Alzheimer: persone, tecnologie e prossimità, dalla prima paziente all’attualità

Viaggio tra ieri e oggi nella Malattia di Alzheimer. Che cosa è possibile fare? Un progetto “a sistema” dell’Ospedale Sant’Eugenio, Asl Roma 2

Auguste Deter è stata la prima paziente che nel 1901 è stata descritta come affetta da disturbi cognitivi. Aveva 51 anni e non era considerata “tipica” per l’età che aveva, mostrava infatti perdita della memoria, difficoltà nell’esprimersi, disturbi comportamentali e aspetti psicopatologici.

Ich habe mich verolen – Ho perso me stessa”, rispondeva ossessivamente alle domande del dottor Aloise Alzheimer che, nel frattempo, l’aveva presa in carico nel manicomio di Francoforte. Era l’alba del ventesimo secolo, e anche l’alba del riconoscimento della Malattia di Alzheimer, che l’allora giovane medico definì come “malattia dell’oblio”.

La Malattia di Alzheimer oggi

La Malattia di Alzheimer (AD) viene definita, al giorno d’oggi, come una patologia neurodegenerativa, progressiva, ne vengono descritti tre stadi di avanzamento, in base alla gravità dei sintomi e alle comorbidità e non esiste una cura che possa contrastarne la progressione.

Fino agli anni ’70 la Malattia di Alzheimer era ritenuta una patologia poco frequente, veniva chiamata psicosi presenile, mentre invece la psicosi senile era la psicosi arteriosclerotica, che era considerata la forma molto più diffusa di demenza.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha classificato la Malattia di Alzheimer come una delle priorità della sanità pubblica

Attualmente, la Malattia di Alzheimer è definita con tre stadi di sviluppo ingravescenti: il primo stadio detto preclinico, caratterizzato da accumulo di proteina beta amiloide, è uno stadio asintomatico; il secondo stadio, definito prodromico, è caratterizzato da lievi sintomi clinici; e lo stadio terminale di demenza si caratterizza con sintomi cognitivi, comportamentali e invalidanti dell’autonomia personale. In uno studio olandese del 2019, i ricercatori hanno stimato la durata degli stadi di AD in base all’età, al sesso, a fattori di rischio genetici e al biomarcatore tau, in 3.268 persone positive alla proteina beta amiloide. I risultati della ricerca hanno evidenziato che la durata complessiva dell’AD variava tra 24 e 15 anni. Per soggetti con AD preclinico con 70 anni di età, la durata dello stadio preclinico era di 10 anni, dell’AD prodromico era di 4 anni e della demenza era di 6 anni.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha classificato la Malattia di Alzheimer come una delle priorità della sanità pubblica che, insieme alle altre demenze, rappresentano la settima causa di morte nel mondo.

“Oggi in Italia si può stimare che le persone che presentano un disturbo cosiddetto neurocognitivo sono circa un milione, 600 mila di queste sono affette da una particolare forma di demenza degenerativa che fa riferimento alla Malattia di Alzheimer”, spiega Giovanni Capobianco, Direttore della Struttura Complessa di Geriatria dell’Ospedale Sant’Eugenio Asl Roma 2.

“All’interno del territorio dell’ASL Roma 2, uno dei comprensori particolarmente vasti che conta un milione e quattrocentomila persone, in questo quadrante vi sono circa 40-50 mila persone con disturbo cognitivo e, di questi, 20-30 mila con Malattia di Alzheimer”.

Dal Piano Nazionale per le Demenze un progetto ‘a sistema’ presso l’Ospedale Sant’Eugenio

Il Piano Nazionale per le Demenze del 2014 è stato recepito recentemente da parte della Regione Lazio con un fondo di oltre un milione di euro dedicato alla diagnosi tempestiva del disturbo neurocognitivo. All’interno di questa cornice legislativa, l’ASL Roma 2 è stata considerata ‘ASL pilota’ e come capofila ha avuto a disposizione oltre 400 mila euro di finanziamento per l’acquisizione di tecnologie e per l’assunzione di personale.

La Regione Lazio ha stanziato recentemente oltre un milione di euro per la diagnosi tempestiva del disturbo neurocognitivo

“Ho avuto il sostegno della mia direzione aziendale”, continua Capobianco, “nel voler incardinare e mettere a sistema sia personale aggiuntivo (un geriatra e due neuropsicologhe) sia nuova tecnologia, che, nel nostro caso, ha previsto l’acquisizione di un software per la lettura delle immagini da risonanza magnetica che rimarrà in uso all’Ospedale Sant’Eugenio anche quando il progetto sarà terminato. L’organizzazione delle attività consentirà al Centro per la diagnosi tempestiva dei disturbi cognitivi di rappresentare una linea ‘di sistema’ che la Geriatria della ASL Roma 2 offrirà ai suoi cittadini. Il software QuantibND, acquisito tramite il fondo, è in grado di elaborare le immagini che analizzano le dimensioni di tutte le aree cerebrali deputate alla memoria, come l’ippocampo. Andando a misurare queste grandezze, è possibile valutare le divergenze tra l’ampiezza dell’ippocampo del paziente valutato, rispetto a popolazioni di riferimento”.

Il ruolo della prevenzione

A proposito di prevenzione, ha ribadito Capobianco, è di notevole importanza l’intercettare i disturbi precoci e consentire una prevenzione cosiddetta secondaria. “Mantenere una vita sana e attiva anche per le persone di 70 anni e oltre è oltremodo importante”, ha sottolineato Capobianco, “così come sarebbe bene che le persone di queste età partecipassero alle varie attività che riguardano lo sviluppo della famiglia o della comunità alla quale appartengono, facessero attività motoria, andassero al cinema, leggessero libri o riviste, anche correggendo i disturbi sensoriali (ad esempio legati alla vista e all’udito) e contrastando così, con una vita attiva, la solitudine”.

Curare cuore, polmoni o i disturbi della deambulazione della persona con disturbi cognitivi permette di prevenire o rallentare la perdita dell’autonomia

“Con la prevenzione”, asserisce ancora Capobianco, “nel caso in cui una persona venga colta da un disturbo iniziale che poi, sfortunatamente, possa evolvere verso la demenza, abbiamo tutto il tempo di preparare i servizi a lei dedicati, di programmare i supporti assistenziali sociali, di curare le comorbidità. Curare cuore, polmoni o i disturbi della deambulazione della persona con disturbi cognitivi farà in modo che questa persona potrà prevenire o rallentare la perdita dell’autonomia”. 

“La pandemia di Covid-19 è stata una specie di occhiale semantico, con il quale abbiamo potuto guardare la realtà di prima e la realtà di oggi. Che cosa è successo?Misurando la complessità e la gravità di questi malati del 2019 vi erano degli indicatori di un certo tipo. Dopo la fase pandemica io ho visto”, asserisce ancora Capobianco, “una popolazione più vecchia, più grave, più compromessa, con più complicanze, più povera e che aveva più necessità di servizi. Con forme molto più avanzate di demenza, fino alle sue fasi terminali”.

Tecnologia, persone e prossimità

Osserva Capobianco: “In un’epoca dove la tecnologia vorrebbe prendere il sopravvento e dall’altra parte vi sono medici che blindano gli atti di cura in purezza, dovremmo considerare la saggezza di Aristotele: ‘In medio stat virtus’. In questa esperienza abbiamo fatto sintesi tra l’uomo e le macchine: il software che misura l’ippocampo da un lato e le risorse umane che abbiamo assunto, medico e neuropsicologhe, ci hanno consentito di porre diagnosi più precoci, curare le fasi più avanzate e sostenere le famiglie dei pazienti che a noi si sono rivolte”.

Nell’assistenza alle persone affette da demenza il Sistema Sanitario Nazionale si gioca la sua capacità di affrontare i problemi complessi

“Nell’assistenza alle persone affette da demenza”, conclude l’esperto, “il Sistema Sanitario Nazionale si gioca la sua capacità di affrontare i problemi complessi: all’inizio con i Centri per i Disturbi Cognitivi, nelle fasi centrali con Ospedali, Servizi domiciliari dedicati e competenti, nelle fasi avanzate con Residenze adeguate per personale e cultura, fino alle fasi terminali dove strutture per cure palliative come gli Hospice o l’assistenza a casa dedicata, risponderanno alle differenti esigenze delle persone affette da declino cognitivo”.

La sanità che si allena alla complessità si basa su tre cose: un giusto utilizzo della tecnologia, il ruolo di persone competenti e solidali e come terzo aspetto quella specie di supplemento d’anima, che deve connotare gli operatori che assistono le persone affette da demenza e che manifestano il loro senso di prossimità ad ammalati e alle loro famiglie. Questa sintesi tra persona, tecnologia e prossimità è il senso di questo progetto che noi abbiamo voluto mettere a terra, piantato con le radici nel terreno, per fare in modo che possa andare oltre il 2023 e proiettarci anche per gli anni futuri, che saranno anni in cui questa malattia, purtroppo, avrà comunque una crescita legata all’invecchiamento della popolazione”.

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Silvia Pogliaghi
Giornalista scientifica, esperta di ICT in Sanità, socia UNAMSI (Unione Nazionale Medico Scientifica di Informazione)