La libertà prescrittiva tra quote di fornitura ed esigenze di razionalizzazione della spesa

Una recente sentenza del TAR Lombardia sulle gare per dispositivi medici mette a nudo le difficoltà giuridiche, oltreché operative, di una suddivisione in quote già nella lex specialis e riporta l’attenzione sull’importanza della scelta prescrittiva.

 

L’accordo quadro per la fornitura di farmaci biologici e biotecnologici nasce principalmente dalla volontà del legislatore di mettere a disposizione più terapie per soddisfare al meglio le esigenze dei pazienti e al contempo di non rinunciare al perseguimento di obiettivi di effettivo risparmio e razionalizzazione della spesa farmaceutica.

L’iter legislativo ha avuto percorsi piuttosto travagliati, a partire dalle proposte del disegno di legge n. 1875 che escludeva in modo netto la sostituibilità dei biosimilari con quella dei farmaci biologici e biotecnologici appartenenti alla stessa classe. Il disegno di legge, anche a seguito della ferma opposizione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), con atto di segnalazione AS819 del 22 marzo 2011, non venne convertito in legge.

Analogo percorso si è verificato su quello che diventerà l’articolo 11 quater della legge finanziaria 2017 con un nuovo intervento dell’AGCM che, con l’atto di segnalazione AS1312, ha inciso tra l’altro proprio sulla necessità di motivazione da parte del medico prescrittore rispetto alle scelte di consumo. Quindi ne è scaturito un compromesso tra difesa dell’originatore e spinta verso i biosimilari. Con tutte le criticità che ne sono conseguite, comunque, la norma ha cercato di realizzare un equilibrio tra razionalizzazione della spesa e messa a disposizione di più terapie.

Certamente una delle limitazioni della norma è stata quella di aver stabilito che l’obbligo di utilizzo dell’accordo quadro da parte delle Stazioni appaltanti rileva soltanto in presenza di almeno tre biosimilari. Questo ha generato nelle Stazioni appaltanti una diversità applicativa: infatti, accanto a Regioni che utilizzano l’accordo quadro solo quando esso è obbligatorio, abbiamo Regioni che invece hanno applicato l’accordo quadro anche in presenza di meno di tre prodotti.

Introdotte da alcune SSAA, le quote hanno mostrato una forte criticità di applicazione

Altra limitazione, conseguente alla indeterminatezza della norma circa il modo con cui utilizzare la graduatoria che emerge dalla procedura per accordo quadro, è stata quella introdotta nei capitolati di gara da parte di diverse Stazioni appaltanti e ossia di stabilire che, in assenza di motivazione nell’acquisto di un determinato farmaco da parte del medico prescrittore, l’acquisto doveva essere effettuato nei confronti soltanto del primo farmaco classificatosi perché a minor prezzo.

Questa interpretazione ha generato alcune esperienze significative sul mercato e ha fatto emergere alcune evidenze che a volte hanno distolto, nella pratica attuativa, i principi ispiratori e le intenzioni del legislatore. Infatti in tale ottica, l’accordo quadro multifornitore sempre più si presenta come una gara secca, con un solo vincitore, vanificando uno dei due obiettivi della norma, e precisamente quello di assicurare l’ampia disponibilità delle terapie.

Per ricondurre l’utilizzo dell’accordo quadro nelle intenzioni poste dal legislatore, alcune Stazioni appaltanti hanno pensato di introdurre il concetto delle quote negli affidamenti delle forniture. Molto probabilmente l’introduzione delle quote ha incontrato l’interesse delle imprese farmaceutiche perché, comunque, permette alle stesse di rimanere presenti sul territorio regionale e di fare affidamento sull’effettiva vendita, seppur con quantitativi ridotti, piuttosto che rimanere fuori per l’intero periodo di fornitura. Ciò rappresenta un valore aggiunto, nella misura in cui si consente la programmazione del processo produttivo in relazione proprio ai quantitativi attesi di vendita in un dato periodo, e ciò è utile anche al lato della domanda, ossia della Pubblica Amministrazione, perché riduce sensibilmente il rischio di (temporanea) indisponibilità di un prodotto e quello di fuoriuscita (definitiva) di alcune imprese dal mercato, con la conseguente tendenza del prezzo a risalire, pur se lentamente.

Ma presto sono emerse le criticità di questa scelta, che si sono riscontrate maggiormente nella fase esecutiva, ma anche in quella gestionale per il rispetto delle percentuali prefissate.

A prescindere dalle criticità applicative, occorre constatare che l’aggiudicazione per quote si presta ad una obiezione di fondo. Infatti le quote di contratto da assegnare agli aggiudicatari sono attribuite dal bando preliminarmente alla formazione della graduatoria di gara e quindi indipendentemente dalle caratteristiche dei prodotti aggiudicati. Non si rinviene pertanto una relazione biunivoca tra specifiche esigenze cliniche e quantitativi di contratto assegnati ai vincitori. Si sostanzia quindi un “principio di indifferenza” in base al quale tutti i prodotti aggiudicati possono soddisfare tutte le esigenze che si manifesteranno. Il che fa mancare il presupposto logico per un’aggiudicazione plurima.

Tra l’altro, l’aggiudicazione per quote pone rilevanti problemi di ripartizione delle quote medesime, nei casi di una pluralità di amministrazioni o unità operative beneficiarie della fornitura, come nel caso degli acquisti effettuati dai soggetti aggregatori. Ed ancora la predeterminazione delle quote non consente di risolvere il problema di che cosa possa accadere quando uno dei due prodotti ha esaurito la quota ad esso assegnata, eppure il medico (e il paziente) abbiano necessità ugualmente di quel prodotto, che però andrebbe acquistato “extra-quota”. Oppure, infine, il medico prescrittore dovrebbe di volta in volta, prima di prescrivere il farmaco, accertarsi che altre prescrizioni (sue o di suoi colleghi) non abbiano già eccessivamente eroso la quota ad esso riservata, ed eventualmente modificare la propria decisione prescrittiva di conseguenza.

Pe tali motivazioni, molte Centrali di acquisto si stanno orientando verso l’abolizione delle quote nell’accordo quadro.

Secondo il TAR Lombardia, in riferimento alle gare per device, le quote limitano la libertà di scelta terapeutica

Sulla correttezza delle quote e sul loro rispetto ci si è chiesti se ciò fosse pienamente legittimo, ciò anche nella considerazione che oggi l’accesso agli atti da parte dei partecipanti alla fornitura è stato riconosciuto da parte del Consiglio di Stato con ordinanza n. 10 del 2 aprile 2020 anche nella fase esecutiva del contratto e quindi è prevedibile che si instaureranno contenziosi anche in tale fase. Per cui la Stazione appaltante, a fronte di una specifica richiesta degli aggiudicatari, dovrà comunicare a consuntivo se sono state rispettate le previsioni di gara sui quantitativi affidati alle diverse imprese partecipanti.

In assenza di indicazioni da parte del legislatore è la giurisprudenza che deve sopperire alle carenze normative, fornendo indicazioni in merito. E così è stato di recente, tramite la sentenza del TAR Lombardia n. 833 del 18 maggio 2020, seppur con riferimento a casi di gare per la fornitura di dispositivi medici.

La tesi centrale posta dal ricorrente al TAR milanese è che l’amministrazione non possa predeterminare rigide percentuali di acquisto per il primo e per il secondo aggiudicatario. Infatti, la lex specialis prevedeva per ogni lotto che, nel caso di due soli aggiudicatari, fossero definite quote fisse percentuali di fornitura, nel senso che al primo classificato era attribuito il 70% della fornitura relativa al lotto stesso, mentre al secondo classificato era riconosciuta la restante quota del 30%. Secondo il ricorrente un simile sistema viola i fondamentali principi di appropriatezza terapeutica e di libertà prescrittiva del medico poiché spetta esclusivamente al medico individuare il dispositivo più adatto al singolo paziente e alle sue esigenze terapeutiche. L’assunto del ricorrente, pertanto, è che, nell’ambito degli operatori risultati idonei, non è possibile ripartire le forniture fra gli stessi attraverso quote fisse e predeterminate, dovendosi invece fare riferimento soltanto alle richieste dei singoli dispositivi provenienti dai medici. In altri termini, l’esatta ripartizione del totale del fabbisogno messo a gara può avvenire solo ex post, ad opera delle indicazioni dei medici prescrittori, i quali avranno sempre e comunque a disposizione entrambi i prodotti aggiudicatari al momento della prescrizione, potendo liberamente scegliere tra essi.

I Giudici hanno accolto le censure del ricorrente evidenziando che “la procedura di gara finalizzata alla stipulazione di un accordo quadro dovrebbe essere tesa a pervenire ad una graduatoria di soggetti idonei alla fornitura dei prodotti – così da valorizzare i principi di concorrenza e di massima partecipazione – sicché ogni medico curante possa, nel rispetto della propria libertà di scelta terapeutica, individuare i prodotti maggiormente adatti offerti dai vari operatori”. Secondo il TAR, “un simile risultato non può però essere raggiunto laddove – come nel caso di specie – siano prefissate quote massime di fornitura, che finiscono di fatto per limitare e condizionare tale libertà di scelta”.

La procedura d’acquisto è servente rispetto al medico. Ma la sua libertà prescrittiva deve rispettare regole deontologiche e giuridiche

La sentenza risulta chiara e fondamentale perché viene affermato un principio di carattere generale sull’accordo quadro la cui procedura di gara è finalizzata a pervenire ad una graduatoria di soggetti idonei alla fornitura dei prodotti, lasciando al medico la scelta sul prodotto più adatto al singolo paziente.

La soluzione, dal punto di vista teorico, pare ineccepibile: la predeterminazione rigida di quote percentuali è l’antitesi della personalizzazione della terapia; finisce per applicare alla prescrizione un metodo puramente statistico, per il quale, su 100 pazienti, una quota di essi riceverà un prodotto e la restante l’altro prodotto, restando però del tutto indifferente se al paziente sia più indicato quello che gli viene somministrato o l’altro. La ripartizione in quote appare anche un meccanismo non del tutto logico: o i farmaci sono del tutto uguali (come accade per i farmaci di origine chimica) e allora si usa solo quello che costa meno; o i farmaci mantengono delle diversità (pur se minime e non sufficienti a pregiudicarne l’equivalenza, come nel caso dei biosimilari) ma allora è il medico che deve apprezzare tali differenze in relazione al singolo paziente in trattamento.

In definitiva, questa giurisprudenza ha il merito di aver messo a nudo le difficoltà giuridiche, oltreché operative, di una suddivisione in quote già nella lex specialis e di aver nuovamente spostato l’attenzione sull’importanza della scelta prescrittiva.

Certamente, è l’atto prescrittivo ad avere il ruolo centrale dell’intero sistema: la procedura d’acquisto è servente rispetto al medico, non il contrario. Tuttavia, va ricordato che ciò non significa in alcun modo affermare che la libertà prescrittiva del medico è totale, o senza regole. Al contrario, il medico deve rispettare alcune regole, deontologiche ma anche giuridiche in senso stretto, e in particolare ha il dovere di prescrivere il farmaco che, a parità di efficacia e sicurezza (e ciò accade sempre, in linea generale e salvo personalizzazioni sul singolo paziente, nel caso dei biosimilari), sia quello meno costoso per il servizio sanitario.

Affermare che è solo il medico a determinare le “quote” ex post non può condurre al paradosso per il quale il farmaco o il dispositivo medico più costoso sia anche quello maggiormente prescritto.

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Claudio Amoroso
Direttivo F.A.R.E. (Federazione delle Associazioni Regionali degli Economi e Provveditori della Sanità).
Roberto Bonatti
Avvocato specializzato in contratti pubblici e diritto della concorrenza, Studio Legale Russo Valentini, Bologna. Docente di diritto processuale civile, Università di Bologna