Basta un click e… scatta più psicoterapia per tutti

Abbiamo provato diversi servizi: comodità di fruizione e superamento dello stigma i vantaggi del boom del supporto psicologico on line. Si rischia però di banalizzare il lavoro psicoterapeutico

Un click avvia la chiamata. Dall’altra parte dello schermo, ti aspetta uno psicoterapeuta selezionato da un algoritmo. Inizia così la psicoterapia offerta dalle piattaforme on line, sempre più numerose dopo la pandemia. L’impatto del covid-19, e le più o meno attuali tensioni geopolitiche, hanno amplificato l’attenzione sulla salute mentale.

Perfino la politica si è mobilitata con il “bonus psicologo“ che ha registrato un vero boom di richieste. Del resto, la carenza di una rete per le più diffuse forme di disagio psicologico evidenzia i limiti di un servizio pubblico che fatica a stare al passo con i bisogni delle persone. Le piattaforme di terapia on line sollevano però interrogativi sulla possibile banalizzazione del lavoro psicoterapeutico.

Ne abbiamo parlato a TrendSanità con Paola Medde, psicologa e psicoterapeuta, consigliera dell’Ordine psicologi del Lazio, Eugenio Santoro, responsabile dell’Unità di ricerca in Sanità digitale e terapie digitali dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri IRCCS, Francesca Chiricozzi, psicoterapeuta dell’Associazione nazionale psicologi psicoterapeuti (ANaPP) e Stefano (nome di fantasia), psicoterapeuta che ha lavorato presso una di queste piattaforme.

Alcuni dati

L’età degli italiani interessati alla terapia on line oscilla tra i 18 e i 44 anni

Secondo i dati di Guidapsicologi.it, tra il 2017 e il 2021 l’età degli italiani interessati alla terapia on line oscilla tra i 18 e i 44 anni, con una maggioranza di donne (71,8%). Le ricerche sul web sul tema psicologia sono aumentate nel 2021, con Roma in testa (18,4% delle ricerche). Seguono Milano (18%), Napoli (4%), Catania (3,3%) e Firenze (2,8%). I disagi più comuni che spingono a cercare uno psicologo on line sono ansia e depressione, seguiti dalla terapia di coppia, in crescita dopo la pandemia. Tra le criticità, invece, emergono la velocità di connessione (32,8% degli intervistati), la perdita della comunicazione non verbale (22,5%) e le difficoltà dei professionisti a stabilire una buona relazione terapeutica (11%).

Come funziona?

La mancanza di una risposta strutturale che garantisca l’accesso ai servizi di base attraverso il SSN è un problema serio. Questi servizi, in fondo, riempiono un vuoto, diventando gli intermediari tra la domanda, sempre crescente, di supporto psicologico e l’offerta.

In genere, si offrono colloqui immediati grazie a un questionario che guida alla scelta del professionista. In poco tempo, un algoritmo assegna il terapeuta. Segue l’invito a fissare un appuntamento per un colloquio on line gratuito. Come agisca l’algoritmo, non si sa. Ma non si è vincolati, si può chiedere di sostituire il professionista se non ci piace. Le sedute in videochiamata, per la terapia individuale, costano dai 50 euro fino ai 100 per uno psichiatra. Sono disponibili anche dei pacchetti, per risparmiare un po’.

Dall’altro lato dello schermo: l’esperienza diretta

«Si richiede un numero base di pazienti da trattare, almeno 10 ma non meno di 5. Le logiche premianti sono basate sulla quantità…»

Stefano, uno psicoterapeuta con esperienza in queste piattaforme, descrive un processo di selezione che valuta principalmente l’adeguatezza tecnologica per le sedute on line. «Alcune piattaforme accettano soltanto psicoterapeuti e psichiatri, altre accettano anche psicologi specializzandi. Il profilo del professionista è comunque visibile. La tariffa per il terapeuta è di 30 euro lordi e si richiede un numero base di pazienti da trattare, almeno 10 ma non meno di 5. Le logiche premianti sono basate sulla quantità.

Lato paziente, se presenta un “potenziale cliente” alla piattaforma (che va oltre il primo colloquio gratuito) riceve uno sconto, così come il nuovo cliente paga un po’ meno su un certo numero di sedute. Lato terapeuta, più pazienti si seguono, più aumentano i bonus. Il rischio è “riempirsi” di pazienti per guadagnare di più, senza riuscire a seguirli come si dovrebbe». Se, invece, il terapeuta decide di andarsene, in alcune piattaforme si paga una penale, circa 100 euro a paziente, a meno che non si portino a conclusione le terapie in atto. I pazienti, invece, possono decidere di seguire “fuori” il terapeuta (con un costo diverso), oppure restare nella piattaforma e proseguire con un altro professionista.

«In linea generale – prosegue Stefano –, il servizio può essere sufficiente. Non mi sento di dare lo stesso giudizio sulla qualità organizzativa della piattaforma, almeno quella in cui ho lavorato io…».

Accesso immediato: vantaggi e svantaggi

Francesca Chiricozzi

Per Francesca Chiricozzi «ci sono alcuni vantaggi, tra cui, la facilità di accesso alla psicoterapia, anche per quelle persone che hanno difficoltà a sostenere l’impatto emotivo nella relazione in presenza. Tra le criticità, invece, c’è la difficoltà a mantenere il rispetto delle regole del setting (rispetto orario seduta, disdetta da comunicare entro le 24 ore, divieto di contattare il terapeuta fuori dalla seduta, ecc…), condizione necessaria per aprire uno spazio di riflessione terapeutico, e la gestione delle emozioni durante la seduta. C’è poi la mancanza della relazione in presenza: questa modalità di incontro per alcuni pazienti può favorire la collusione con le loro resistenze a mettersi in gioco da un punto di vista emotivo nelle relazioni dal vivo. In questi casi, il lavoro psicoterapico dovrebbe vertere proprio sull’abbattimento delle resistenze personali per tendere a un cambiamento in tal senso. Infine, c’è la possibilità per l’utente di scegliere e sostituire facilmente un terapeuta con molti altri a sua disposizione. È una dinamica che può alimentare la sensazione di onnipotenza nel paziente, si veicola il messaggio che è la situazione ambientale ad adattarsi alle sue richieste piuttosto che essere lui a dover cambiare prospettiva per un cambiamento del proprio modo di approcciare alle situazioni».

«In questi ultimi anni – conferma Medde – il rapido sviluppo delle applicazioni informatiche ha reso più facile l’accesso alla terapia. Chi per difficoltà di spostamento per cause psicologiche (agorafobia, disturbo da attacchi di panico) o altre disabilità non poteva raggiungere il “tradizionale” spazio fisico e relazionale (la stanza del terapeuta), ora può entrare nella “stanza virtuale”, anche se in sedia a rotelle o ipovedente, senza dover essere accompagnato (rendendo pubblico il suo bisogno). Oppure l’adolescente che non possiede mezzi di trasporto, l’anziano con difficoltà a orientarsi, la persona che soffre di sordità o ipoacusia e che può, grazie alla trascrizione di un audio in testo, avere lo stesso diritto che hanno gli altri cittadini. Il processo non si fermerà».

Tra innovazione e tradizione: le sfide dei terapeuti digitali

«Sarebbe utile interrogarsi se una realtà commerciale – dice Stefano – che si qualifica come luogo di incontro virtuale tra terapeuti e pazienti, sia una soluzione adeguata, qualitativamente, a sopperire alla mancanza rispetto alla domanda di servizi psicologici e/o psicoterapeutici. Se è vero che l’on line facilita la raggiungibilità delle cure è però ragionevole che una prestazione sanitaria sia soggetta a logiche commerciali, di marketing e promozioni, come sconti per i pazienti che reclutano nuovi utenti? La disponibilità di un terapeuta on line, quando affiancata a logiche commerciali, può diventare più uno sgradevole ammiccamento per un potenziale cliente anziché un servizio per un paziente. Così come una comunicazione incentrata sulla “comodità” di fare le sedute quando e come vuoi, come se il lavoro psicologico sia una questione di click. Sarebbe importante che gli ordini professionali, così come il welfare sociale, pensino meno ad accodarsi al “successo” di una piattaforma commerciale per un servizio sanitario e si concentrino più sulle parole “prestazione sanitaria” e “paziente”, non cliente. C’è una struttura virtuale accanto alla piattaforma, fatta di professionisti, di supervisori, di organi aziendali: quanto le relazioni tra queste entità aggregate garantiscono le varie voci che sostanziano la qualità del servizio?».

Una stanza privata

Paola Medde

«La terapia “on line” – interviene Paola Medde – offre grandi opportunità ma nasconde anche delle insidie. Non basta che il professionista sia in possesso di una strumentazione adeguata e di una buona conoscenza della tecnologia ma che sia preparato a prevenire il rischio di possibili “scivolamenti” dal contesto professionale a quello amicale. Il “setting” terapeutico cambia: dalla “stanza privata” nella quale avviene l’incontro protetto, allo “spazio con-diviso” con altre persone (luogo di lavoro, abitazione, piattaforme utilizzate per chattare o per fare meeting). Tutto questo può creare confusione, desiderio di infrangere le regole e facilitare degli assetti comunicativi disfunzionali alla riuscita della terapia. La relazione terapeutica deve costruirsi in un contenitore saldamente costruito su regole etico-deontologiche generali e specifiche e il rapporto professionista-paziente non inficiato da interessi che coinvolgano attori “terzi”».

Efficace in ogni situazione?

«Nel caso di gravi patologie – specifica Medde – sia che si tratti di terapia on line o di quella tradizionale, è spesso richiesta la terapia farmacologica di supporto e la necessità di essere seguiti in un’ottica multidisciplinare. Si tratta di situazioni complesse che hanno bisogno di trattamenti più strutturati e di una rete di supporto capace di intervenire tempestivamente in caso di rischio per il paziente o di un suo familiare. Non sono adatti a questo tipo di intervento pazienti con gravi problemi legati all’esame di realtà, con gravi disturbi di personalità, vittime di violenza o abusi, chi presenta ideazioni suicidarie».

Eugenio Santoro

«È un po’ la replica di quanto avviene nella medicina privata – interviene Santoro –. Bisogna fare un po’ di attenzione, perché il percorso on line proposto da queste piattaforme non è fatto in base a una valutazione di appropriatezza clinica, cioè non si valutano tutti i dati di cui avrei bisogno per proporre un trattamento efficace. Sono interventi suggeriti per le condizioni più comuni, ma per quelle più serie, rischiano di essere poco incisive o addirittura di provocare dei danni. Parlo, ad esempio, delle schizofrenie gravi, i disturbi borderline, i disturbi del neuro sviluppo, tutte quelle condizioni che difficilmente si possono gestire attraverso questi strumenti. Ci sono disturbi o malattie che richiedono interventi più strutturati, un contesto assistenziale più ampio. Oltretutto non conosciamo niente di questi algoritmi, non sappiamo secondo quali regole è proposto uno psicologo piuttosto che un altro. Il rischio è un uso eccessivo di questi strumenti o comunque una carenza di regolamentazione che porti a una sorta di “mercificazione della sanità”, a creare malattie che magari non ci sono. Un’eccessiva medicalizzazione o, nel contesto psicologico, un eccessivo carico dato a un determinato stato d’animo che, forse, in certi casi non dovrebbe essere nemmeno preso in considerazione. È il discorso appunto dell’appropriatezza dell’intervento».

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Ivana Barberini
Giornalista specializzata in ambito medico-sanitario, alimentazione e salute