Aggressioni agli operatori sanitari, un’escalation

Aggressioni fisiche, verbali, alle proprietà nelle strutture e sul territorio. Sedicimila le segnalazioni dell’Osservatorio Nazionale sulla sicurezza degli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie nel 2023

Un fenomeno a valenza nazionale ma anche internazionale – come confermato da numerosi studi e pubblicazioni – e con un trend che non accenna a diminuire.

Non solo fisiche ma anche verbali, le aggressioni sono entrate nella quotidianità degli operatori sanitari. Quelle verbali, quali ad esempio gli insulti, sembrano essere diventate addirittura la normalità tanto da essere considerate dagli operatori sanitari parte del proprio lavoro. Questo, di fatto, come sottolineano i ricercatori aumenta in modo importante il rischio di essere aggrediti.

Nel triennio 2020–2022 sono stati registrati dall’INAIL 6mila casi, 2.243 solo nel 2022. I dati dell’Osservatorio nazionale sulla sicurezza degli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie (ONSEPS), istituito nel 2022 e relativi al 2023, documentano oltre 16mila segnalazioni di aggressioni a operatori sanitari su tutto il territorio nazionale. Complessivamente gli operatori coinvolti sono stati 18mila. Sono state le professioniste donne a segnalare i 2/3 delle aggressioni, le fasce di età più colpite 30-39 e 50-59 anni. I professionisti maggiormente colpiti sono gli infermieri e, questo viene confermato anche dagli studi sia nazionali che internazionali, seguiti da medici e operatori socio-sanitari.

Nel triennio 2020–2022 sono state registrate dall’INAIL 6mila aggressioni, 2.243 solo nel 2022

Le professioniste donne sembrano essere particolarmente vulnerabili: a ciò si aggiunge, oltre al doppio rischio di essere vittime di violenza, anche la concreta mancata denuncia degli episodi di violenza per timore di vittimizzazione.

Ad aggredire sono i pazienti/utenti: il 26% delle aggressioni sono fisiche, il 68% verbali, il 6% contro i beni di proprietà dei professionisti. I setting in cui si registrano la maggior parte delle aggressioni sono le aree dell’emergenza/urgenza, della salute mentale, le aree di degenza ma a questi, come sottolineato da studi recenti va aggiunto il contesto territoriale (esempio domicilio, ambulatori).

Numerosi sono i fattori che concorrono ad aumentare il rischio di aggressioni e violenza nei confronti degli operatori sanitari in tutti i contesti. Taluni legati alle organizzazioni – esempio, elevato carico di lavoro, risorse insufficienti, livelli elevati di burnout, il lavoro nel team multiprofessionale, intention to leave, eccessiva burocratizzazione – altri alle caratteristiche intrinseche dei pazienti/utenti – esempio, aspetti culturali, comportamenti agiti aggressivi, l’abuso di alcol, l’uso di droghe.

Il 26% delle aggressioni sono fisiche, il 68% verbali, il 6% contro i beni di proprietà dei professionisti

Ancora una volta, per invertire la direzione di un fenomeno che sembra senza confini e che mina significativamente la sicurezza degli operatori sanitari ma anche delle cure e delle persone assistite è necessario agire sui contesti organizzativi per correggere i fattori di rischio ma anche sulla sensibilizzazione dei cittadini per migliorare la relazione, irrinunciabile nella presa in carico e nel percorso di cura, con i professionisti.

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Marina Vanzetta
Infermiera, PhD, MSN, componente redazione L’Infermiere Online (FNOPI)