La circolazione dei farmaci e dei dispositivi in Europa durante la pandemia

La corsa all’approvvigionamento di apparecchiature, mascherine e vaccini, durante la pandemia, ha reso ancora più evidente la centralità del tema della circolazione dei farmaci e dei dispositivi in Europa. Cosa prevede la normativa? Come ha reagito la Commissione europea all’emergenza? Risponde Stefano Montaldo, docente di Diritto dell’Unione Europea all’Università degli Studi di Torino.

La corsa all’approvvigionamento delle apparecchiature, delle mascherine, dei guanti, ma soprattutto dei vaccini, durante la pandemia, ha reso ancora più evidente la centralità del tema della circolazione dei farmaci e dei dispositivi in Europa. Cosa prevede la normativa? Come ha reagito la Commissione europea all’emergenza? Sono state risposte adeguate? Risponde Stefano Montaldo, docente di Diritto dell’Unione Europea all’Università degli Studi di Torino.

Qual è la normativa di riferimento in materia e cosa prevede?

“Dal punto di vista della loro circolazione sul territorio europeo, i medicinali seguono il regime generale di una delle libertà fondamentali sulle quali si basa il mercato unico, vale a dire la libera circolazione delle merci. La nozione di merce è molto ampia e comprende qualsiasi bene suscettibile di valutazione economica e di commercializzazione, inclusi dunque i medicinali. Ciò comporta che in tutto il territorio dell’Unione, nonché negli Stati che non fanno parte dell’Unione ma aderiscono allo spazio economico europeo (Islanda, Norvegia, Svizzera e Liechtenstein), in linea generale le importazioni ed esportazioni di medicinali non devono incontrare ostacoli di sorta. In particolare, la disciplina essenziale è prevista da alcuni articoli del Trattato sul Funzionamento dell’UE, uno degli atti fondativi dell’odierna Unione europea, che prevedono due principali profili: il divieto di dazi doganali e il divieto di restrizioni quantitative all’importazione e all’esportazione.

La libera circolazione delle merci nella UE si applica anche per i farmaci

Il primo aspetto implica anzitutto il divieto di imporre un onere pecuniario per il solo fatto che un determinato bene attraversi la frontiera fra due Stati membri. In altri termini, il prezzo di un certo bene non può essere falsato, per esempio a fini discriminatori o protezionistici, mediante l’imposizione di dazi che rendano in ultima analisi meno competitiva quella merce nel mercato del paese in cui viene importata o esportata. Alla dimensione interna del divieto di dazi doganali si accompagna poi la previsione di una tariffa doganale comune per le merci che provengano da Stati terzi. In sostanza, una merce di origine per esempio brasiliana si vede applicato lo stesso dazio doganale in qualsiasi punto della frontiera esterna dell’Unione essa faccia ingresso in Europa. In questo modo si evita una competizione interna agli Stati membri per quanto riguarda le vie di accesso al mercato europeo di tali prodotti e si scongiurano altresì ripercussioni sul mercato interno stesso. La tariffa doganale comune è diversa per ogni tipo di merce, così che la vera sfida sulla quale si giostra la materia è la corretta collocazione merceologica di un bene, in quanto essa può determinare un aumento o un decremento anche molto sensibile del dazio imposto.

Il secondo profilo è il divieto di restrizioni quantitative all’importazione e all’esportazione. Esso implica che gli Stati non possano in linea di principio predeterminare i quantitativi di un certo bene che ammetteranno sul proprio territorio, sempre nell’ottica di scongiurare mire protezionistiche o discriminazioni in base all’origine di una merce”.

La norma è rispettata?

“Rispetto ai medicinali si riscontra anzitutto una problematica che affligge in linea generale la libera circolazione delle merci e sulla quale le istituzioni europee ormai da alcuni decenni sono particolarmente attente: è ormai raro che si verifichi una violazione palese dei divieti previsti dal Trattato. Molto più spesso, gli Stati ricorrono a misure che in maniera velata o indiretta possono, a seconda dei casi, determinare un’imposizione pecuniaria all’attraversamento della frontiera simile di fatto ad un dazio doganale (ad esempio un contributo chiesto come corrispettivo di un servizi non richiesto, quale un controllo sanitario o simili) o limitare o scoraggiare i volumi di beni che circolano in sede europea (requisiti legati alle confezioni, imposizione di prezzi minimi o massimi fissi, ecc.). Si tratta di situazioni in cui, a fronte del formale rispetto del divieto di dazi e di restrizioni quantitative, gli Stati in concreto cercano di eludere tali vincoli. Per fronteggiare queste situazioni, il Trattato estende i divieti in esame anche a tutte le imposte e a tutte le misure che abbiano un effetto equivalente ad un dazio o ad una restrizione quantitativa. In questo modo, il controllo sull’operato degli Stati è estremamente incisivo e pervasivo.

Dazi doganali e restrizioni quantitative a importazione ed esportazione sono vietati tra i paesi UE

Inoltre, in passato, spesso gli Stati opponevano alla libera circolazione delle merci la differenza di normativa sulle caratteristiche che un certo prodotto dovesse avere per poter essere legalmente commercializzato, come composizione, procedura produttiva, confezione, ecc.: imponendo ai produttori stranieri di adeguarsi alle loro normative interne, ponevano ostacoli significativi alla libertà di circolazione. La Corte di giustizia dell’Unione Europea, tuttavia, ha posto un freno a questa prassi, sancendo il principio del mutuo riconoscimento. In base a tale principio, ove non sussistano norme comuni di armonizzazione a livello europeo, gli Stati devono avere fiducia reciproca e accettare di conseguenza gli standard (produttivi e altro) ai quali la normativa di un altro Stato membro impronta un certo prodotto”.

Ci sono delle eccezioni?

“Gli Stati hanno un – pur limitato – margine di deviazione dalle norme sulla libera circolazione delle merci. In presenza di situazioni che possano determinare gravi conseguenze, ad esempio per la salute umana o animale, per l’ordine pubblico o per la pubblica sicurezza, le autorità nazionali possono derogare alle norme sulla libera circolazione delle merci. Si tratta però di ipotesi eccezionali, che vanno limitate a quanto strettamente necessario per tutelare obiettivi non economici in serio pericolo. Considerazioni di questo tipo sono state addotte da alcuni Stati nella prima fase della pandemia allo scopo di limitare la circolazione di dispositivi di protezione, quali le mascherine”.

Cosa è previsto sul tema, assai rilevante, delle regole e le procedure di immissione in commercio dei farmaci nell’UE e i relativi diritti di proprietà industriale?

“In sintesi, nell’attuale contesto un’azienda farmaceutica può optare per una dimensione nazionale (ad esempio ottenere una autorizzazione all’immissione in commercio nel territorio di un certo Stato o un brevetto valido nel medesimo contesto) oppure europea, mediante una richiesta di immissione in commercio presentata all’Agenzia europea del farmaco (Ema) e mediante la registrazione di un brevetto di portata europea. In questa seconda ipotesi, la circolazione del medicinale è di certo più agevole”.

La Brexit e il Covid hanno avuto un impatto da questo punto di vista?

“Sia la Brexit che la pandemia hanno determinato conseguenze le cui implicazioni non sono ancora del tutto chiare. Sul fronte della Brexit, il recente accordo di commercio e operazione concluso da Regno Unito e UE prevede un regime di favore per la circolazione delle merci fra le parti. In sostanza, sono in massima parte esclusi dazi doganali, purché siano rispettate le regole sull’origine britannica o europea delle merci e purché in ogni caso le formalità doganali siano espletate. Questo comporta inevitabilmente tempi e costi aggiuntivi, ma siamo ai primi mesi di applicazione dell’accordo e dunque è preso per fare valutazioni solide”.

E l’emergenza sanitaria?

“Il Covid ha rianimato la prassi un tempo frequente degli Stati di porre un freno all’applicazione delle norme sulle libertà fondamentali in presenza di interessi particolari. Il caso dei molti Stati che hanno previsto temporanee limitazioni alle esportazioni di dispositivi di protezione o di medicinali è particolarmente evidente, senza considerare i casi in cui tali limitazioni hanno interessato le esportazioni verso Stati terzi.

Con Brexit e Covid lo scenario sta subendo importanti cambiamenti

Alcuni Stati hanno tentato di giustificare questo tipo di misure con urgenti esigenze di ordine pubblico e salute pubblica, ma la Commissione europea è presto intervenuta con una serie di dichiarazioni pubbliche e con alcune linee guida, sollecitando il ripristino delle normali dinamiche di mercato. Chiaramente, in una emergenza di tale portata questo non poteva essere sufficiente e si è reso necessario un intervento attivo, volto a dare risposte ai timori degli Stati in ordine all’approvvigionamento di medicinali e dispositivi di protezione.

La Commissione, in particolare, ha disposto un piano di misure che spazia dall’aumento e la riorganizzazione della produzione al monitoraggio delle scorte esistenti, dall’individuazione di misure atte a ridurre le possibili carenze all’attuazione di piani per soddisfare la domanda. Per esempio, gli Stati sono stati autorizzati a supportare le imprese, in deroga alle norme sul divieto di aiuti di Stato, allo scopo di conseguire più facilmente principi attivi, dalla cui importazione da Stati terzi l’Europa in ampia misura dipende. Inoltre, l’Agenzia europea per il farmaco e il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie sono stati investiti di vari compiti di monitoraggio e analisi dell’evolvere dell’epidemia e di conseguente supporto nella gestione delle misure adottate su scala europea, non solo in ambito strettamente farmaceutico (basti pensare alle restrizioni sui viaggi e alla loro cessazione). Soprattutto, però, l’iniziativa della Commissione ha portato a tre strumenti operativi di particolare interesse anche per il futuro: il Joint Procurement Agreement, la riserva RescUE e il cosiddetto Sostegno di emergenza”.

In che cosa consistono le misure?

“La prima è volta ad accelerare e facilitare le gare d’appalto indette anche su scala europea allo scopo di reperire medicinali o dispositivi di protezione; le aree a oggi interessate hanno riguardato guanti, occhiali e visiere, tute, test diagnostici, mascherine, attrezzature da laboratorio, ventilatori, attrezzature mediche per la somministrazione del vaccino.

La Commissione UE ha predisposto un piano di misure per garantire gli Stati e le imprese

La seconda iniziativa si inserisce nel più ampio quadro della cooperazione in sede europea fra le strutture di protezione civile, sotto l’egida dell’UE. Ha comportato l’acquisizione di una scorta di attrezzature mediche destinate a far fronte alle richieste delle strutture ospedaliere degli Stati Membri. In particolare, la scorta si compone di apparecchiature per la terapia intensiva, dispositivi di protezione individuale, vaccini e medicinali e forniture per i laboratori.

Da ultimo, la Commissione ha avviato il cosiddetto Sostegno di emergenza, previsto da una recente disciplina UE in materia di reazione a disastri e catastrofi naturali e non. Si tratta di uno strumento di natura economica, finanziato dal bilancio dell’Unione. Tale sostegno finanziario è erogato esclusivamente in assenza o a completamento di strumenti analoghi provenienti dagli altri Stati Membri che possano sopperire sufficientemente alle esigenze dello Stato o degli Stati colpiti ed è modulato in base alla situazione economica del medesimo. Inoltre, il sostegno di emergenza mira a supportare le azioni intraprese dallo Stato interessato e, a tal proposito, dev’essere assicurata la cooperazione e la consultazione costante con la Commissione. In questo caso, il Sostegno di emergenza è servito nelle fasi acute dell’epidemia a garantire supporto finanziario finalizzato all’approvvigionamento di medicinali e dispositivi di protezione”.

Questi interventi hanno funzionato?

“Pur nella complessità dei meccanismi europei, si è riusciti da un lato a valorizzare, modellandoli o modificandoli, strumenti già esistenti, e dall’altro a garantire quella flessibilità di regole temporanee che l’emergenza richiedeva. Magari non del tutto tempestivo, ma c’è stato un intervento nel complesso efficace”.

 

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Adriana Riccomagno
Giornalista professionista in ambito sanitario