Il Piano Oncologico Nazionale (PON) 2023-2027 è un documento ambizioso, come dimostra il consenso ricevuto in Conferenza Stato-Regioni. Però è troppo generico nella formulazione degli obiettivi e non prevede i necessari finanziamenti per la loro realizzazione. A fronte del riconoscimento della centralità dell’assistenza ai malati di cancro, le azioni concrete da mettere in campo non sono definite, rischiando così di “navigare a vista”. Gli aspetti più critici riguardano le Reti Oncologiche Regionali, ancora prive di risorse dedicate, non sono indicati gli strumenti per raggiungere la copertura prevista per gli screening per i tumori della mammella, del colon-retto e della cervice uterina, non vi è alcun riferimento alla qualità delle prestazioni chirurgiche in oncologia e l’ammodernamento del parco tecnologico non contempla le attrezzature per radioterapia. Non solo. Non vengono definiti i criteri per programmare la realizzazione di laboratori di biologia molecolare sul territorio nazionale e non sono previsti i necessari interventi urgenti di carattere normativo per la riabilitazione. La mancata definizione di questi aspetti rischia di compromettere la presa in carico dei pazienti e la loro qualità di vita, oltre ad aumentare i costi della malattia. Ogni anno infatti in Italia si registrano 895mila ricoveri per tumore, con una spesa annuale per i soli costi diretti ospedalieri pari a oltre 4 miliardi di euro, a cui si aggiungono 2,5 miliardi di uscite per le prestazioni assistenziali. Per questo FAVO (Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia), insieme a tutte le Società scientifiche autrici del capitolo, chiede di istituire un tavolo di lavoro per la stesura di un regolamento attuativo, strutturato e definito, che nei diversi ambiti renda operativo il PON; di identificare e nominare un gruppo di coordinamento per la valutazione annuale degli indicatori e la loro puntuale pubblicazione e di definire gli strumenti operativi che, sulla base del monitoraggio e degli indicatori annuali, permettano di procedere con le necessarie e tempestive misure correttive. Le richieste sono contenute nel 15° Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici, presentato oggi a Palazzo Madama, nell’ambito della XVIII Giornata nazionale del malato oncologico promossa da FAVO.
“Per assicurare la realizzabilità e l’allineamento del nostro Piano a quello europeo, che si basa su 3 pilastri (Prevenire il prevedibile; Ottimizzare diagnosi e trattamento e Qualità di vita), è assolutamente indispensabile – spiega Francesco De Lorenzo, Presidente FAVO – l’immediata attivazione delle Reti Oncologiche Regionali e della Rete Nazionale dei Tumori Rari, conditio sine qua non per la presa in carico complessiva dei malati di cancro e per garantire loro la migliore qualità di vita possibile. Alla guarigione clinica spesso si accompagnano infatti disabilità, fisiche e psicosociali, recuperabili proprio attraverso programmi di riabilitazione. Ciò è necessario per restituire alla persona guarita una vita piena e soddisfacente, ma anche un dovere e una responsabilità collettiva per garantire un uso appropriato delle risorse”.
“Si pensi ai vantaggi di reintegrare una persona guarita nel mondo del lavoro: il ritorno alla vita attiva si traduce in un risparmio di spesa previdenziale, al contempo contribuendo a dare sostanza alla condizione di guarito – continua Elisabetta Iannelli, Segretario FAVO -. I tumori rappresentano la causa principale del riconoscimento degli assegni di invalidità e delle pensioni di inabilità, con un trend in costante crescita negli ultimi anni. Le insufficienze del sistema sul piano della riabilitazione sono state riconosciute anche dall’Unione Europea, che ha messo in campo azioni correttive di grande rilevanza. Anche l’Italia deve adottare i provvedimenti normativi necessari perché sia riconosciuto il diritto alla riabilitazione oncologica, definendo percorsi specifici in funzione di ciascuna patologia e assicurandone l’accesso attraverso il riconoscimento nei Livelli Essenziali di Assistenza”.
“Il Piano Europeo di lotta contro il cancro, presentato dalla Commissione Europea, riporta per il 2020 nei Paesi dell’Unione Europea 2,7 milioni diagnosi di cancro e 1,3 milioni di morti per questa patologia, stimando, in assenza di interventi strategici, un ulteriore aumento della mortalità di oltre il 24% entro il 2035. Anche in Italia in questa prospettiva risulta indispensabile programmare nell’ambito del nostro SSN una strategia di controllo della malattia cancro, con iniziative e obiettivi definiti e soprattutto attuabili. Questo può essere l’obiettivo della sanità pubblica per un adeguato controllo del cancro in tutte le fasi della malattia. In una strategia e programmazione sanitaria finalizzata a garantire l’effettiva realizzabilità del PON, è indispensabile integrare l’enunciazione tecnico-scientifica con aspetti più direttamente correlabili alla operatività ed alla efficacia degli interventi. Da un punto di vista di impostazione generale occorre sottolineare che alcuni temi più di carattere strategico richiedono un necessario allineamento con il Piano Europeo, come indicazioni di pianificazione e programmazione specifica in termini di rilevazione del fabbisogno, indicazioni specifiche delle risorse da investire o quantomeno degli standard di riferimento. È indispensabile per la sanità pubblica intervenire in aree con ricadute sui sistemi sanitari regionali, come l’implementazione degli screening oncologici con obiettivi regionali e trend temporali di crescita, la riqualificazione delle cure intermedie e dell’assistenza domiciliare, l’assistenza psicologica e la riabilitazione oncologica. Inoltre, è necessario prevedere interventi operativi a livello delle aziende sanitarie erogatrici che intervengano in merito ai tempi previsti, agli indicatori di monitoraggio, all’appropriatezza dei setting in base al percorso di cura del paziente oncologico e onco-ematologico, valorizzando da un lato la medicina di prossimità e dall’altro il ruolo dei centri di eccellenza, e l’accesso alla innovazione scientifica e alla ricerca”, illustra Carmine Pinto, Presidente FICOG (Federation of Italian Cooperative Oncology Groups).
Una riduzione del 6-8% della mortalità per tumore determinerebbe in Italia 10.000-14.000 decessi in meno ogni anno. “Questo può essere l’obiettivo della sanità pubblica per un’adeguata strategia di controllo del cancro, che comprenda tutte le fasi, dalla prevenzione primaria e sensibilizzazione dei cittadini, allo screening, alla diagnostica fino all’equità di accesso alle cure migliori sull’intero territorio – afferma Saverio Cinieri, Presidente AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) -. Nel PON viene dato molto risalto alle Reti Oncologiche Regionali, però non viene fatto cenno al Coordinamento Generale delle Reti Oncologiche, previsto nel Documento adottato dalla Conferenza Stato-Regioni il 17 aprile 2019. Inoltre, perché le Reti Oncologiche Regionali raggiungano una reale efficienza, sono necessarie risorse dedicate che non vengono stabilite dal PON, partendo da una valutazione dei bisogni e con una diretta autonomia di spesa. Elemento centrale delle Reti Oncologiche Regionali sono i Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali, ma anche in questo caso mancano indicazioni sui finanziamenti indispensabili per coprire le figure necessarie, quali clinical study coordinator, psicologi, nutrizionisti, fisiatri, assistenti sociali, professionalità che oggi mancano quasi ovunque”.
“Nel PON non viene menzionata la qualità delle prestazioni chirurgiche in oncologia – evidenzia Alfredo Garofalo, Presidente emerito SICO (Società Italiana di Chirurgia Oncologica) -. Nei tumori solidi spesso la chirurgia rappresenta il primo approccio alla malattia e un intervento inadeguato può influenzare tutte le fasi successive della strategia terapeutica integrata. L’individuazione di centri ad alto volume di attività chirurgica per patologie oncologiche è un passaggio obbligato per assicurare ai pazienti una qualità delle prestazioni che consenta l’approccio alla malattia più moderno ed efficace. Per il riconoscimento delle unità operative ‘ad alta specialità in chirurgia oncologica’, i centri dovrebbero certificare i volumi minimi di attività degli ultimi tre o cinque anni ed essere dotati di caratteristiche organizzative per garantire alti livelli di efficienza e qualità”.
“L’oncologia di precisione, una delle più rilevanti innovazioni che sta modificando la prognosi dei pazienti, richiede una caratterizzazione bio-molecolare dei tumori, per ottimizzare i risultati delle terapie in termini di efficacia e di risparmio di tossicità – sottolinea Nicola Normanno, Past President SIC (Società Italiana di Cancerologia) e Presidente di IQN Path (International Quality Network for Pathology) -. Nel PON mancano riferimenti per sviluppare una governance a livello nazionale e regionale per i laboratori di biologia molecolare e, in particolare, per l’esecuzione dei test di sequenziamento genico di nuova generazione. È indispensabile definire criteri stringenti per la realizzazione di laboratori di biologia molecolare nell’ambito delle Reti Oncologiche Regionali, che considerino volumi di popolazione, logistica, qualità dei test e piattaforme informatiche. Infine, devono essere organizzati percorsi di collegamento tra le Reti Oncologiche e le attività di ricerca clinica, per favorire l’accesso dei pazienti oncologici alle nuove terapie”.
“Il PON non prevede un piano di aggiornamento del parco tecnologico per la radioterapia, che invece necessita di tecnologie e risorse umane in grado di offrire cure adeguate in tutto il Paese, nel rispetto del principio di equità e per contenere le migrazioni sanitarie che incidono pesantemente sui pazienti e sui caregiver – afferma Cinzia Iotti, Presidente AIRO (Associazione Italiana Radioterapia e Oncologia clinica) -. Nel PON non è definito cosa si intenda per innovazione né si fa cenno ad un piano di investimento che tenga conto dei bisogni del territorio e del contesto in cui le attrezzature più innovative dovrebbero essere collocate. Vi è inoltre la necessità di costituire il circuito delle reti radioterapiche regionali, in grado di monitorare i fabbisogni e l’appropriata distribuzione delle risorse tecnologiche e professionali”.
“Le persone che vivono dopo una diagnosi di tumore in Italia stanno rapidamente aumentando: dai 2 milioni e mezzo del 2006, il loro numero ha superato, nel 2020, i 3,6 milioni. Quasi un terzo, circa un milione di cittadini, può considerarsi guarito – afferma Giordano Beretta, Presidente Fondazione AIOM -. Le linee strategiche, con riferimento alla realizzazione di interventi specifici per la tutela ed il reinserimento lavorativo dei pazienti, dei guariti e dei caregiver risultano ancora generiche. Nel Piano Oncologico non si interviene sulla necessità di promuovere e sostenere l’approvazione da parte del Parlamento di normative a tutela del lavoro per malati e caregiver e sulla richiesta di una legge sul diritto all’oblio oncologico, per la quale Fondazione AIOM ha promosso una petizione nazionale, che ha già raccolto circa 106mila firme”.
“Il nuovo scenario impone lo sviluppo e un utilizzo sempre maggiore di appropriati strumenti di programmazione e valutazione economica. Riuscire a disegnare percorsi assistenziali e di accesso alle cure tempestive (accompagnati da una puntuale stratificazione dei pazienti) permette una riduzione tanto dei costi diretti quanto dei costi relativi alla spesa previdenziale, senza dimenticare l’obiettivo fondamentale che è rappresentato dal miglioramento dello stato di salute dei pazienti. Un nostro studio recente (EEHTA CEIS Università Tor Vergata) è stato in grado di stimare una spesa annuale per i soli costi diretti ospedalieri pari a oltre 4 miliardi di euro, cui si aggiungono 2,5 miliardi di costi indiretti a carico del sistema previdenziale (spesa assistenziale). L’analisi della mobilità sottolinea ulteriormente la necessità di uno sforzo per appianare le differenze regionali in termini di offerta ospedaliera, prevenzione e medicina territoriale. È necessario che la spesa per programmi di prevenzione e screening torni ai livelli pre pandemia e li superi. L’incremento, infatti, dei costi per l’effettuazione di queste procedure viene comunque largamente compensato da una più efficiente allocazione delle risorse e, soprattutto, da una importante ed evidente riduzione dei costi, sia diretti che indiretti, nel medio-lungo periodo grazie ad una presa in carico precoce seguita da trattamenti efficaci”, spiega Francesco Saverio Mennini, Direttore EEHTA-CEIS, Università degli Studi di Roma ‘Tor Vergata’ e presidente SiHTA.
“FAVO è nata nel 2003 – conclude Francesco De Lorenzo -. In venti anni di attività, in sinergia con le Istituzioni e le società scientifiche, FAVO ha raggiunto traguardi importanti. Ricordiamo, tra gli altri, il diritto dei malati oncologici di poter continuare a lavorare, nel pubblico e nel privato, attraverso la trasformazione, reversibile, del tempo pieno in part-time, la riduzione da un anno a 30 giorni del tempo necessario per ottenere il riconoscimento della disabilità oncologica, il formale riconoscimento del ruolo delle associazioni dei pazienti nelle Reti Oncologiche regionali a tutti i livelli e il necessario coinvolgimento degli advocacy patient nella attività di ricerca. Questi risultati rappresentano una vera e propria rivoluzione del modo di concepire la malattia oncologica. FAVO ha cambiato la vita dei malati e dei guariti, agendo sulle Istituzioni, sulle organizzazioni professionali e sulle società scientifiche ma, soprattutto, sulla cultura, per cambiarla, dando un contributo determinante al superamento dello stigma ‘cancro uguale morte’. La sfida per il futuro sarà consolidare questi risultati”.