Amministrazioni green, ma non troppo. Italia va lenta soprattutto in sanità: i numeri

I dati su Green Public Procurement e Criteri Ambientali Minimi di Legambiente e Fondazione Ecosistemi con un focus su ospedali e Servizio Sanitario Nazionale: PA al 62%, sanità ferma al 5%

Un’amministrazione che faccia scelte sostenibili anche in sanità. Ospedali “green” che riducano le emissioni, strutture sanitarie che, lavorando su formazione e acquisti, vadano a ridurre l’impatto sociale e ambientale della loro azione.

È questo l’obiettivo del Green Public Procurement (GPP) e dei Criteri Ambientali Minimi (CAM), strumenti e metriche ancora lontane dal raggiungere un livello ottimale, introdotti da tempo nel nostro Paese accogliendo l’indicazione contenuta nella Comunicazione della Commissione europea “Politica integrata dei prodotti, sviluppare il concetto di ciclo di vita ambientale” (COM 2003/302), e in ottemperanza del comma 1126, articolo 1, della legge 296/2006 (Legge Finanziaria 2007)

Matteo Nevi, Mauro Pantaleo e Claudia Romero

A dare la “temperatura” attuale sono arrivati i dati del VII rapporto 2024 “I numeri del Green Public Procurement in Italia” dell’Osservatorio Appalti Verdi di Legambiente e Fondazione Ecosistemi, presentato il 15 e il 16 maggio a Roma al Forum Compraverde Buygreen 2024, giunto alla sua XVIII edizione. Obiettivo del rapporto è raccontare come l’Italia sta affrontando la sfida della sostenibilità che passa anche dagli acquisti promossi dalle amministrazioni pubbliche e dall’applicazione dei CAM. L’Italia continua a procedere con lentezza: a otto anni dalla loro entrata in vigore, la performance delle PA è del 62%. Faticano a decollare in maniera strutturata in un quadro che vede, secondo gli ultimi dati dell’Anac, un valore complessivo degli appalti pubblici di importo pari o superiori a 40mila euro, che si attesta attorno ai 283 miliardi di euro.

Su un campione di 126 amministrazioni pubbliche (tra cui 41 ASL), l’indice medio di performance nel 2023 è stato del 62%, con un massimo del 79% raggiunto dai Comuni metropolitani e un minimo del 56% toccato dagli enti gestori di aree protette. Nonostante il 98% delle amministrazioni pubbliche riconosca l’importanza del GPP, solo il 17% delle stazioni appaltanti monitora l’uso corretto degli strumenti. Tra le politiche più conosciute e applicate ci sono il “Plastic free” (57%) e la “Formazione” (56%), seguite dai “Criteri Sociali” (47%) e dal “Gender Procurement” (46%).

Le sfide del GPP e le strategie necessarie

Tra le 41 Asl che hanno risposto al questionario dell’Osservatorio, si apre una lacuna enorme nel sistema di monitoraggio degli acquisti, con solo il 5% di attuazione

Le difficoltà principali nell’applicazione del GPP e dei CAM derivano dalla “difficoltà di stesura dei bandi” (53%), dalla “mancanza di formazione” adeguata (41%) e dalla carenza di imprese con requisiti idonei (34%). Punti deboli su cui occorre intervenire per accelerare l’applicazione del GPP. Per questo l’Osservatorio Appalti Verdi suggerisce di partire dalla formazione del personale competente e dal controllo dell’esito delle gare d’appalto.

Secondo Andrea Minutolo, responsabile scientifico Legambiente «gli acquisti verdi, sebbene la loro utilità sia ampiamente riconosciuta, subiscono ancora troppi rallentamenti. Il Rapporto dell’Osservatorio serve a puntellare i punti di debolezza su cui intervenire per rendere il GPP uno strumento strutturale. La promozione di un sistema di acquisti ambientalmente e socialmente preferibili può davvero generare un miglioramento in termini ambientali e di diffusione di tecnologie verdi».

Silvano Falocco, direttore Fondazione Ecosistemi, sottolinea, invece, la necessità di tre azioni: avere un referente del GPP in ogni pubblica amministrazione, un programma nazionale per formare le PA e una Task Force nazionale per verificare il rispetto dei diritti umani e sociali lungo le filiere di produzione.

«Non basta la formazione − afferma Roberto Caranta, dell’Università di Torino e coordinatore di ITN SAPIENS –. Servono organismi di supporto agli operatori, un help desk, che aiuti la procedura degli appalti e che indichi le soluzioni tecniche. Occorre anche un diverso approccio al mercato, stabilire un dialogo per trovare insieme le soluzioni».

Ospedale Verde e One Health

Tra le 41 Asl che hanno risposto al questionario dell’Osservatorio, si apre una lacuna enorme nel sistema di monitoraggio degli acquisti, con solo il 5% di attuazione su una spesa sanitaria di oltre 131 miliardi di euro per l’anno 2023, con un rapporto spesa sanitaria/PIL del 6,3%. Queste cifre mostrano chiaramente l’importanza di monitorare il settore sanitario e capire come la spesa possa essere veicolata verso una sostenibilità che riguarda diversi acquisti del settore e la gestione del sistema sanitario.

Gli ospedali sostenibili non solo mirano a ridurre l’impatto ambientale, ma vogliono anche migliorare la salute complessiva della popolazione. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’ospedale del futuro sarà sostenibile a livello sociale, economico ed ecologico, considerando l’intero ciclo di vita della struttura.

L’impronta della sanità sulle emissioni

«L’approccio One Health è ideale per raggiungere la salute globale e rispondere ai bisogni di salute dei cittadini – spiega Matteo Nevi ai microfoni di TrendSanità, Direttore generale Assosistema, Confindustria –. Laddove il settore sanità è uno dei responsabili della crisi climatica con il 5,2% di emissioni di gas serra. Senza azioni mirate, tali emissioni potrebbero triplicare entro il 2050. L’OMS indica che almeno un quarto delle malattie e dei decessi nel mondo si devono proprio a fattori ambientali. Il cittadino finanzia, attraverso le tasse, il SSN, ma delega il soggetto pubblico all’acquisto, non può valutare la sostenibilità. Tuttavia, deve convivere con le conseguenze di un errato acquisto in termini di smaltimento e inquinamento che restano sul territorio. È necessario stabilire un dialogo costruttivo tra pubblico e privato già durante il percorso di gara».

La limitata adesione alle politiche green nel comparto sanità è solo una questione di soldi, oppure manca la cultura e la sensibilità verso queste tematiche?

Un ostacolo importante è la formazione del soggetto che acquista, perché occorre sapere cosa acquistiamo e avere in mente la sostenibilità

«Credo che le risorse economiche all’interno delle politiche Green – dice ancora Nevi –, soprattutto sugli acquisti, rappresentino il 40% della necessità di investimenti green da parte della pubblica amministrazione nel settore sanitario. Anche perché per il nostro settore, quello del lavanolo (lavaggio e noleggio) o della sterilizzazione dello strumentario, le gare sono centralizzate. Quindi, quando si parla di una gara per un acquisto “verde”, significa che è la Regione che acquista il servizio e che si estende per tutto il territorio. Si sta parlando di appalti aggregati molto grandi che riguardano l’intera sanità. Il tema economico è molto importante, perché va a toccare sia la qualità del servizio, sia la parte ambientale. Ma quello che riscontriamo è una passività di fronte al tema dell’acquisto verde, che si compone di vari aspetti. Il primo è legato alla scelta di prodotti con un minor impatto ambientale, da individuare attraverso un’analisi delle esternalità che crea l’acquisto di un bene. Noi puntiamo molto sul prodotto riutilizzabile, che ha una ripercussione collettiva positiva con una riduzione dei costi sociali come l’inquinamento, il costo di smaltimento, di incenerimento e così via. E qui si arriva a un bivio che comunque è stato superato, cioè, è preferibile la sicurezza igienica o la sostenibilità ambientale? L’ultimo CAM, anche quello del tessile, a seguito del DL rilancio, ha superato questa dicotomia proprio perché è stato validato sia dal Ministero dell’Ambiente che dal Ministero della Salute, scongiurando una rivalità tra la sicurezza igienica e la sostenibilità ambientale. Infatti, nel nuovo CAM del tessile è indicato chiaramente la predilezione verso il dispositivo medico o dispositivi di protezioni individuali riutilizzabile piuttosto che il monouso. Resta un aspetto culturale di come si acquista e di cosa si acquista».

Qual è l’ostacolo principale alla svolta green e cosa può fare la politica per favorire la sostenibilità degli acquisti?

«Un ostacolo importante è la formazione del soggetto che acquista, perché occorre sapere cosa acquistiamo e avere in mente la sostenibilità. Se manca questo, diventa difficile costruire una gara che sia sostenibile. Infatti, nella stragrande maggioranza si copiano le tabelle che sono previste dai due CAM, il tessile e il lavanolo. Si copia e incolla e si mette nella gara e spesso le richieste sono in antitesi con la sostenibilità. Ci sono gare, ad esempio, che premiano il colore, la cosa più impattante per l’ambiente in una gara. La formazione, quindi, resta la prima necessità per l’applicazione del CAM. Cosa può fare la politica? Va distinta la politica nazionale da quella regionale. La prima può intervenire fino a un certo punto, anche perché il CAM è obbligatorio e si è perfino previsto l’intervento dell’Anac su alcuni settori con l’identificazione di costi standard. Il tema di fondo è la politica regionale, quella attraverso la quale i cittadini utilizzano la sanità. I cittadini sono sia finanziatori, sia i fruitori della sanità e sia coloro che subiscono il post ambientale. Quindi, la politica regionale dovrebbe incrementare le risorse economiche nel comparto sanitario, per evitare gare sempre al massimo ribasso, o che vadano a ledere la qualità, e sensibilizzare la centrale di committenza sul tema ambientale, indirizzandola sull’acquisto sui prodotti che hanno un costo sociale minore rispetto a quelli monouso».

Cosa manca nel Nuovo Codice degli Appalti per garantire la sostenibilità?

«Sono molte le cose che mancano. Nell’ambito green, è stata ripresa la struttura del precedente codice, inserendo perfino una cosa molto utile come l’analisi LCC (Life Cycle Costing), cioè quanto costa la risorsa dall’inizio alla fine, per mappare anche i costi sociali. Però manca l’aspetto della qualità, perché rispetto al precedente codice è venuto meno l’equilibrio fra il prezzo offerto in gara e la qualità del prodotto, il famoso 70/30. Oggi non c’è più, quindi nella discrezionalità della centrale di committenza si può decidere anche di fare una gara totalmente al prezzo più basso senza problema, oppure trovare un equilibrio diverso dal 70/30 che penalizza la qualità del servizio e la scelta ambientale, premiando lo sconto più alto rispetto all’elemento qualitativo».

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Ivana Barberini
Giornalista specializzata in ambito medico-sanitario, alimentazione e salute