Finora le difficoltà, pratiche e giuridiche, delle gare per l’acquisto di farmaci biologici, per i quali esistono in commercio almeno tre biosimilari, si erano focalizzate soprattutto sulla fase preparatoria della gara stessa: quando può dirsi che i farmaci abbiano lo stesso principio attivo? Quale base d’asta rappresenta il valore corretto? La previsione di quote è possibile e utile o no?
Non tutte queste domande hanno già ricevuto (definitiva) risposta, come dimostrano le recenti vicende giudiziarie sui farmaci relativi al fattore VIII ricombinante per la cura di emofilia A e al fattore IX per la cura dell’emofilia B, e sul valore da attribuire alla classificazione ATC di V livello.
Eppure, è già tempo di allargare il focus dei problemi giuridici anche sulla fase successiva alla gara vera e propria, ed in particolare alle modalità e alle regole per utilizzare la graduatoria che si è creata per effetto della gara.
L’art. 15, comma 11 quater, d.l. n. 95/12 e s.m.i. è norma che aiuta solamente in minima parte.
Essa pone due importanti regole ma nulla dice su quella più importante.
Dice, anzitutto, che l’esito della procedura è un accordo quadro con più operatori, e precisamente con i primi tre, che sono i vincitori. Ciò significa, anzitutto, che la stazione appaltante concluderà un accordo con tutti e tre i vincitori ma che questo accordo non stabilisce alcun diritto del fornitore a vendere i farmaci oggetto della gara. Ciò dipende dal fatto che ad essere concluso non è un contratto di appalto ma solamente un accordo quadro, ossia – come è conosciuto nel diritto privato – un contratto normativo: tale è l’accordo con il quale due parti si limitano a fissare le clausole applicabili ai loro successivi contratti, i quali tuttavia potrebbero anche non essere conclusi.
Come deve essere suddiviso tra i 3 vincitori il fabbisogno aggiudicato in accordo quadro?
Questa definizione è perfettamente aderente alla definizione generale che, dell’accordo quadro, fornisce la stessa direttiva europea attuata con il codice degli appalti: per l’art. 33 della direttiva 2014/24/UE, l’accordo quadro è l’accordo concluso tra una o più amministrazioni e uno o più operatori economici allo scopo di definire le clausole relative agli appalti da aggiudicare durante un dato periodo, in particolare per quanto riguarda i prezzi e, ma solo eventualmente, le quantità.
Dice, anche, l’art. 15, comma 11 quater, che il paziente deve essere trattato con uno dei primi tre farmaci in graduatoria, fatta salva la possibilità per il medico di prescrivere motivatamente un altro farmaco incluso nella procedura di gara per accordo quadro, per ragioni di continuità terapeutica. La predeterminazione, per legge, di un numero di aggiudicatari pari a tre consente di mettere a disposizione dell’amministrazione un numero sufficiente di prodotti, tale da soddisfare quasi completamente la domanda.
Ciò che non dice, però, è proprio come questo fabbisogno complessivo deve essere suddiviso tra i tre vincitori durante la validità degli accordi quadro.
Il problema che si è posto, quindi, è capire in che modo l’amministrazione possa utilizzare la graduatoria tra i primi tre per inviare all’uno o all’altro l’ordine di acquisto.
In altro intervento su questa testata avevamo già mostrato le difficoltà, condivise in effetti dalla giurisprudenza, di meccanismi di divisione di quote di fornitura ex ante in sede di gara. L’acquisto di farmaci è operazione complessa, perché la decisione di cosa acquistare vede l’intervento, del tutto peculiare, di un terzo protagonista rispetto alle due parti contraenti dell’accordo quadro: il medico prescrittore. Non è dunque tecnicamente possibile prestabilire quanto i medici prescriveranno il farmaco primo in graduatoria, e quanto il secondo o il terzo. Questo dato può essere conosciuto solo dopo la formazione della graduatoria ed in corso di contratto.
Nell’acquisto dei farmaci interviene un terzo attore rispetto ai contraenti dell’accordo quadro: il medico prescrittore
Tuttavia, vi sono due modelli antitetici di concepire questo ruolo del medico.
Il primo si fonda sul concetto che il medico deve preferire, tra i vari farmaci disponibili aventi lo stesso principio attivo (cioè, nel nostro caso, i tre vincitori della gara per accordo quadro), il farmaco che ha minor costo.
Questa visione enfatizza la finalità di razionalizzazione della spesa, dichiarata per ben due volte dall’art. 15, comma 11 quater, e si fonda sulla convinzione che rappresenta un obbligo deontologico (art. 13 cod. deontologia medica) e un dovere giuridico (Cons. Stato, Sez. III, n. 3330/2019; n. 2821/2018; n. 4546/2017) quello di utilizzare in modo ottimale le risorse, cioè prescrivendo, tra quelli ritenuti aventi pari efficacia (ma i biosimilari, per definizione, hanno pari efficacia), il farmaco a minor costo per il SSN.
Secondo questa visione, la prescrizione del farmaco a minor costo può risentire di deroghe ed eccezioni, nel rispetto della libertà prescrittiva del medico: quest’ultima, però non può essere impiegata per vanificare il principio generale, e cioè la preferenza verso il farmaco disponibile a minor costo. Così, solo in presenza di giustificate ragioni cliniche soggettive, cioè riferite al singolo paziente, si potrà derogare alla regola e prescrivere un farmaco più oneroso per il SSN.
Sempre a voler seguire questa visione, nelle gare per accordo quadro vi sono sì tre vincitori ma in linea di principio il primo dovrebbe essere prescritto in via preferenziale, a meno che il medico non motivi la necessità di utilizzare il secondo o il terzo per un dato paziente.
L’opposta visione afferma invece che i primi tre farmaci sono tutti vincitori della gara per accordo quadro e che dunque non vi è alcuna preferenza per il farmaco primo in graduatoria.
Questa tesi fa prevalere l’altra finalità dell’art. 15, comma 11 quater, e cioè assicurare al medico un’ampia disponibilità delle terapie e, di conseguenza, non solo (o comunque non di preferenza) quella con il farmaco a minor prezzo.
La prescrizione del farmaco a minor costo è in contrasto con la libertà prescrittiva del medico?
Essa mette anche in luce due inconvenienti logici dell’altra tesi.
Da un lato, se la regola fosse quella della preferenza per il primo e se la prescrizione del secondo e del terzo farmaco fossero possibili soltanto motivatamente, allora non avrebbe più senso obbligare le centrali d’acquisto ad esperire una procedura di accordo quadro con più operatori: infatti, questa si tradurrebbe di fatto in una gara tradizionale ad aggiudicatario unico. Dall’altro, il dovere del medico di prescrivere il farmaco a minor costo è stato affermato nel rapporto tra biosimilare e originatore, dove cioè la differenza di prezzo è – almeno in linea di principio e molto spesso – sensibile ed apprezzabile. Al contrario, si fa notare, i prezzi dei tre vincitori sono normalmente molto vicini tra loro: in questa situazione, quindi, il risparmio potenziale dalla prescrizione del primo anziché del secondo o del terzo sarebbe del tutto marginale rispetto alla razionalizzazione della spesa e perciò apparirebbe molto più funzionale al sistema riattribuire al medico la piena e libera scelta tra i tre vincitori.
La giurisprudenza dei T.A.R. pare aver preso una direzione molto netta a favore del secondo dei due modelli appena descritti.
Nel volgere di pochi mesi tra il dicembre 2019 e il marzo 2020, ben tre tribunali regionali hanno senza esitazione affermato che il medico è libero di prescrivere indifferentemente uno dei primi tre farmaci, senza dover necessariamente preferire il primo o motivare perché ritiene di prescrivere il secondo o il terzo: si tratta, nel dettaglio, del T.A.R. per la Puglia (Bari, sentenze n. 1674/19 e n. 2/20), del T.A.R. per la Sardegna (sentenza n. 148/20) e del T.A.R. per le Marche (sentenza n. 212/20).
È però stupefacente, e dimostra in certa misura la debolezza della motivazione di esse, che nessuna di queste pronunce esamini le due alternative in termini di pro e contro; ancor più sorprendente è che la soluzione prescelta sia motivata su argomenti del tutto estranei al mercato dei biosimilari o, ancor peggio, con riferimento a fantasiose conseguenze negative sulla qualità e sulla sicurezza del processo produttivo dei farmaci biosimilari, perché hanno prezzi molto più bassi dell’originatore. Il ragionamento seguito appare invece in alcuni tratti retrogrado, limitandosi a valorizzare la libertà prescrittiva del medico e la considerazione che essa non potrebbe essere compressa da esigenze finanziarie delle Regioni.
Come contemperare la libertà prescrittiva del medico e la sostenibilità economica del sistema sanitario?
Così facendo, ci si dimentica però che: a) la libertà prescrittiva non è arbitrio ma va esercitata nel rispetto di un insieme di regole, deontologiche e giuridiche, secondo le quali il medico, specie se pubblico, è chiamato a scegliere la terapia non solo “in scienza e coscienza” ma anche utilizzando in modo appropriato le risorse economiche del servizio sanitario, evitando costi aggiuntivi se non giustificati dalle esigenze cliniche del paziente; b) che la giurisprudenza costituzionale ha da tempo invece valorizzato la sostenibilità economica del sistema sanitario, affermando – e non in modo provocatorio! – che il diritto alla salute garantito dall’art. 32 Cost. è un diritto condizionato, nel senso che può essere assicurato nei limiti delle risorse del SSN e a patto che il suo riconoscimento sia sostenibile economicamente (Corte Cost. n. 416/1995, n. 356/1992, n. 151/2014; Consiglio di Stato, Ad. Plen. n. 4/2012).
A questo punto, pare di poter concludere che, giusta o sbagliata che sia la soluzione data dai T.A.R., il ragionamento meriti di essere riconsiderato interamente.
Le sentenze del collegio pugliese sono sotto il giudizio del Consiglio di Stato, che deciderà a breve in sede di appello.
Avremo allora certamente quella riflessione approfondita che un tema così delicato merita.
A mio parere, un punto in particolare deve essere affrontato e risolto: se effettivamente il medico fosse totalmente libero di prescrivere uno dei tre vincitori dell’accordo quadro, l’indicazione del prezzo sarebbe utile solo a redigere la graduatoria finale dalla quale attingere. Ma potrebbe certamente accadere che il farmaco primo in graduatoria venga prescritto meno degli altri due, oppure addirittura non essere prescritto affatto.
Ecco questo sarebbe un esito certamente strano per una gara d’appalto, anche in un settore così particolare come quello dei farmaci biologici: quello, cioè, per il quale il prezzo non avrebbe più alcun valore nell’acquisto. E ciò genererebbe negli operatori economici un pericoloso effetto collaterale sul piano del mercato, per il quale in fondo non sarebbe più necessario offrire prezzi competitivi per classificarsi al primo posto in graduatoria, perché sarebbe sufficiente entrare sul podio dei primi tre. In una gara, non dimentichiamolo, dove molto spesso i concorrenti sono quattro ed il quarto altrettanto spesso è l’originatore che mantiene prezzi molto più alti degli altri.
Sarebbe d’accordo l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato su questa soluzione?