Si sono tenuti a Roma il 4 e 5 maggio gli Stati generali della professione farmaceutica ospedaliera e territoriale nel SSN, organizzati da SiNaFO (Associazione Nazionale Farmacisti e Dirigenti del SSN) e Sifact (Società italiana di Farmacia clinica e terapia).
L’obiettivo è ridefinire il ruolo del farmacista in una sanità pubblica che non riesce più a garantire un’efficace assistenza ai cittadini. Anche il settore farmaceutico, sia pubblico che privato convenzionato, è stato pienamente coinvolto dalle tante e annose criticità, più o meno latenti, della sanità pubblica. Parliamo di organici insufficienti, inadeguatezza organizzativa e mancanza di programmazione formativa e assistenziale, per citarne solo alcune. Tutti aspetti emersi con forza durante la fase pandemica e che hanno implicato la figura e il ruolo del farmacista, contribuendo, tuttavia a dare un nuovo indirizzo alla professione.
La crescente evoluzione tecnologica in campo sanitario, con la conseguente commercializzazione di farmaci innovativi e dispositivi medici sempre più complessi e costosi, sta mettendo in crisi i pilastri fondamentali di universalità ed equità sui quali si fonda il SSN.
In un contesto problematico e in trasformazione, il farmacista del SSN assume un ruolo sempre più strategico nel garantire la sostenibilità del sistema
In un contesto così problematico ma in trasformazione, il farmacista ospedaliero e del territorio sta assumendo un ruolo sempre più strategico nel garantire la sostenibilità del sistema, grazie all’acquisizione di conoscenze più approfondite sull’innovazione terapeutica e alla partecipazione a team di lavoro multidisciplinari che mirano a garantire cure costo/efficaci e sicure.
È su questa spinta che nascono gli Stati generali per la Farmaceutica del SSN, includendo le associazioni di categoria e i principali stakeholders, nell’ottica di una visione unitaria, condivisa e proiettata nel futuro.
Farmacia del territorio e nuovi modelli organizzativi
“È nel territorio che il bisogno di assistenza è più alto” – afferma Giovanna Scroccaro, Direttore della Direzione Farmaceutico-Protesica Dispositivi Medici della Regione Veneto, che dà il via alla terza sessione degli Stati generali. “Per questo i servizi farmaceutici territoriali devono garantire l’assistenza in un’ottica di efficacia, efficienza ed economicità delle prestazioni, garantendo l’integrazione ospedale/territorio”.
La gestione del farmaco e dei dispositivi medici è, infatti, un’attività trasversale e multidisciplinare che coinvolge aspetti di tipo tecnico-giuridico e amministrativi, clinici e formativi-informativi.
“Nelle RSA – continua Scroccaro – la gestione del farmaco è più complessa perché si tratta di pazienti anziani e fragili, spesso con più di 3 patologie e non autosufficienti, in cui il rischio clinico è più alto e occorrono procedure strutturate. Le criticità non sono poche: interazione tra farmaci, errori terapeutici, antimicrobico resistenza e reazioni avverse al farmaco. Il ruolo del farmacista assume quindi contorni sempre più precisi e orientati soprattutto alla farmacovigilanza. In sintesi, i compiti dei servizi farmaceutici devono avere un focus speciale su RSA, assistenza sanitaria nelle carceri, farmacia dei servizi, con l’erogazione di servizi e prestazioni professionali ai cittadini anche da parte delle farmacie, carenze dei farmaci sul territorio e assistenza protesica”.
Il ruolo dei servizi farmaceutici territoriali riguarda la verifica dell’appropriatezza prescrittiva, la partecipazione alla stesura di linee guida e alle procedure di approvvigionamento, la formazione e informazione per i medici di medicina generale, l’attività di sorveglianza e analisi e monitoraggio dei dati per migliorare la governance dei farmaci e dei dispositivi protesici.
In quest’ottica, è necessario potenziare il ruolo dei dirigenti farmacisti dei Servizi farmaceutici territoriali, secondo Stefano Palcic, Responsabile SS Farmaceutica convenzionata e per conto, Azienda sanitaria universitaria giuliano isontina (Trieste) e Segretario Regionale FVG SiNaFO.
“Al 1° gennaio 2022 in Italia risiedono 58,9 milioni di persone e applicando l’indicatore previsto dal DM 77 di 60.000 abitanti per distretto, si arriverà a 983 distretti sanitari di ASL. Le farmacie nel nostro Paese sono 19.997, di cui 18.311 private e 1.686 pubbliche, nonché circa 4.000 parafarmacie. La spesa farmaceutica complessiva nel 2021 è di 32.2 miliardi di euro, di cui il 69,2% è rimborsata dal SSN”.
Sono solo alcuni dati dell’area farmaceutica territoriale che tuttavia gettano una luce nuova sui territori e sulle nuove dimensioni da gestire. “Il territorio è un sistema complesso – aggiunge Palcic – composto da ASL, hospice, RSA, carceri, ecc. che va gestito con efficacia e in cui il farmacista diventa il trait d’union tra farmacie, cittadini e medici di medicina generale con un incarico anche di tipo strategico e operativo. Il servizio sanitario farmaceutico è in prima linea nella tutela della salute dei pazienti, per questo è necessario ottimizzare gli interventi terapeutici in un’ottica di appropriatezza prescrittiva e governance farmaceutica. A questo si aggiunge anche un’analisi dei consumi di farmaci e dispositivi, valutazione dell’appropriatezza prescrittiva e monitoraggio dell’innovazione farmaceutica e dei device in accordo con la programmazione nazionale, regionale e locale”.
In un’epoca storica in cui si assiste a una riduzione dei finanziamenti, è sempre più necessario massimizzare le risorse nel settore farmaceutico. Inoltre, il progresso scientifico e tecnologico immette sul mercato nuovi farmaci e dispositivi che richiedono un’adeguata attenzione sulla sostenibilità e appropriatezza delle innovazioni.
Il servizio sanitario farmaceutico è in prima linea nella tutela della salute dei pazienti, per questo deve ottimizzare gli interventi terapeutici in ottica di appropriatezza prescrittiva e governance farmaceutica
“In questo contesto – prosegue Palcic – “il ‘farmacista 3.0’, deve riuscire a conciliare, oltre alla routine, innovazione ed efficienza rispetto agli standard economici previsti nei servizi farmaceutici territoriali. In questa direzione, sono richieste nuove competenze in ambito clinico e farmaco-economico. Occorre sopperire tuttavia al fabbisogno di personale, potenziare i servizi farmaceutici territoriali, investire nel fattore umano e nelle competenze e adottare nuovi modelli organizzativi sul territorio che sappiano gestire le interazioni tra area farmaceutica ospedaliera e territoriale. Le sfide non mancano: comprendere le esigenze del clinico e del paziente per fornire i trattamenti migliori, orientare le strategie terapeutiche per la qualità delle cure, ottimizzare le risorse, continuare a sviluppare la farmacia dei servizi e investire e potenziare l’assistenza farmaceutica territoriale”.
Il ruolo nelle malattie rare e come farmacista facilitatore
Quando si parla di malattie rare, si indica un gruppo di patologie molto eterogeno. Si definiscono “rare” per la loro bassa diffusione nella popolazione, con una prevalenza inferiore a 5 casi ogni 10.000 persone. Sembrano pochi, ma in realtà si tratta di milioni di persone in tutto il mondo. In Italia sono più di 2 milioni e 1 su 5 ha meno di 18 anni. “Nonostante i numeri e le diversità, le malattie rare sono accomunate da diversi aspetti tra cui la cronicità, disabilità, complessità nella presa in carico e multisistematicità, ma anche dalla difficoltà a ottenere una diagnosi appropriata e rapida e la scarsa disponibilità di cure risolutive”. Così inizia il suo intervento Domenica Taruscio, già Direttore del Centro Nazionale Malattie Rare dell’Istituto Superiore di Sanità. “Sono malattie che richiedono una gestione complessa, anche dal punto di vista terapeutico. Il Testo Unico delle malattie rare prevede un’uniformità nell’erogazione delle prestazioni e dei medicinali e l’articolo 4 è sicuramente di interesse per il farmacista, poiché prevede un Piano diagnostico terapeutico assistenziale personalizzato e livelli essenziali di assistenza per le malattie, definendo quali sono i trattamenti a carico del SSN. In linea generale, fornisce una cornice normativa per uniformare i trattamenti sul territorio e promuove la ricerca, monitorando la qualità complessiva della presa in carico dei pazienti e i flussi informativi”.
Il focus si sposta poi sulla figura del farmacista facilitatore con Annalisa Campomori, Direttore UO Farmacia ospedaliera dell’Ospedale di Trento. Si tratta di un progetto nato a Modena alla fine degli anni ‘90 sulla scorta della medicina basata sulle evidenze (EBM – Evidence Based Medicine). “Non basta produrre e diffondere conoscenza, occorre verificare anche l’effetto clinico nella pratica. Gli attori coinvolti nel progetto sono il rappresentante dell’Azienda Sanitaria, il nucleo di cure primarie (tra cui il MMG) e il farmacista facilitatore che consente non solo di applicare le evidenze scientifiche, ma anche di integrare i diversi interventi nella pratica clinica, colmare cioè il gap tra teoria e pratica. Ciò consente di superare la frammentazione delle informazioni cliniche in un’ottica sinergica. Il progetto prevedeva anche corsi di formazione specifici per farmacisti, produzione di reportistica sull’uso dei farmaci, realizzazione di pacchetti informativi specifici e incontri con i MMG in piccoli gruppi. In particolare, i pacchetti informativi presentano una definizione esplicita dei benefici e dei rischi attesi e una valutazione critica delle migliori evidenze disponibili con approfondimenti metodologici”.
Gli incontri con i MMG promuovono un confronto tra pari, in cui il farmacista diventa un riferimento per il medico di base
Gli incontri con i MMG promuovono un confronto tra pari, in cui il farmacista diventa un riferimento per il medico di base: “Ciò consente” – prosegue Campomori – di lavorare insieme sulla base di conoscenze comuni ma nel rispetto dei ruoli, per migliorare il confronto con i MMG, contribuire al controllo della spesa sanitaria e dando un ruolo attivo e qualificato ai farmacisti all’interno della medicina territoriale”.
L’informazione indipendente e il deprescribing
“Informare vuol dire generare cultura” esordisce Umberto Gallo, Dirigente Farmacista UOC Assistenza Farmaceutica Territoriale ULSS 6 Euganea di Padova e componente Consiglio Direttivo SIFaCT. “Serve un cambiamento del ruolo e un completamento, lavorando in un team multidisciplinare, elaborando e analizzando i flussi informativi, gestendo le risorse e fornendo un’informazione indipendente, per promuovere una cultura critica sui farmaci e garantirne un uso appropriato, anche nella gestione dei pazienti con terapie complesse e ad alto rischio. Solo così si crea un cambiamento in termini di efficacia delle cure, di riduzione degli effetti avversi e di ottimizzazione delle risorse”.
Qualità e sostenibilità diventano quindi le parole chiave. Ma come si genera un cambiamento? “Partire dal bisogno informativo, monitorare l’efficacia dell’intervento, conoscere la letteratura internazionale, leggere accuratamente i dati di prescrizione e rilevare le criticità”.
Informare per generare cultura. Generare cultura per innescare un cambiamento
In quest’ottica dunque diventa fondamentale il flusso informativo e l’analisi delle banche dati per monitorare le risorse, per l’analisi dell’appropriatezza prescrittiva e per ridurre il rischio clinico.
“Un esempio pratico è quello dell’antibiotico resistenza – prosegue Gallo. “In Europa, 1 decesso su 3 per AMR è in Italia. È un problema che si affronta anche sul territorio e non solo in ospedale, ma i protocolli non bastano. Occorre formare un gruppo di lavoro in cui il farmacista riveste una funzione importante insieme al MMG, infettivologo, infermiere e tutte le altre figure coinvolte. Ma occorre anche un’informazione indipendente e condivisa”.
Continuando su questa scia, Gallo introduce il tema del deprescribing nell’anziano, fornendo qualche dato: quasi il 60% delle persone con età uguale o superiore ai 65 anni usa 6 o più farmaci. “È una vera pandemia iatrogena – continua Gallo – “con un aumento dei ricoveri per gli effetti avversi dei farmaci. Una prescrizione potenzialmente inappropriata espone al rischio di una reazione avversa che supera i benefici del farmaco per vari motivi: dai dosaggi e durata della terapia inappropriati, alle interazioni farmaco-farmaco o farmaco-patologia. Circa il 50-70% delle reazioni avverse (ADR) sono inoltre prevedibili ed evitabili e in questa direzione si è espressa anche l’OMS. Tutto questo richiede al farmacista del SSN nuove azioni per una corretta ricognizione/riconciliazione delle terapie e una riduzione degli errori terapeutici, collaborando con le altre figure professionali per migliorare l’appropriatezza della cura, soprattutto negli anziani e nei soggetti fragili”.
Il farmacista del SSN è coinvolto nella corretta ricognizione/riconciliazione delle terapie, in collaborazione con le altre figure professionali, per migliorare l’appropriatezza di cura
Quali sono allora le nuove competenze richieste al farmacista? Secondo Gallo, un’adeguata formazione in farmacia clinica, poter identificare i pazienti a rischio ADR, eseguire un’attenta ricognizione dei farmaci e delle patologie, impiegare strumenti validati e confrontarsi con il clinico per valutare il deprescribing.
Il decreto 77/2022 fornisce un prezioso suggerimento poiché indica, tra i diversi obiettivi, la promozione della salute attraverso l’identificazione dei bisogni di salute del cittadino, basata sull’uso dei dati, e la stratificazione della popolazione per profili di rischio grazie all’impiego di algoritmi predittivi per identificare il rischio e gestire la presa in carico. “Il farmacista si evolve e passa dall’1.0 al 3.0”, conclude Gallo. “Diventa esperto di farmacia clinica, nella gestione dei dati, nella logistica e negli aspetti legislativi sul farmaco”.
Di delineano pertanto nuove sfide per il farmacista ospedaliero e territoriale, che deve acquisire sempre più competenze “multi ruolo”, ma nello stesso tempo è necessario rivedere la normativa sull’attività del farmacista per formalizzare tutte queste nuove abilità.
Assistenza farmaceutica e analisi dei dati farmaco-epidemiologici
“Il farmacista sta seduto su una mole di dati e ha un punto di osservazione anche sulla popolazione di pazienti, non solo sul singolo, ed è questo il suo valore aggiunto per un’epidemiologia di servizio” – interviene Antonio Addis, del Dipartimento di Epidemiologia SSR della Regione Lazio.
“I dati sono dati e spesso non si sa come usarli. Occorrono quindi nuovi processi di analisi da cui scaturiranno nuova conoscenza e nuove decisioni. Cosa può fare il farmacista? Per prima cosa descrivere i fenomeni e i percorsi di terapia, compresi gli switch, cioè il passaggio da un farmaco a un altro, non solo in termini economici ma come tema medico, per capire l’appropriatezza della prescrizione, ma per definire i determinanti di una scelta terapeutica piuttosto che un’altra e per individuare i fattori di rischio. C’è poi il bisogno di nuove competenze per leggere i flussi informativi e, per le nuove terapie, la necessità di individuare aree per programmare interventi di salute pubblica, misurare l’impatto delle decisioni per verificarne la funzionalità nelle strutture sanitarie e infine governare le emergenze”.
I dati sono tanti (big data) e devono essere letti e valutati in maniera integrata. Il punto di vista del farmacista, che è trasversale alle diverse aree terapeutiche, presenta pertanto grandi vantaggi in termini di integrazione delle informazioni.
AMR e trasversalità della professione di farmacista
La resistenza antimicrobica (AMR) rappresenta una seria minaccia per la salute globale. L’incidenza, i decessi, la durata del ricovero ospedaliero e i costi sanitari dovuti all’AMR sono, infatti, in netto aumento. “Sono 5 milioni i morti per AMR, 1,3 per ceppi specifici e in cui le vittime sono soprattutto bambini e anziani”. Conclude la sessione Francesco Trotta, Dirigente Settore HTA ed economia del farmaco e dell’Ufficio Monitoraggio della spesa farmaceutica e rapporti con le Regioni per l’AIFA.
“Italia e Grecia sono i Paesi meno virtuosi nella lotta all’AMR. Nel nostro Paese l’impatto della spesa è di 787 milioni di euro con una certa variabilità regionale, in cui il Sud presenta un consumo superiore alla media nazionale del 33% e la situazione è piuttosto critica per l’acquisto privato (circa il 24%). I dati non mancano a livello locale e globale, non ne servono altri. È interessante però evidenziare quanto l’Italia sia poco incline a seguire il sistema AWaRE”.
Si tratta di una classificazione dell’OMS degli antibiotici, introdotta nel 2017 e che divide questo tipo di farmaco in tre gruppi:
- Access: antibiotici che hanno uno spettro di attività ristretto e un buon profilo di sicurezza in termini di reazioni avverse, da usare preferibilmente nella maggior parte delle infezioni più frequenti quali ad esempio le infezioni delle vie aeree superiori;
- Watch: antibiotici a spettro d’azione più ampio, raccomandati come opzioni di prima scelta solo per particolari condizioni cliniche;
- Reserve: antibiotici da riservare al trattamento delle infezioni da germi multiresistenti.
L’Italia è poco incline a seguire il sistema AWaRE
“Durante la pandemia c’è stata un’impennata nel consumo di antibiotici, anche in ospedale. In pratica, si prescrivono subito gli antibiotici che dovrebbero essere invece l’ultima risorsa – continua Trotta – “ed è lecito chiedersi se c’è davvero un problema di antibioticoresistenza o si utilizzano questi farmaci in modo inappropriato. Ci sono davvero più infezioni da trattare o usiamo male i farmaci? Nonostante sappiamo tutto o molto, c’è ancora molto da fare. È necessario il controllo delle prescrizioni, la lettura degli indicatori disponibili e degli obiettivi, e il monitoraggio, soprattutto di quelle realtà come le RSA e le carceri in cui i dati nazionali, invece, sono molto scarsi”.
Si chiude così una sessione densa di informazioni e interrogativi. Ma ciò che emerge con forza è la rilettura del ruolo e delle funzioni della figura del farmacista, sia negli ospedali che nel territorio, in prima linea insieme ai MMG nel contrasto alla malattia e alla promozione della salute pubblica. Occorre ripensare compiti e competenze, fare formazione. Dati e informazioni non mancano in una società globalizzata, così come non manca una forte volontà a cambiare il livello di una professione sempre più importante e imprescindibile nella Sanità pubblica.