Come costruire ponti tra accademia e imprese

Favorire il trasferimento tecnologico attraverso la creazione di una relazione duratura tra ricercatori e imprenditori. È questo l’obiettivo dell’Industrial Liason Office dell’Università di Torino, che da 5 anni porta le aziende dentro l’università e la ricerca accademica nelle imprese

Connettere mondi diversi è da sempre l’ambizione di molti. Parole come multidisciplinarietà, contaminazione, abbattimento della logica a silos sono slogan che rimangono difficili da attuare. La difficoltà maggiore risiede nella mancanza di competenze necessarie per costruire i ponti e mettere in relazione persone che altrimenti non si incontrano mai.

Per cercare di sopperire a questa mancanza, da un lustro l’Università di Torino ha Ilo, l’Industrial Liason Office, un ufficio pensato per essere il punto di incontro tra università, istituzioni e imprese.

Un riferimento per il trasferimento tecnologico dall’accademia alle aziende e una suggestione per portare nuove competenze all’interno dell’università. Un percorso a doppio senso da alimentare continuamente.

Il 12 luglio l’Ilo ha organizzato un Open Day proprio per connettere le imprese e i ricercatori di Unito: per una giornata le aziende hanno potuto entrare nei laboratori, capire il tipo di attività svolta e valutare se ci fossero margini per instaurare una collaborazione.

La giornata è stata articolata in quattro percorsi tematici e TrendSanità ha preso parte a quello dedicato agli approcci e tecnologie per un settore biomedico e farmaceutico innovativo e sostenibile.

Non solo brevetti

“La nostra attività riguarda essenzialmente la creazione di relazioni – afferma Francesca Natale, dell’Ilo –. Il nostro obiettivo è raggiungere la fidelizzazione, sia tra i ricercatori sia tra le imprese”.

Venticinque gli eventi organizzati dall’inizio dell’anno: oltre all’appuntamento annuale con l’Open Day, l’Ilo si è fatto promotore di aperitivi tematici e di tavoli di lavoro dove i professori universitari hanno affrontato di aspetti specifici.

Di solito quando si parla di trasferimento tecnologico ci si riferisce essenzialmente ai brevetti – rileva Natale –. Il nostro obiettivo è invece rendere fluidi, semplici e anche più veloci ed estesi i contatti con il mondo della ricerca di tutto l’ateneo e le imprese. È un servizio a disposizione di chi è interessato a coltivare questa relazione, che si tratti di ricercatori o imprenditori”.

Per quanto riguarda le collaborazioni, non c’è limite alla fantasia: si va dall’assistenza su progetti specifici di interesse industriale nei quali l’accademia mette a disposizione le proprie competenze attraverso l’attivazione di convenzioni o contatti di ricerca a progetti che nascono direttamente dall’università e che poi vengono valorizzati in ambito universitario e infine proposti per partnership con aziende che hanno interesse a portare avanti.

“Il nostro dipartimento vanta numerose collaborazioni con diversi tipi di aziende, dalle farmaceutiche a quelle che trattano alimenti o prodotti erboristici”, ha confermato Massimo Bertinaria, professore associato di Chimica Farmaceutica del Dipartimento di Scienza e Tecnologia del Farmaco.

Il Dipartimento di Scienza e Tecnologia del Farmaco, per esempio, ha tra i suoi focus la medicina di precisione grazie a tecniche computazionali: “Si tratta di un approccio basato sulla valutazione delle determinanti genetiche, di stile di vita e ambientali che portano allo sviluppo di patologie – ha chiosato la ricercatrice Eleonora Gianquinto – In questo modo si riesce a migliorare l’efficacia del trattamento minimizzando la tossicità dei farmaci e massimizzando l’efficacia terapeutica”.

La collaborazione con le aziende può riguardare anche gli strumenti utilizzati: è il caso per esempio di Katakem, una startup innovativa nata nel 2019 a Catanzaro per modernizzare il mondo della ricerca chimica grazie a Onepot, un macchinario che esegue in modo standardizzato qualunque “ricetta”.

A volte a mancare è un ponte fra università e aziende

“L’idea è che ciò che viene sviluppato in un laboratorio universitario può essere perfettamente replicato per esempio in un’azienda. Per farlo, basta inviare un file, come succede per le stampanti 3D”, ha esemplificato Lorenzo Di Cataldo, CMO dell’azienda. “La nostra filosofia è traslare la ricerca che arriva dalle università nelle aziende, poiché abbiamo visto che a questi due mondi manca un ponte”.

I diversi tipi di connessioni

La collaborazione dell’università non è solo con le aziende, ma anche con le istituzioni: “Oggi parlare di oncologia significa andare oltre a diagnosi, trattamento e ricerca, puntando anche alla prevenzione e coinvolgendo per esempio le scuole”, ha dichiarato Silvia Novello, professoressa associata di Oncologia toracica al San Luigi  di Orbassano. Anche in questo caso la sensibilizzazione ha diversi canali: “Molti messaggi possono essere dati attraverso strumenti poco utilizzati in ambito medico, come per esempio il cinema”.

E i ponti non sono solo quelli tra università e aziende, ma anche all’interno di ambiti diversi: Giorgio Scagliotti, professore ordinario di Oncologia medica al San Luigi, è tra i pionieri della medicina traslazionale, quella che unisce clinica e pre-clinica: “L’incontro tra queste due culture rappresenta la medicina personalizzata, che per quanto ci riguarda è stata raggiunta grazie alla ricerca clinica sviluppata nel corso degli ultimi trent’anni con il perfezionamento delle conoscenze dei meccanismi patogenetici del tumore”.

Oggi la sfida principale è garantire la continuità della ricerca

“Oggi la sfida principale è garantire la continuità della ricerca – afferma Francesca Natale dell’Ilo –. Spesso infatti la collaborazione tra gruppo ricerca e azienda è legata a un problema specifico. Crediamo sia necessario strutturare meglio il legame nel tempo, in modo da far crescere in accademia profili che possono poi essere impiegati in azienda e creando nuove specializzazioni e competenze”.

Un esempio è quello in essere nel settore aerospaziale applicato all’analisi del comportamento umano. “In questo caso abbiamo coinvolto più aziende e ambiti di ricerca come l’informatica, le neuroscienze e la medicina e abbiamo stabilito un’alleanza per far durare l’analisi per almeno 3 anni – racconta l’esperta – In questo modo i ricercatori coinvolti possono crescere in un ambiente ibrido: si pensi per esempio a un esperto di informatica, uno psicologo o un neuroscienziato che conoscano l’esigenza del settore spaziale. Riteniamo che questa sia la strada per contaminare davvero competenze e modalità di lavoro”.

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Michela Perrone
Giornalista pubblicista