Liste d’attesa, Quici: «Non è chiaro da dove prenderanno i soldi»

Per la Federazione Cimo-Fesmed, il decreto liste d’attesa è una rincorsa a soddisfare il cittadino che vuole più prestazioni e non una seria presa in carico di un problema strutturale

Tante promesse, pochi soldi a bilancio. Entrato in vigore dal 1° agosto, il testo del decreto liste d’attesa non sembra aver convinto la Federazione dei sindacati dei professionisti sanitari, che rappresenta gli stessi medici a cui saranno rivolti i benefici fiscali sul lavoro straordinario che dovranno servire a far aumentare le ore di lavoro negli ospedali. Il decreto vorrebbe rispondere ad una richiesta dei cittadini, ormai costretti ad aspettare tempi insensatamente lunghi per visite specialistiche ed esami in regime di servizio sanitario nazionale. La soluzione è quella di aumentare i numeri delle prestazioni, facendo lavorare gli ambulatori ospedalieri anche nei fine settimana. Il tutto senza stanziare nuovi fondi per assumere nuovo personale.

«Il sistema è già saturo ed è molto improbabile che i medici possano fare più straordinari di così»

Per il presidente della Federazione Cimo-Fesmed, Guido Quici «il sistema è già saturo ed è molto improbabile che i medici possano fare più straordinari di così, viste le ore in più che già molti accettano di fare e i giorni di ferie in arretrato maturate da una alta percentuale dei colleghi». I sindacati dal decreto si aspettano un nulla di fatto perché «non sono state introdotte nuove risorse per risolvere vecchi problemi».

I dati del sindacato su ferie e straordinari

Guido Quici

«Dove sono i nuovi fondi messi a capitolo dal tanto atteso decreto liste d’attesa?», si domanda provocatoriamente Quici. «Le intenzioni del governo di ridurre i tempi d’attesa per visite ed esami sono più che buone, ma come possiamo aspettarci di risolvere un problema così complesso senza guardare in faccia alla realtà? La nostra sanità viene da anni e anni di tagli. La risposta della politica sembra essere sempre la stessa: chiedere ai medici di lavorare di più, in questo caso dandogli un piccolo incentivo economico. Ma basta guardare i dati sul lavoro straordinario e sulle ferie arretrate dei medici ospedalieri per capire quanto questa soluzione sia problematica in partenza».

Per il presidente della Federazione Cimo-Fesmed i dati ci dicono chiaramente che la maggior parte dei medici italiani lavora già più di quanto sarebbe previsto dall’orario di lavoro standard, senza riuscire a coprire i normali turni di servizio per garantire i livelli di assistenza.

«Solo il 27% dei medici lavora le 38 ore a settimana – spiega Quici, dati alla mano -, il 53% arriva alle 48 ore settimanali e il 20% è in servizio per più di 48 ore alla settimana».

Se già il 70% dei medici lavora oltre l’orario, per i sindacati l’incentivo economico al lavoro straordinario non è destinato ad essere la soluzione ottimale per coprire carichi di lavoro che sembrano essere molto maggiori di quelli richiesti oggi. Se il decreto verrà tramutato in legge, le prestazioni dovranno essere offerte anche il sabato e la domenica e ci saranno misure molto più stringenti per evitare la chiusura delle agende per prestazioni ed esami.

Il 39% dei camici bianchi ha più di 50 giorni di ferie in arretrato da smaltire e il 18% ha ben più di 100 giorni

«Gli straordinari sono solo uno dei problemi – ha proseguito Quici -. Ci sono anche le ore di ferie in arretrato: il 43% dei medici ha ancora fra gli 11 e i 43 giorni di ferie da fare. Il 39% dei colleghi ha più di 50 giorni e il 18% ha più di 100 giorni di ferie in arretrato da smaltire. Se questo è il contesto sui cui punta la flat tax, la vedo dura. I medici non si sono mai tirati indietro rispetto al fare di più e i numeri lo dimostrano».

«Agenas sottostima il reale bisogno di medici: ne servono 10mila in più»

«In sanità è l’offerta che genera la domanda; se continuiamo a non fornire il minimo indispensabile, finirà per mancare anche la richiesta di prestazioni sanitarie legate alla prevenzione secondaria e terziaria – ha detto il presidente della Cimo-Fesmed –: La medicina preventiva invece è fondamentale e ha una ricaduta significativa anche sui costi sanitari, che saranno sempre più alti se dovremo curare tutte le patologie di cui avremmo potuto evitare o ritardare l’insorgenza».

Se continuiamo a non fornire il minimo indispensabile, finirà per mancare anche la richiesta di prestazioni sanitarie legate alla prevenzione secondaria e terziaria

Per Quici «Agenas sottostima il reale bisogno di medici che, secondo i calcoli della federazione, è molto superiore alle cifre stimate dall’agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali», dal momento che oggi le prestazioni aggiuntive in regime di straordinario stanno servendo per coprire i turni di pronto soccorso in cui non c’è abbastanza personale. Il sistema si basa su un complesso calcolo algoritmico in cui vengono considerati i numeri di posti letto, il numero di medici presenti ma anche le ferie, i turni di riposo e la malattia.

«Le nostre stime ne contano 10mila in più» – ha affermato Quici che, a dimostrazione della tesi secondo cui è l’offerta che genera la domanda, ha sottolineato come nei primi due anni dopo la pandemia siano state effettuate 19.800.000 prestazioni in meno rispetto agli anni prima del Covid. Le uniche ad essere aumentate dal 2019 in poi sono le prestazioni irrinunciabili dell’oncologia, della radioterapia e della medicina nucleare.

La medicina territoriale dimenticata

Quici sottolinea come il decreto liste d’attesa preveda che i soldi per mettere a punto il nuovo sistema arrivino dalle Regioni stesse, che potrebbero però aver già utilizzato questi fondi in altro. «Se tutto avviene con le risorse già stanziate alle Regioni non si capisce chi pagherà per implementare la medicina territoriale – afferma -. La nuova legge riguarda principalmente gli ospedali e l’obiettivo è tutto sulla riduzione dei tempi d’attesa. Corretto cercare soluzioni a questo problema, ma com’è possibile che per l’ennesimo anno consecutivo il piano nazionale della cronicità rimanga a finanziamento zero? Le visite specialistiche dovrebbero essere erogate dagli ambulatori, ma senza risorse questo continua ad essere di difficile realizzazione».

Questo decreto ai sindacati sembra una rincorsa per soddisfare il cittadino che vuole più prestazioni e non una seria presa in carico di un problema strutturale: «Le liste d’attesa sono un problema per qualsiasi servizio sanitario pubblico, non solo in Italia – ha concluso Quici -, un problema che resterà probabilmente insoluto a meno che non si intervenga in maniera strutturale. Certo non attraverso le mance date sugli straordinari».

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Sofia Rossi
Giornalista specializzata in politiche sanitarie, salute e medicina