Ciò che il settore delle biotecnologie italiane attendeva da tempo potrebbe presto arrivare. Il ministero delle Imprese e del Made in Italy “sta lavorando per definire un Piano nazionale per le biotecnologie”, ha annunciato il ministro Adolfo Urso intervenendo all’Assemblea pubblica di Assobiotec. Obiettivo: “Realizzare un contesto favorevole per gli investitori stranieri”, ma non solo. Oltre a questo il dicastero di via Molise “sta mettendo a punto un provvedimento di legge che dovrebbe andare al vaglio del Consiglio dei ministri a settembre per favorire lo sviluppo delle tecnologie di frontiera, come le life science, l’intelligenza artificiale e la robotica”.
Buone notizie, quindi, per chi si occupa di ricerca di ultima generazione nel campo della medicina, delle applicazioni industriali e dell’ambiente. Notizie che si aggiungono a quella rilasciata giusto lunedì scorso al Milan Innovation District (Mind) sempre da Urso, che aveva annunciato il Piano industriale per la farmaceutica, capace di mappare le necessità e definire incentivi e regole, che potrebbe vedere la luce già nella seconda parte dell’anno.
Per il Ministero delle imprese e del Made in Italy è necessaria una politica industriale chiara per favorire attrazione di investimenti e rientro delle competenze
La visione del Ministero è quindi definita: è necessario avere una politica industriale chiara, che favorisca le imprese italiane – del resto l’ex-Mise oggi si chiama “delle imprese e del Made in Italy” – anche grazie alla capacità di attrazione di investimenti e al rientro delle competenze, che spesso prendono il volo verso altri lidi. Dove l’attrattività è maggiore.
Ancora, l’idea è quella di favorire la ricerca traslazionale, non solo di quella biotech, attraverso la “diffusione di centri di trasferimento tecnologico in ogni provincia italiana”.
E poi lo “sportello unico” per “semplificare le procedure per chi vuole investire in Italia, dove ci sia personale qualificato in grado di fungere da tutor per accompagnare nei processi di autorizzazione”.
Ma l’impegno dichiarato dal ministro Urso va ben oltre, giacché sono state avocate al suo dicastero alcune procedure per gli investimenti: “per quelli oltre i 25 milioni di euro in aree strategiche per l’occupazione; e per quelli oltre i 400 milioni di euro rivolti a settori strategici dal punto di vista dello sviluppo del Paese, come il biotech, per i quali è prevista una procedura accelerata per la messa a terra degli investimenti attraverso un processo autorizzativo unico, in accordo con le Regioni”.
Tante dichiarazioni che sono parse fare da sponda alle criticità presentate dal presidente di Assobiotec, Fabrizio Greco. Poco prima dell’intervento del ministro, Greco aveva presentato il “Biotech Journey”, il percorso in sei tappe che deve poter percorrere un’idea innovativa per poter diventare una vera soluzione per il futuro delle persone.
Assobiotec ha presentato il “Biotech Journey”, percorso in 6 tappe che un’idea innovativa deve percorrere per diventare una vera soluzione per il futuro delle persone
“Formazione, ricerca, trasferimento tecnologico, start-up, produzione e sviluppo, accesso e regole semplici e stabili. Tutti questi passaggi sono necessari per avere prodotti biotecnologici che siano competitivi a livello globale. Senza dimenticarci della velocità con cui queste sei tappe vengono percorse”, ha detto Greco.
Perché in effetti “riuscire a ottenere finanziamenti dal ministero dell’Università e della Ricerca oggi, e vederli disponibili dopo un anno, certamente non aiuta a essere competitivi agli occhi dei ricercatori”, ha commentato Maria Rescigno, prorettore vicario con delega alla Ricerca all’Humanitas Unversity. Ha aggiunto Giammario Verona, presidente della Fondazione Human Technopole: “I ricercatori è vero che si muovono per incentivi, ma non sono solo di natura economica. Per i ricercatori in generale, uno degli elementi più importanti è la qualità della ricerca che si può seguire in un dato Paese”. Che significa “un contesto che comprende attrezzature all’avanguardia, ma anche regole di ingaggio allineate al contesto internazionale”.
Ad attrarre i ricercatori sono molto spesso gli incentivi, ma non solo di natura economica
In effetti, hanno concordato diversi esponenti del mondo della ricerca, non è solo un problema finanziario, ma di sistema.
È stato Sergio Abrignani, direttore scientifico dell’Istituto nazionale di Genetica Molecolare, a introdurre un ulteriore elemento che ha esplicitamente definito “invito alla politica”. “Nei Paesi in cui le cose funzionano, a fianco delle istituzioni, c’è anche l’“attore filantropia”, spesso detassato. Pensiamo alla Gates Foundation. Il compito delle realtà filantropiche è il de-risking dei progetti di ricerca. Qui in Italia la filantropia vale -0,1% del Pil, a fronte degli Usa dove siamo intorno al +1,8%. Nel nostro Paese andrebbe fatta una vera e propria comunicazione sulla filantropia per far comprendere che essa contribuisce alla soluzione di problemi futuri, mentre la carità, che è bene continuare a operare e in cui l’Italia eccelle, risolve solo le criticità contingenti”.
Il tema del capitale umano è fondamentale
E poi c’è la questione delle competenze. “Il tema del capitale umano è fondamentale. Ma la nostra società non ha ancora compreso che lo sviluppo – anche delle biotecnologie – è legato al capitale umano e non solo a quello finanziario. Quindi bisogna investire su questo capitale umano”, ha considerato il direttore della Fondazione Corriere della Sera Ferruccio De Bortoli. Che ha anche ribadito come sia “fondamentale anche per un comparto industriale come quello biotech di riuscire a comunicare con la società circa la necessità di investire nella formazione universitaria e nella formazione continua dei professionisti”. Perché non si tratta solo di limitare la fuga dei cervelli e di far tornare quelli emigrati all’estero. Ma di creare nuove menti capaci di innovare.
Per ovviare ai primi due problemi “il governo, attraverso il Mur potrebbe a agire con attività di top-up. Cioè assegnando grant aggiuntivi rispetto a quanto i ricercatori più promettenti trovano all’estero. Lo Human Techopole lo ha già fatto. E con successo”, ha esemplificato Rescigno.
La formazione è essenziale per creare sia i ricercatori sia chi è in grado di traslare la ricerca verso l’industria
In più vanno create anche “figure in grado di valutare il valore tecnologico dei progetti centrati su ricerca e innovazione”, ha ricordato Abrignani. Che ha poi aggiunto: “La formazione è fondamentale per creare sia i ricercatori che chi è in grado di traslare la ricerca verso l’industria. La mentalità dei ricercatori è ancora legata alla ricerca di base. Perché in Italia manca la cultura del technology transfer. Anche i più bravi ricercatori stentano a capire che la propria ricerca può arrivare al letto del paziente solo se passa dall’industria”.
Insomma tanti nodi, molti tutt’altro che nuovi, ancora da sciogliere per consentire al biotech trovare il suo giusto riconoscimento. Un diamante ancora in parte grezzo che necessita di essere tagliato e sfaccettato da mani di abili tagliatori di pietre preziose per riuscire a esprimere la massima brillantezza. Chissà che queste mani non siano proprio quelle del ministro Urso e del governo targato Meloni.