tra i 20 e i 70 miliardi in conto capitale che potrebbe arrivare dai fondi europei”.

Box. Otto proposte per un SSN evoluto e adeguato alle nuove richieste di salute

  1. Potrebbe essere il momento giusto per definire un livello stabile di investimenti tra SSN e PIL, 7,5%, incrementandolo dall’attuale 6,8%. Un obiettivo sfidante, ma non impossibile. Tra qualche anno, quando terminerà l’afflusso di queste risorse, riscopriremo di essere un Paese fortemente indebitato e dovremo aver investito avendo ottimizzato il beneficio sociale derivante dalla nostra spesa corrente.
  2. Investire in una capacità produttiva installata occupata sempre al 100%, ma flessibile. Così sarà possibile gestire le emergenze strategiche. La potenza produttiva installata, ma vuota, serve a poco.
  3. Diversificare le logiche di approvvigionamento, contrattualizzando una pluralità di fornitori, capaci di garantire vantaggi competitivi diversi, per costo, qualità e innovazione. E soprattutto localizzandoli in Italia così da sostenere la filiera life science nazionale che vale il 10%dell’economia del Paese. Senza dimenticare l’introduzione di criteri di selezione che non tengano conto solamente della componente “costo”.
  4. Trovare un nuovo modo di rinnovare le infrastrutture del SSN. Rinnovando gli ospedali che hanno già una casistica sufficiente e, viceversa, accorpando le strutture più piccole prive di questa caratteristica fondamentale per un’innovazione efficace. Gli stessi criteri del DM 70 dovrebbero valere anche per il territorio, dove ci sino molti ambulatori dispersi aperti poche ore alla settimana che non sono in grado di garantire la sicurezza clinica, la clinical competence e l’efficienza produttiva.
  5. Aumentare la produttività dei dipendenti del SN, riscoprendo il gusto di istituire logiche e strumenti di motivazione, incentivazione e diversificazione salariale pagando più e meglio chi produce maggiore valore per la collettività.
  6. Dato che ci si trova in una fase espansiva della forza lavoro del SSN, si deve riflettere sullo skill-mix. Su quanti medici e quanti infermieri in più sono necessari per rendere più efficiente l’assistenza sanitaria. Una domanda a cui rispondere interrogandosi sulla medicina di domani, sul concetto di standardizzazione e sulla digitalizzazione dei processi. Con l’obiettivo di spostare i camici bianchi sui processi a maggior valore aggiunto e gratificazione professionale.
  7. Destinare il 30%dei fondi europei al processo di trasformazione digitale della Sanità, ripensando i processi in ottica digitale.
  8. Istituzionalizzare la caratteristica del SSN mission-driven che si è resa evidente in fase di crisi. Partendo da una migliore definizione dei confini dell’autonomia del management e il ruolo della magistratura ex-post.

Può interessarti

Carlo M. Buonamico
Giornalista professionista esperto di sanità, salute e sostenibilità