La scatola dei ricordi e la terapia della reminiscenza

Da un progetto europeo nasce BooM, un’App che stimola le persone con demenza a ricordare. È una vera e propria scatola dei ricordi personalizzata, disponibile per tutti e gratuita

Il progetto “Box of our Memories” (BooM), finanziato dal programma europeo Erasmus+, letteralmente “la scatola dei nostri ricordi”, lancia una nuova App gratuita che consente di realizzare sessioni di terapia della reminiscenza con i propri cari affetti da demenza. Si tratta di un approccio che stimola i ricordi e la loro condivisione, grazie alla visione di materiali emotivamente significativi per la persona.

L’App è stata testata non solo dai familiari e dai loro cari, ma anche da professionisti sociosanitari e museali coinvolti nella formazione organizzata dalla Società cooperativa sociale Anziani e non solo, in collaborazione con ASP Città di Bologna.

L’App è un vero e proprio archivio digitale di foto, video, luoghi e oggetti 3D appartenenti alla vita presente o passata della persona con demenza e per lei emotivamente significativi

Con la supervisione di Anziani e non solo, partner del progetto BooM, da febbraio 2023 psicologi, animatori sociali, responsabili delle attività assistenziali, operatori socio-sanitari e operatori museali di ASP Città di Bologna sono stati impegnati nel corso di formazione “Le scatole dei nostri ricordi”. La formazione ha voluto fornire le competenze e le abilità necessarie a implementare sessioni di terapia della reminiscenza tramite l’uso dell’App Boom, una scatola dei ricordi personalizzata tutta digitale. L’App, infatti, è un vero e proprio archivio digitale di foto, video, luoghi e oggetti 3D appartenenti alla vita presente o passata della persona con demenza e per lei emotivamente significativi, in grado di stimolare i ricordi e le emozioni piacevoli.

La demenza cambia la vita e la perdita di memoria ostacola la comunicazione e il linguaggio e determina cambiamenti comportamentali che possono avere un impatto negativo sulla relazione tra l’anziano e i suoi familiari. È una patologia che altera i rapporti con le persone, con i luoghi e perfino con gli oggetti, favorendo spesso una condizione di isolamento sociale. Le persone con demenza, infatti, il più delle volte smettono di partecipare a tutte quelle attività sociali e ricreative che prima apprezzavano.

Il patrimonio culturale a misura di demenza non è solo una questione di “gentilezza”, ma è una buona pratica dal punto di vista etico ed economico. Si tratta di garantire l’accessibilità e l’inclusività, ma anche considerare un potenziale bacino di utenza.

Ci parla di questo progetto Licia Boccaletti, Presidente della cooperativa sociale Anziani e non solo.

Come nasce la vostra collaborazione con questo progetto europeo?

Licia Boccaletti

In realtà è un progetto che nasce un po’ da una nostra iniziativa. Avevamo avuto l’occasione di vedere alcune esperienze fatte all’estero, soprattutto Regno Unito e Irlanda, di collaborazione tra musei o archivi e organizzazioni che lavorano sulla demenza, per creare delle opportunità di lavorare sulla reminiscenza come obiettivo principale. Non solo, ma anche per aprire il mondo dell’assistenza alla demenza ad altre realtà, favorendo una maggiore inclusione sociale di queste persone e dei loro caregiver.

Abbiamo quindi tenuto nel cassetto l’idea di proporre qualcosa di simile a quanto visto all’estero e con il progetto BooM è arrivata questa opportunità. Nel frattempo, abbiamo scoperto che anche in Italia, in alcune Regioni, esistono delle esperienze analoghe a quelle viste all’estero ma poco diffuse sul resto del territorio.

Qual è il riscontro concreto e utile di questo progetto per gli anziani con demenza o Alzheimer?

Il progetto si basa sulla tecnica della reminiscenza che accompagna la persona con demenza a una conversazione che possa stimolare i ricordi del passato

Il progetto si basa sulla tecnica della reminiscenza che accompagna la persona con demenza a una conversazione che possa stimolare i ricordi del passato. Non solo verbale ma anche utilizzando dei supporti che possano favorire i ricordi e quindi la memoria. Normalmente si fa usando oggetti personali, quindi fotografie di famiglia o oggetti significativi per la persona. Con il tempo però si è capito che alcuni tipi di musei e di archivi possono contribuire con efficacia perché custodiscono nel loro patrimonio opere molto utili, come fotografie, vecchi giornali, documenti, video e oggetti del passato, come ad esempio quelli della vita contadina. Insomma, cose che non si riescono più a ritrovare nelle case ma che invece nelle persone delle generazioni passate possono stimolare dei ricordi e quindi aiutare in questa attività. 

Tra le esperienze che mi hanno colpito molto all’estero ci sono gli archivi delle grandi industrie, che conservano ancora le vecchie confezioni, tipo degli shampoo, della pasta, ecc., cose che non si trovano più ma che per le persone più anziane magari fanno affiorare un momento del passato.

Quindi, che cosa abbiamo fatto? Un percorso formativo in cui abbiamo riunito insieme operatori museali e archivisti e operatori che lavorano nell’ambito della demenza, perché iniziassero a capirsi, perché sono due mondi molto distanti, dove ognuno conosce il proprio ma non necessariamente comprende come le due cose possano entrare in connessione. È un momento che è servito per aprire un dialogo e una riflessione comune, affinché gli operatori culturali iniziassero a pensare cosa del loro patrimonio potesse essere utile.

Avevamo poi come partner l’ASP di Bologna, che è un’azienda pubblica di servizi alla persona, che gestisce strutture e servizi sul territorio di Bologna, ma che ha anche un proprio museo. Le ASP in passato erano Opere Pie, quindi nel tempo hanno ricevuto donazioni di opere che sono poi diventate museo. Loro possedevano quindi il contenitore che ci poteva aiutare. Insieme abbiamo cercato di capire cosa e come potesse essere impiegato, perché non basta individuare l’oggetto ma capire anche il tipo di attività da proporre alla persona con demenza, in quale contesto e con quale approccio. Pertanto, da una parte abbiamo approfondito come permettere agli anziani di fruire del museo in una modalità adatta a loro: in piccoli gruppi, con visite riservate, senza confusione, per essere guidati nell’esplorazione del museo e nella conversazione sulle opere esposte. Poi abbiamo voluto fare un percorso parallelo per gli anziani che, invece, vivono in famiglia e quindi una guida per i caregiver familiari su come possano ricreare un piccolo museo con le risorse che hanno in casa o consultando archivi come quelli della Rai o dell’Istituto Luce che sono disponibili su internet con dei video o anche con le canzoni di una volta.

Nasce da qui l’App BooM?

Abbiamo voluto aiutare sia gli anziani che vivono in famiglia, sia quelli nelle strutture sanitarie, realizzando un’App disponibile gratuitamente in cui si può creare la propria scatola della memoria personale

Sì, abbiamo voluto aiutare sia gli anziani che vivono in famiglia, sia quelli nelle strutture sanitarie, realizzando un’App disponibile gratuitamente in cui ciascuno di noi può creare la propria scatola della memoria personale. Ci si registra e si crea un profilo, poi si possono caricare risorse digitali di vario tipo: foto, video, immagini, musica, testi, tutto quello che si vuole. Il materiale è sistematizzato in questa App e quindi reso facilmente usufruibile per svolgere delle attività di reminiscenza con gli anziani. Magari non su un telefonino, che è un po’ piccolo, ma su un tablet, facile anche da maneggiare. L’idea è che un caregiver familiare o l’operatore della struttura possa creare dei percorsi personalizzati per l’anziano sulla base del suo passato e poi usare questo materiale per fare delle sessioni di reminiscenza.

L’App è stata realizzata dal progetto BooM, tecnicamente dal partner inglese, mentre il resto dai partner esperti nel lavoro con le persone con demenza ha collaborato alla progettazione. Ognuno ha messo a disposizione le proprie competenze.

Ci sono dei dati di gradimento e sull’utilità dell’App?

Gli esiti della sperimentazione che abbiamo fatto sugli operatori ci dicono che è stata molto apprezzata. La sperimentazione è stata portata avanti con ASP Bologna, rivolgendoci a due gruppi: da una parte è stata testata dagli educatori delle diverse strutture per gli anziani istituzionalizzati, dall’altra sono stati creati dei gruppi con i familiari e/o caregiver che erano quelli che frequentavano i caffè Alzheimer, cui è stato spiegato come usare l’App per poi provare a usarla a domicilio. L’esperienza di questi due gruppi è stata positiva, sia per la semplicità d’uso, sia per aver stimolato l’idea di creare queste scatole virtuali personalizzate. Uno degli elementi che è emerso, infatti, uno dei nostri punti di partenza, è che con il progredire della malattia diventa sempre più difficile avere uno scambio tra il familiare e l’anziano che sia significativo, perché con la demenza si perdono tante abilità. Questo è stato lo spunto per creare dei momenti in cui l’anziano possa riuscire a conversare, a ricollegarsi con il suo passato e per il familiare o il caregiver sono momenti di connessione con il proprio caro molto apprezzati.

L’App si è rivelata, per gli operatori, utile innanzitutto per conoscere meglio l’anziano che vive nella struttura, per raccogliere biografie e per informarsi in modo più approfondito

Dai dati è merso che l’App si è rivelata, per gli operatori, utile innanzitutto per conoscere meglio l’anziano che vive nella struttura, per raccogliere biografie e per informarsi in modo più approfondito. È stato usato come strumento di stimolazione cognitiva e per mantenere aperta la comunicazione anche tra il familiare e l’anziano. In generale, anche la risposta dei familiari è stata molto positiva, è stata vista come un’attenzione in più prestata alla persona amata. Anche la collaborazione per il recupero di foto o informazioni è stata efficace e tempestiva. Lato anziani, si è visto un buon coinvolgimento e interesse alla visione di foto, filmati e altri contenuti biografici, utili per il recupero della memoria e l’esteriorizzazione delle emozioni.

Non si riesce a costruire una rete nazionale?

Purtroppo non ancora. In Toscana esiste la Rete di Musei per l’Alzheimer, cui aderiscono tanti musei, dai più piccoli ai più importanti. C’è quindi consapevolezza del ruolo che gli istituti culturali possono svolgere. Non solo, periodicamente si organizzano anche delle attività all’interno di pinacoteche, gallerie, ecc., rivolte alle persone con demenza e ai loro caregiver. La Toscana è la Regione più avanti in questo, perché anche se solo in ambito regionale l’attività si è sistematizzata. Poi, attraverso la raccolta di buone pratiche che abbiamo realizzato nel progetto, abbiamo individuato delle esperienze legate a specifici musei, ad esempio uno di Trieste e uno a Bolzano, che propongono delle attività rivolte a persone con demenza, ma sono casi isolati. Per il resto non abbiamo trovato molto a livello nazionale, quindi l’obiettivo di un’offerta nazionale è ancora lontano.

Forse in questo senso potrebbe essere utile l’App, che è stata pensata proprio come uno strumento disponibile a chiunque ed è corredata dalle istruzioni per usarla. Ciò che è importante è far sapere che esiste, raggiungere tutte le persone che ne potrebbero beneficiare.

Per approfondire

https://trendsanita.it/evento/la-ricerca-e-le-nuove-sfide-per-la-cura-dellalzheimer/

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Ivana Barberini
Giornalista specializzata in ambito medico-sanitario, alimentazione e salute