L’intention to leave è un fenomeno, italiano e non solo, che riguarda gli operatori sanitari e sostanzia la probabilità che gli infermieri hanno di lasciare il posto di lavoro o addirittura di lasciare del tutto la professione.
Un evento in costante aumento generato da una serie di fattori. Tra questi, particolarmente rilevante è il malcontento rispetto all’ambiente di lavoro che origina da carichi di lavoro elevati, da una mancanza di opportunità di crescita professionale oltre che da un mancato riconoscimento economico.
Un aumento del 10% di “intention to leave” si associa ad un aumento del 14% della probabilità di mortalità intraospedaliera
Tutto questo genera insoddisfazione, stanchezza emotiva, stress morale ovvero una sensazione dolorosa, associata spesso a squilibrio psicologico, che si manifesta quando i professionisti sono consci dell’azione più appropriata alla situazione, ma la ritardano, o non possono, o faticano ad effettuarla a causa di ostacoli quali ad esempio la mancanza di tempo. Un circolo vizioso che si sostanzia nel burnout e che si ripercuote in maniera rilevante sugli esiti dell’assistenza, oltre che sulla sicurezza delle cure.
Un recente studio ha messo in relazione l’intention to leave con il tasso di mortalità intraospedaliera a trenta giorni. Questo indicatore è un esito critico immediato che riflette tutte le dimensioni dell’assistenza sanitaria, compresi i fattori gestionali e organizzativi ed è facilmente comparabile.
La qualità dell’assistenza e la sicurezza delle cure dipendono dal benessere organizzativo dei professionisti
Lo studio ha coinvolto 15 ospedali italiani di due regioni, 1.046 infermieri e 37.497 pazienti di età superiore a 50 anni, degenti in reparti chirurgici da almeno due giorni. I ricercatori hanno correlato le variabili legate ai pazienti – comorbilità, età, la durata del ricovero – e le variabili correlate ai professionisti – il carico di lavoro, soddisfazione lavorativa, benessere organizzativo – e hanno evidenziato che un incremento del 10% dell’intention to leave aumenta la probabilità di mortalità intraospedaliera del 14%. Inoltre, un aumento del carico di lavoro, ovvero un paziente in più assistito per infermiere, accresce la probabilità di mortalità intraospedaliera del 3,4%.
I risultati dello studio, che, come sottolineano gli autori, andrebbe esteso ad altre Regioni per includere un maggior numero di ospedali al fine di aumentare la generalizzabilità dei risultati, consentono di affermare che ambienti di lavoro e risorse adeguate al carico di lavoro, oltre al benessere organizzativo, si associano a esiti assistenziali migliori e a una riduzione dell’intention to leave.
Per invertire la rotta e ridurre questo fenomeno, migliorando la qualità e la sicurezza delle cure, è ormai evidente che sono necessari interventi finalizzati ad accrescere il benessere organizzativo, la qualità del lavoro dei professionisti e la sua valorizzazione. Un impegno che investe e deve coinvolgere tutti i livelli dei sistemi sanitari e le politiche che ne determinano e governano l’azione. A cambiare però non devono essere solo i professionisti, devono farlo anche le organizzazioni.