Le donne hanno conquistato professionalmente la sanità. Ormai due terzi dei camici bianchi negli ospedali e nelle strutture sanitarie è indossato da una donna. Sono soprattutto loro ad aver gestito in prima linea l’emergenza Covid, avendo dimostrato fin dall’inizio una maggior resilienza nei confronti degli effetti più gravi del virus.
In Italia le donne medico sono oltre 400 mila, poco meno del 70% del personale assunto nel Servizio Sanitario Nazionale. Un fenomeno che è stato chiamato “femminizzazione” della sanità. E le cosiddette quote rosa fra i camici salgono se prende in considerazione il personale infermieristico. Non si tratta di un caso italiano. Il dato è in linea con la media europea. Nel vecchio continente le donne medico superano il 60% del totale del personale sanitario un po’ in tutti i Paesi. Questo cambio di paradigma, ormai pienamente affermato, non sembra però andare di pari passo con un adeguamento delle dinamiche lavorative e sociali all’interno del mondo del lavoro sanitario, ancora saldamente plasmato sui medici uomini, che detengono le cariche apicali e determinano dinamiche che tuttavia li riguardano sempre meno, almeno dal punto di vista numerico. Abbiamo commentato le difficoltà del settore e l’adeguamento del sistema-ospedale alla massiccia presenza delle donne in corsia con il dottor Giovanni Leoni, vicepresidente della FNOMCeO.
La difficoltà di fare carriera
Se le donne hanno nettamente superato gli uomini, almeno in termini numerici, ricoprendo sempre più cariche sanitarie, lo stesso non vale per quanto riguarda le cariche dirigenziali e apicali della sanità. Quando si tratta dei vertici, c’è ancora disparità, stavolta a danno delle donne. In controtendenza rispetto al dato generale delle assunzioni dei medici ospedalieri, due primari su tre sono ancora uomini.
Come testimoniato anche dalla presenza di associazione come Woman in Surgery, nata con l’obiettivo di promuovere iniziative volte al raggiungimento della parità di genere fra le chirurghe, le difficoltà per le donne medico di fare carriera e di avere gli stessi riconoscimenti dei colleghi uomini è nero su bianco anche in busta paga.
La carenza di strutture di supporto alla genitorialità, l’esigenza di continui aggiornamenti e il lungo percorso di studi non facilitano il work-life balance
La carenza di strutture di supporto alla genitorialità, l’esigenza di continui aggiornamenti e il lungo percorso di studi non facilitano evidentemente il work-life balance per chi lavora in corsia, rendendo non semplice, specialmente per le donne che decidono di affrontare una maternità, il restare al passo con i colleghi uomini.
Le analisi e il sondaggio di Anaao Assomed
Nella primavera 2022, Anaao Assomed, associazione dei medici dirigenti, ha deciso di testare il livello di soddisfazione dall’attuale organizzazione del SSN delle donne che ne fanno parte. È stato promosso su scala nazionale un questionario anonimo rivolto alle donne del SSN per interrogarle in merito alle criticità rilevate, alle esperienze vissute, alle proposte di miglioramento del lavoro di cura e di cambiamenti necessari a un SSN a prevalente componente femminile. Il questionario, condiviso alle iscritte Anaao Assomed attraverso la piattaforma SurveyMonkey tra il 9 marzo e il 14 aprile 2022, ha raccolto 1.668 risposte tra partecipanti di età compresa tra i 26 e i 70 anni (età media 49,85 ± 10,03), la maggior parte convivente o sposata (69%) e più della metà con figli (57%).
Più della metà delle intervistate segnala insoddisfazione e delusione per il proprio lavoro (51,8%), con aspettative peggiorate nel 65% dei casi
La maggior parte delle partecipanti ha un’anzianità di servizio di oltre 15 anni (54%), appartiene a un’area di specializzazione medica (60%) con un contratto a tempo indeterminato (92%) e lavoro a turni (60%). Più della metà delle intervistate segnala insoddisfazione e delusione per il proprio lavoro (51,8%), con aspettative peggiorate nel 65% dei casi. Il 37%, tuttavia, si vede nel lavoro attuale anche nel prossimo futuro, prevalentemente perché ama la professione (55,7%), una modesta maggioranza rispetto a chi segnala la prossima intenzione di cambiare lavoro. Tra le motivazioni addotte da quest’ultimo gruppo prevale l’insoddisfazione per le condizioni di lavoro (35,7%), intese come carenza di personale, disorganizzazione, carichi di lavoro, scelte aziendali, clima lavorativo, la stanchezza, la demotivazione e il burnout con la percezione di non essere più in grado di gestire il proprio lavoro (24,7%) e anche l’assenza di sviluppo professionale (14,9%).
Il problema trasversale della carenza di personale
Le difficoltà incontrate dalle donne medico non sembrano però essere legate solo al genere di appartenenza. “Le donne medico hanno senz’altro manifestato delle problematiche che riguardano trasversalmente chi fa questa professione – ha commentato il dottor Giovanni Leoni, vicepresidente della FNOMCeO –: tutti, donne e uomini impiegati nella sanità pubblica, ci siamo accorti di come la situazione professionale stia rapidamente peggiorando”.
“Una volta fare questo lavoro richiedeva tanti sacrifici ed energie ma venivano ripagati dalle soddisfazioni sul campo, da adeguate retribuzioni e da orari di lavoro adeguati allo stress che le grandi responsabilità della professione stessa comportano – ha proseguito Leoni –. Oggi i giovani medici preferiscono lavorare nel privato o fuori dall’Italia, dove trovano stipendi migliori a fronte di un impegno professionale meno logorante e con maggiori prospettive di carriera”.
Il peggioramento post-pandemia
La pandemia da Covid-19 non poteva che impattare negativamente su un sistema già carente. La componente femminile del personale sanitario, per quantità e qualità, è stata un’imprescindibile risorsa in questi anni difficili ma da questa esperienza sembra esserne uscita più indebolita e insoddisfatta. Secondo i dati del sondaggio Anaao Assomed il 58% delle partecipanti riterrebbe utile un confronto tra la direzione organizzativa e i professionisti per analizzare le criticità. Il giudizio diffuso è che la catena di comando rispetto al Covid è stata inadeguata e priva di effetti sul proprio lavoro (66%), alla proclamata fine dell’emergenza.
“L’esperienza sul campo ha dimostrato che alle professioniste del lavoro di cura non servono patenti di leadership per assicurare l’assistenza fin nella più periferica postazione – ha commentato in una nota Anaao Assomed -, organizzando e adattando conoscenze e abilità a ciò che bisognava fronteggiare. Ciò, nonostante la non rara inadeguatezza del sistema manageriale”.
La maggioranza delle intervistate ritiene fondamentale migliorare l’organizzazione del lavoro attraverso l’aumento del personale, la riduzione dei carichi, orari più flessibili, una riduzione del carico burocratico
Ne consegue che la maggioranza delle intervistate ritiene fondamentale migliorare l’organizzazione del lavoro attraverso l’aumento del personale, la riduzione dei carichi, orari più flessibili, turnistiche di reperibilità notturne e festive ridotte, possibilità di usufruire di riposi e ferie, una riduzione delle incombenze burocratiche, un aumento della retribuzione e del tempo adeguato alla propria formazione professionale.
Più tempo e più soldi: la ricetta “per resuscitare” la sanità pubblica
Per rendere il lavoro nel Servizio Sanitario Nazionale più appetibile per i giovani professionisti, la maggioranza delle intervistate al sondaggio ritiene necessario un aumento della retribuzione, una riduzione dei carichi di lavoro e un maggior coinvolgimento nei processi decisionali rispetto al proprio lavoro. Anche nell’immaginare una sanità del futuro governata dalle donne emergono temi legati alla riorganizzazione del lavoro, alla maggiore conciliazione del lavoro con la propria vita e la famiglia, alla maggiore equità e possibilità di carriera.
Un aspetto segnalato come prioritario è la possibilità reale di uno sviluppo di carriera e un lavoro più flessibile negli orari e nei carichi
Un aspetto segnalato come prioritario, e assente in altre indagini del genere, è la possibilità reale di uno sviluppo di carriera e un lavoro più flessibile negli orari e nei carichi rispetto alle esigenze. Anche la necessità di umanizzazione sia delle cure sia dell’organizzazione è emersa come prioritaria: viene chiesta un’organizzazione sanitaria diretta da persone per le persone, dove il paziente torni ad essere al centro del processo. “Da segnalare come il 40% delle partecipanti riferisca di non aver mai aderito a uno sciopero – commenta infine una nota di Anaao Assomed -, e di non ritenerlo uno strumento utile, mentre frequentemente segnalano alla propria direzione, da sole o con colleghi, diversi tipi di problematiche. In sostanza, dalla survey è emersa la ricerca delle professioniste di un maggior ruolo, di maggior tempo, di maggiore partecipazione alla vita della organizzazione”.